Confessioni qualunque – 16

#16 – Maria Ernestina

di Linda Caglioni

Che resti tra noi.

Ecco, è successo ancora… che poi, va beh, ce l’avevo anche detto io alla Serafina che non cambiava niente: c’ho mandato due lettere al Pezzotta, l’estate l’altra, in luglio, ma non sono mica bastate. Eh no.

Ancora mi sono trovata quei volantini pubblicitari che penzolavano fuori dalla mia buchetta della posta. Tanto, dico io, si sa come va a finire. Che con queste piogge estive-autunnali poi cosa succede? Che quei giornaletti si bagnano su tutti, si afflosciano e si sgretolano per terra. Ma io dico, se c’è anche scritto di non mettere la pubblicità, perché questi stranieri qui la mettono uguale? Ok che sono magrebini-filippini, e l’italiano loro mica lo sanno, povere anime. Però, la pazienza ha un suo limite e quando poi io mi arrabbio, mi arrabbio. E dopo a chi è che tocca pulire? A me ovviamente, ché tanto la Maria Ernestina è buona e brava, pulisce lei. Ché quando servi sei buona e brava, quando non c’è più bisogno sei ‘la vecchiaccia’. Così mi dicono, quei ragazzetti che un po’ di sere a settimana vengono al parchetto che c’è qua, sotto le finestre del nostro palazzo. Ma io non lo so, stanno anche 5 ore di fila Leggi il resto dell’articolo

Pubblicità

I precari al rientro

E’ stata impegnativa, per certi aspetti faticosa, ma l’esperienza del tour con Scrittori precari rimarrà come una tra le più forti e piene della mia vita. Condividere ogni singolo minuto per cinque giorni con quelle stesse persone (non solo le letture, ma i chilometri percorsi, il cibo e le bevande, i giacigli dove dormire, le battute e le scaramucce) che da mesi portano avanti un progetto comune, è una cosa che lascia il segno.
Questi cinque giorni hanno rappresentato una sorta di sospensione del tempo, in cui gli unici momenti da non mancare erano quelli del reading e della stesura dei diari quotidiani; il resto (mangiare, bere, dormire, etc) non aveva scadenze, il resto non era obbligatorio, non riempiva i vuoti come succede spesso con la quotidianità.
Abbiamo attraversato le regioni da sud a nord, siamo precipitati come oggetti misteriosi nelle città (Napoli, Firenze, Bologna, Milano) e approdati come visitatori sperduti nelle campagne e nei boschi, ma in qualche modo ci siamo sempre sentiti a casa.
Il tempo del viaggio si è momentaneamente arrestato, ma già abbiamo altre proposte per il futuro, e questa è la dimostrazione della validità di un progetto in cui la precarietà viene intesa in senso trasversale, come condizione generazionale e come modalità performativa, poiché piuttosto che uniformarci intorno a un manifesto stilistico abbiamo preferito ritrovarci in un approccio che mirasse ad aprire spazi liminali alla scrittura, dove far prendere corpo a tutto il lavoro virtuale svolto quotidianamente in rete.
La precarietà intesa quindi non soltanto come mancanza di progettualità, ma anche come senso di disorientamento: l’essere scrittori oltre la pagina scritta, l’inventarsi performer in spazi sempre diversi e non programmati; in parole povere ritrovare lo scrittore e il proprio ruolo in una terra sempre straniera.

Simone Ghelli