Coincidenze – Segreto e grazia

A causa di una delle continue e vaste reti di coincidenze che innervano le nostre vite, Andrea si accorse di cosa volesse davvero dire essere religiosi.

Alcune persone illuminate sanno benissimo che la libertà dell’essere umano è possibile solo in teoria, che l’infinità delle possibilità è un’astrazione perché all’atto pratico nessuno può diventare qualsiasi cosa o vivere qualunque esperienza, limitandosi di solito a sguazzare nel probabile e soprattutto nel possibile.

Andrea sapeva benissimo che non sarebbe mai diventato un fisico nucleare o il leader dei Foo Fighters, anche se teoricamente sarebbe stato possibile. Sapeva che le scelte fatte si assommavano a quelle da fare in un bilancio, anzi, in una statistica la cui media era difficile da smuovere, ormai. Se hai deciso di fare lettere non puoi più fare il fisico nucleare.

Ne aveva parlato durante le vacanze, agli amici, ed erano stati tutti insieme a parlarne fino alle quattro del mattino, come ai bei tempi, in cui con una chiacchierata di una sola notte sembrava possibile risolvere i problemi del mondo.

Tornando a casa si era detto che Dio era un porco, che il libero arbitrio era una fandonia e che siamo tutti schiavi delle circostanze. Da quando era arrivato all’età della ragione aveva smesso di credere in Dio, di avere fede nel futuro e nell’uomo, di interrogarsi su come avrebbe dovuto comportarsi: semplicemente viveva, attendendo la fine e cercando di godersela quanto più possibile. No, ormai non aveva nemmeno più un brandello di religiosità in sé, tutto spazzato via dalla semplice constatazione che: in un mondo come questo Dio non può esistere, perché se esistesse sarebbe davvero uno stronzo.

Tornando a casa si era detto che non percepiva più nemmeno l’atmosfera delle festività, che Natale Capodanno ed Epifania si erano spenti completamente nel suo animo da tanti tanti anni. Li vedeva come feste commerciali, di scambi di soldi e regali, roba da cambiavalute o usurai.

Arrivato a casa respirò l’aria del porticato. Era lo stesso odore di quand’era bambino, quando quei giorni avevano un senso per lui. Inspirò e si rammaricò per la perdita. Quello che di quei giorni, da bambino, gli era piaciuto moltissimo era stato il senso di mistero: Babbo Natale, la Befana, la Messa di mezzanotte, i regali comparsi misteriosamente e cosparsi di miracolo… ogni cosa traspirava segreto e grazia.

Mentre passeggiava fumando per il porticato guardò verso il cielo e si convinse che, senza il mistero, il Natale il Capodanno e l’Epifania avevano perso tutto: la fede, senza mistero, perde il suo fascino, perché se tutto è chiaro ed evidente non c’è modo per la fede e per l’incanto di attecchire e rimane solo l’aridità.

Mentre passeggiava fumando per il porticato pensò che per la scrittura si poteva dir la stessa cosa: tutti i suoi amici scrittori parlavano sempre di “scrittura” e mai di “letteratura”, non si consideravano “letterati” ma “scrittori”, implicitamente affermavano di non creare bellezza ma storie, di essere cronachisti e non creativi, contaballe non artisti. Per loro la letteratura aveva perso il mistero e si era trasformata in un esercizio di menzogna, come una messa a cui non si concede nemmeno un’occasione di stupore, come un Dio a cui non si offre neanche una possibilità d’invidia.

Antonio Romano

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Coincidenze – Pigrizia e solitudine

Il silenzio delle piccole stanze alla fine di lunghi corridoi ricorda la quiete di certe spiagge chiuse da alti faraglioni.

È impossibile diluire la tranquillità con qualche parola o sperare in un cambiamento che venga dall’alto: non c’è nessuna possibilità di creare un rumore se la natura non te lo permette. E spesso, la natura, si preserva dall’uomo, rendendo impossibile ogni suono.

Senza suono, senza l’illusione di poter modificare l’aria che gli sta attorno, l’uomo muore – e la paura della morte lo tiene ben lontano.

Dovresti avere molto coraggio per vivere senza suoni, senza bocche, senza orecchi.

Quando sei pigro la vita ti pesa tutta, tutta quanta e sempre. La pigrizia ti rallenta e ti avvicina a un meridiano del desiderio: vuoi poche cose fondamentali e poi basta, solo il raggiungibile e l’indispensabile, niente astrusità… troppa fatica. La pigrizia ti rende egoista e feroce, una ferocia da Caligola, molto placida e praticamente immobile, sonnacchiosa e contemplativa. Quando sei egoista non ti devi fare in quattro per gli altri e non devi chiedere nulla a nessuno.

Quando sei pigro sei capace di certe azioni che agli altri non verrebbero mai in mente, perché gli altri non stanno ore e ore distesi a riflettere su come arrivare a quel dato oggetto senza muoversi. Perché solo un vero pigro riuscirebbe a vivere quasi sempre su un divano o a letto, perché sono animali raffinati possono non interrompere mai il loro letargo.

Quando guardi Orso sei davanti a un animale che va per il quintale, che respira sommessamente, brontola, si raschia dal catarro la voce arrochita di silenzio e prima di muoversi ci riflette bene.

Ogni sua azione è un’azione meditata e definitiva, vive in una deliziosa casa imbiancata a strapiombo sull’orlo di un fineisola come tanti negli arcipelaghi mediterranei, non vuole incontrare nessuno. “Solo un totale, duro, inequivocabile, brutale egoismo ci può salvare. Siate chiusi, incomprensibili, scostanti, scortesi, violenti ed egoisti e vedrete che vivere vi sembrerà se non più bello più facile” consigliava spesso.

S’interrogava sulla natura umana, che per un monopoli cancella notti intere, che per un potere effimero trascura i propri principi spesi con gli amici in lunghe sbornie.

Ma Orso non era sempre stato così: da giovane aveva amato ed era stato amato, aveva lottato e pensato, letto molto e amato troppo ogni musica. Era stato davvero un tassello entusiasta del presente. Poi era cominciata l’insonnia, un treno di pensieri lo teneva sveglio ogni notte a riflettere sulle persone e i loro comportamenti. Aveva finito col non fidarsi più di nessuno. E si era definitivamente chiuso in sè.

Poi, un giorno, una donna l’aveva innamorato e lui si era a poco a poco ricominciato ad aprire. Purtroppo, quel che aveva da offrire, dopo un po’, alla donna, smise d’interessare e Orso rimase solo. E anche alcuni suoi amici lo tradirono e la natura umana gli parve sempre più meschina e traditrice.

Si era aperto, Orso, in un momento in cui, come un elastico dopo l’eccessiva tensione, era ritornato floscio. Era ritornato a tendersi, espandersi in ansia di rapporti umani. Ed era rimasto tradito.

Ora Orso contempla il mare, vive come una solitudine che contempla un’altra solitudine, e si domanda quando la finiranno gli uomini di tradirsi, quando si metteranno a constatare la bellezza dei bicchieri allineati come barili di scintillii e a contare i fiori viola annodati nel cielo blu e a non rimpiangere le loro indulgenze occasionali scivolate sulle guance di innamorati delusi.

Ogni uomo della terra meriterebbe un po’ di rispetto per le proprie illusioni, almeno quel po’ di rispetto che gli consenta di viverne e bearsene, in attesa di un’epifania più grande e più magnanima dell’umano quotidiano squallore.

Antonio Romano

Coincidenze – Il sarto

La chiesa strideva tutta per il temporale, come una gigantesca lavagna abbandonata a un branco di bambini dispettosi. Il feretro era lì, al centro della navata, somigliantissimo a un animale che dormiva senza respirare.

«Fermo, sorridi»: una coppia di sposi in luna di miele era in una piccola sala da the poco distante dal grande portale della chiesa e si stava facendo buffe fotoricordo. Erano belli come una vaga reminiscenza addolcita dal tempo per una memoria infedele.

Sono così strani i casi della vita…

L’uomo alla prima panca vestiva con sobrietà e bene. Lo si sarebbe detto un sarto: era benvestito, ma senza volerlo. Piangeva, ma composto e sommesso, identico a una canzone un po’ datata, anche se dimostrava appena una trentina d’anni.

Era un giovane attraente e antiquato: in questo stava il suo fascino. Piangeva composto e disperato, nessuno ci badava, anche perché nessuno lo conosceva. Solo qualcuno si chiedeva chi fosse quel giovanotto così bello che pareva uscito da un rotocalco del ’50, ma per una manciata di secondi. A nessuno importava veramente: la donna nella bara aveva avuto molti affezionati clienti, e qualsiasi degli uomini lì presenti poteva esserlo stato.

Anche il ragazzo, in effetti, era stato un suo intimo. Ma di tutt’altra specie. Intimo come un sarto fedele. E affezionato.

«Un cioccolato» chiese lei perché il temporale l’aveva infreddolita. Il marito le sorrideva. Ancora non le veniva naturale dire “mio marito”. Pazienza pensava verrà col tempo. «Sei felice?»

«Sì, ti amo».

La donna della bara l’aveva detto solo una volta al giovane sarto. Solo una volta: “Sono felice”, ma quasi bisbigliato, mentre teneva il volto mezzo sepolto nella federa del cuscino. Il ragazzo lo ricordava distintamente come se fosse stato un’ora prima. Anzi, lo ricordava man mano meglio col passare del tempo, come se invece di una ferita rimarginata fosse stata una frattura ricomposta che doleva a ogni sbalzo di umidità e temperatura. E quel giorno pioveva.

Piangeva mordendosi il labbro inferiore, con le mani affondate nelle tasche della giacca splendidamente sagomata. Era bello e disperato, come il richiamo a una divina sofferenza. Proprio come si conviene a ogni giovane uomo al funerale della donna amata.

Ogni mare ha la sua barca ad attraversarlo e ogni uomo vive ricordando un qualche amore finito. Spesso è un amore fantasma, che riaffiora ogni tanto, di solito quando più o meno indirettamente si viene a sapere qualcosa della persona amata in passato.

Molto più spesso la persona amata scompare nella folla, e allora quel periodico riandare indietro con la mente si trasforma quasi in un atto rituale. In un vizio del cuore, un’ossessione discreta.

«Chiamiamolo come tuo padre». La scelta del nome impegnava i due sposini nella sala da the. Fuori dalla chiesa il corteo funebre fu disperso dalla pioggia e col feretro rimase solo lui, il giovane sarto.

La pioggia abbracciò le lacrime e né lui né lei s’accorsero che stava piangendo.

Antonio Romano

Coincidenze – Fotoromanzi

Un uomo dorme in auto. Non ha niente della levità macchiettistica di De Crescenzo. È piuttosto un finale di partita. Una partita giocata negli anni fin da una mancata licenza media.

Se Serena avesse avuto dei genitori più attenti alla cultura, probabilmente non sarebbe finita a fare la sartina. Ma senza licenza media si può fare poco. Insomma, l’unico rapporto che aveva col linguaggio scritto erano i fotoromanzi.

La licenza media non ti rende sterile e quindi anche se sai compitare a malapena i dialoghi dei fotoromanzi (prevedibili quanto vuoi, ma se non li leggi cosa li compri a fare?). Serena partorì a maggio una bambina che aveva gli occhi azzurri più belli che Serena avesse mai visto dalla sera in cui quel soldato americano le aveva portato via la verginità in cambio del pancione.

Gli occhi di Clara facevano parlare tutto il paese, così come la gravidanza di sua madre aveva fatto ai suoi tempi. Verso i vent’anni, Clara poteva tranquillamente essere definita “la più bella”. Non aveva rivali, non aveva rivali che non fossero i suoi modelli di vita: le attrici dei fotoromanzi. Serena le aveva inculcato il culto di quelle donne raffinate e travagliate, coi loro drammi borghesi e i loro amorazzi combattuti. Clara era il più perfetto prodotto della stampa di consumo.

Quando Gildo la vide, immancabilmente, quegli occhi azzurri spalancati sull’esistenza come quelli di un cieco spalancati in un museo lo fecero ammattire, letteralmente ammattire. Rubando nei cassetti di suo padre, riusciva a comprarle quei regalini costosi per cui lei andava pazza: sembrava non esserne mai sazia, sembrava avere una necessità strutturale metafisica di “regalini”. E così, un regalino via l’altro, piastrellarono la strada verso l’altare.

Gildo e Clara andarono a vivere in un bell’appartamento. Con due cameriere e il maggiordomo.

La domanda che dovremmo porci ora è: cosa fa una donna che pensa per fotoromanzi se non ha nulla da fare tutto il giorno in un appartamento mentre il marito è alla fabbrichetta a lavorare? Suppongo sia evidente. Si trastulla col garzone del lattaio.

Ebbene: la piccola virtù di Clara, che evidentemente si portava nel sangue quella vocazione scandalistica che già aveva sperimentato sua madre, fu messa in piazza da alcune lettere anonime dirette al marito. Quest’ultimo non esitò un istante: si appostò sotto casa e scoprì la tresca. Idee balzane iniziarono a fioccargli in mente, ma visto che non era un patito dei triboli e delle macchinazioni, provò a parlare con sua moglie. Ella giurò e spergiurò che era l’ultima volta, ma i fatti a seguire la smentirono. Era troppa in lei la tentazione all’inedito, al sotterfugio amoroso, all’appuntamento dato in posti insoliti per sfuggire a inesistenti inseguitori, alla mimetizzazione per farla in barba a fantomatiche spie al soldo di Gildo. Insomma, i tradimenti che seguirono furono tali e tanti che il pover’uomo puntò sulla vendetta legalizzata: divorzio.

Un uomo che lavora giorno e notte può essere logorato profondamente dalla battaglia legale che un divorzio porta seco. Può iniziare ad avere, per esempio, qualche allucinazione, che a sua volta può consolidarsi in una visione. E se poi, magari, tanto per dimenticare il proprio fallimento matrimoniale, inizia anche a giocare pesantemente a carte e ad andare con puttanazze, è inevitabile che sotto di sé si spalanchi un’orbita di dita nel culo.

Gildo si ridusse a dormire in macchina dopo appena cinque anni. Sua moglie era ancora abbastanza bella da zoccoleggiare in giro a volontà; lui, invece, ormai incanutito e appanzato, non poté far altro che vendere la fabbrichetta per far fronte ai debiti dopo aver già dilapidato i propri risparmi. Gli era rimasta solo la macchina, per dormirci.

Penso che non stupirà nessuno che Gildo, quella notte, mentre dormiva in auto, svegliato dal rumore di ladri che gli rubavano le ruote, sia uscito di senno e li abbia uccisi. I poliziotti trovarono i corpi smembrati e le teste inchiodate ai muri della strada. Inutile dire che fu un caso inspiegabile. Anche perché Gildo nessuno sa dove si trovi, ora.

Antonio Romano