FACEBOOK, UN LIBRO DI FACCE /4

Iniziamo da un concetto lacaniano: noi siamo sintomo della società, a bagno nella struttura. Ergo, tutto ciò che siamo è sommatoria di input esterni, memi che si diffondono attraverso la grande maglia della comunicazione.

Con la Rete, ovviamente, i memi si diffondono ancor più velocemente, di solito per imitazione. L’imitazione di un comportamento porta alla diffusione del comportamento stesso, sia che si tratti di un aybabtu in engrish sia che si tratti d’un marchio.

Questa diffusione continua di memi in un regime di ipercomunicazione è destinata alla nuova tipologia antropologica umana, ossia soggetti molto empatici e – di conseguenza – molto emotivi (ritorniamo agli scripta che diventano verba), disposti a inebriarsi continuamente di suggestioni, a vibrare a ogni accenno di desiderio.

Questi “ipervibranti” sono il pubblico adatto al marketing – porno, viral o guerrilla che sia. Somigliano a una matassa di sensori che suonano a ogni cadere di foglia, cercano nelle scene decurtate al final cut refoli di sentimenti e di nuovi input, accorrono in massa nella piazza mediatica per far rimbalzare la palla su ogni muro bloggerico non appena i guerriglieri del marketing intessono un finto scoop per pubblicizzare qualcosa.

In Rete, siccome vige il fenomeno dell’autonomia e della virtualità, diventiamo tutti – volenti o nolenti – dei memi e, siccome la maggior parte dei memi di Internet è un ipervibrante, automaticamente si tende al fenomeno tipico del meme: la deriva memetica, ossia il cambiamento che il meme subisce rimbalzado qui e là. Sono pochi i memi a godere dell’inerzia, la maggior parte di modifica come una sfera di plastilina che cade da un balcone. Ecco come i gusti delle persone, ormai tramutate in memi, si adattano alle esigenze del mercato.

L’imitazione e l’emotività diffondono i memi, con un piccolo aiuto dai nostri geni, che a quanto pare funzionano come “sistema mirror”: impariamo a imitare ciò che ci sembra buono, non che lo debba necessariamente essere, basta che ci sembri tale, dunque tutto ciò che ha carisma riesce a farsi imitare, quindi a diffondersi sul diffusore di memi per eccellenza, Internet. Casi scolastici della psicomemetica: gli slogan, le figure meschine dei politici, i tormentoni, le canzoni, gli status symbol.

Gli ipervibranti vivono di tensioni desideranti, quindi il pornomarketing è l’ideale per far proiettare tale tensione dai corpi ai marchi degli oggetti circostanti: è tattica diffusa creare video porno amatoriali (i più cercati in rete) al solo scopo di rendere visibili alcuni marchi. Il pornomarketing (che va, appunto, dal porno casalingo all’ammiccamento di una ragazza mangiando un gelato) è la forma di viral marketing più efficiente e conosciuta, la più studiata dagli esperti del guerrilla marketing.

Costoro, ex o ancora militanti di gruppi underground sovversivi o anarco-insurrezionali o vattelappesca, attraverso l’inventiva sempre all’erta e la creatività immutata e sperticata dello squalo culturale, riescono a insinuarsi non senza genio degl’ipervibranti coi mezzi che abbiamo su menzionato. Anche i test di Internet, le banche date dei motori di ricerca, il numero di clic ricevuti da determinati articoli altro non sono che metodi per indicizzare i consumatori e capire dove battere.

Il sistema del guerrilla marketing sembra complesso e innovativo, ma è semplice e non particolarmente originale: in realtà si tratta di applicare il situazionismo al marketing, così come Guy Debord applicò il marxismo allo spettacolo (non sono forse forme di détournement entrambe?). Se si rapporta la loro opera nella piazza mediatica a quella dei situazionisti nelle piazze reali è possibile riscontrare numerose similitudini: l’idea dello spettacolo come rappresentazione della società e quindi l’idea di sopprimere la contemplazione dello stesso (la pubblicità in video è stantia), l’abilità nel creare “situazioni” mediatiche (i finti scoop), il superamento dell’arte in senso classico – accusata di sclerotizzare e reificare l’esperienza – per il recupero della vita vera (i situazionisti volevano quella fisica, qui ci sta bene anche la vita vera di Second Life).

Ma cosa rende questo metodo vincente? Perché il situazionismo non riuscì a interrompere il flusso ininterrotto dello spettacolo inebetente e il guerrilla marketing sì?

I guerriglieri sono riusciti nell’opera borgesiana di distruggere la fede del consumatore nel referente, di smontare le certezze di chi guarda un film o una foto o fa un test su FB, d’annullare il “discorso ininterrotto” che Debord denunciava ne La società dello spettacolo.

Per capire come hanno fatto dobbiamo ricordarci di quanto abbiamo già detto riguardo a Facebook: la differita della risposta. Mentre per i mezzi di comunicazione canonici c’è la necessità della presenza del ricevente (l’attenzione paranoica di cui si è già detto), nei sistemi più recenti della Rete la presenza del ricevente non dev’essere continua.

Con questa differita siamo all’aurora di un importante cambiamento: quello che finora è stato l’ipervibrante potrebbe trasformarsi nel nuovo tipo antropologico dell’“ipsoverso”.

Facendo per un momento riferimento alle ricerche di Mario Perniola, potremmo dire che il corpo dell’ipervibrante è un gomitolo di emozioni, che la sua vita si svolge in funzione di riti privi di miti (se esiste un rito, ma non un mito di riferimento, basta porre al posto di quest’ultimo una sequenza di marche a rotazione per ottenere una moda o una diffusione memetica) e che la sua conoscenza cerca ancora di arrivare a una meta (cioè il rassicurante pianerottolo di FB).

L’ipsoverso ha già fatto tesoro della crisi della dialettica, sa navigare abilmente in un mare di opposti e arriva all’accettazione dell’enigma insolvibile. Ha smesso di vibrare all’unisono col mondo fittizio dei media, perché niente in quel mondo è inequivocabile, ha preso a vagare in se stesso alla ricerca delle proprie pulsioni, le uniche che – in un mondo dove tutto è volatile e arbitrario – contino davvero qualcosa.

 

Antonio Romano

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La banda dello stivale, ovvero la Seconda Unità d’Italia – 15

[continua da qui]

Della serata milanese non si parlò da nessuna parte, niente di niente, neanche un poco di cicaleccio per strada o fuori dei bar. Non ne parlarono i giornali, tacquero le radio, non si videro le televisioni. Insomma, della missione dei cinque nessuno doveva saperne niente; quanto alla loro arte è ormai chiaro che importava ben poco alla pubblica opinione, ad eccezione di qualche curioso, a dire il vero pochi, che passarono ad ascoltarli nell’ora dell’abbondante aperitivo.

Si narra infatti che la performance venne snobbata dai più, soprattutto dai pezzi grossi del settore editoriale, quelli che i nostri speravano di veder comparire col contratto alla mano, e forse fu proprio questa la scintilla che accese una miccia già pronta da tempo. Essi blaterarono le loro parole nel bel mezzo della caciara, nell’andirivieni di consumatori insensibili a quel loro verbo trascinato per mezza penisola, tra astanti ben più interessati al ventaglio di tartine colorate, pizzette, salumi e formaggi. Insomma, i nostri eroi, proprio sul più bello, capitarono in una serata ricca di un pubblico ben più interessato ai contenuti dello stomaco che a quelli dell’anima – sempre che gli scribacchini fossero davvero in grado di arrivare tanto in là con il loro lavoro.

Certo, è indubbio ch’essi fecero orecchio da mercante, ché insomma portarono fino in fondo il loro bel compitino e poi andarono a mescolarsi con la folla che usava le ganasce più per alimentare i succhi gastrici che i versi poetici. Cercarono di unirsi a qualche gruppetto ben indirizzato, appizzarono le orecchie per carpire qualche aggancio su cui tuffarsi in doppio carpiato, ma alla fine rimediarono soltanto un po’ di spumante per via di un compleanno che lì si festeggiava, e al quale si mormora che vennero invitati più che altro per curiosità. Quella gente voleva sapere che ci fossero venuti a fare quegl’individui fino a Milano, perché non ci credevano affatto che tutto quell’ambaradam fosse stato scatenato soltanto per via dell’amore per la letteratura.

“Ma dai”, insistevano, “ci sarà qualcos’altro sotto!”.

Eccolo lì, il pubblico sempre tanto bistrattato, dipinto come ignorante e carogna, che aveva afferrato in men che non si dica il nocciolo della questione: se la letteratura non ha mai cambiato il mondo, perché tanti sacrifici nel nome della letteratura?

Forse che quel pubblico era un poco facilitato dalla conoscenza del fatidico quinto elemento, che nella capitale ambrosiana aveva vissuto diversi anni, e che a detta di alcuni testimoni non verbalizzati – nelle questioni di terrorismo si sa, come in quelle di mafia, la gente ha paura a prendere la parola – si trovava in città già da due giorni, per preparare il grande evento?

Ma adesso mi chiedo, e vi chiedo: se la serata fu un buco nell’acqua, almeno per quanto riguarda l’attenzione mediatica, che cosa era venuto a preparare davvero questo losco personaggio?

Non era l’evento mondano e letterario il vero scopo di quell’incursione nelle strade un po’ annebbiate di Milano, ormai dovrebbe esser chiaro, bensì l’aggressione nei confronti del nostro Presidente, seppur solo verbale, ma questo non lo potremo mai sapere, visto che i cinque furono bloccati prima che potessero sviluppare la loro azione in qualsiasi altra direzione.

Simone Ghelli

Trauma cronico – Una classe politica che va a puttane

È mai possibile o porco di un cane che le avventure in codesto reame debban risolversi tutte con grandi puttane

Fabrizio De André

Una volta erano storie d’amore e di coltello, oggi di trans e cocaina. L’ultimo scandalo gossipolitico riguarda l’ex giornalista Piero Marrazzo, che dal 2005 ricopre la carica di governatore della Regione Lazio. La storia è confusa e complicata, e come tante vicende italiane pare sia colorata di misteri, ricatti, giochi di potere e di poltrona.

Mi chiedo: a chi avrebbero fatto comodo nuove elezioni per il Consiglio della Regione Lazio?

La storia è becera, e non starò qui a ripeterla, tanto più che ne parlano tutti e dappertutto. Hanno ragione quelli che dicono che le classi dirigenti dei nostri partiti politici vanno a puttane.

E la classe operaia? A puttane anche quella, solo che va con quelle di strada, più economiche.

Ci sono uomini che mille euro li guadagnano in un mese, quando va bene, e con quelli ci mantengono moglie e figli. E ogni tanto, quando si può, trenta euro bocca e fica. Col rischio di una multa salatissima da far saltare il bilancio familiare.

Ci sono uomini che mille euro e più li spendono per una serata con una escort, che mette in cassa, esentasse. Poi i conti dello Stato non tornano…

Mi chiedo: ma non sarebbe meglio una leggina che legalizzasse la vendita dell’amore, così se pure a qualcuno di potente piace andare a puttane o farsi inculare da un trans, sarebbero pure cazzi suoi… e poi non farebbero niente di illegale, all’opinione pubblica dovrebbero da rendere solo su una questione morale, ma parliamoci chiaro, cosa vuoi che se ne frega, la gente, di questi tempi, con tutti i problemi seri che ci sono, con il lavoro che non c’è, se un politico va a puttane? Qui, in Italia, tutto va a puttane…

Un mio amico è disperato perché gli hanno chiuso la sezione incontri del sito Bakeca. Pare che vi fossero annunci che nascondevano prestazioni a pagamento. Lui preferiva andare in appartamento, si sentiva sicuro e gli piaceva di più. Adesso non può. Come lui, immagino, tantissimi. Sarebbe antropologicamente interessante vedere una protesta dei consumatori d’amore, una manifestazione per la fica!

Sono millenni che l’uomo paga in cambio di un’illusione d’amore o più volgarmente per svuotare i sacchetti, e niente mai potrà fermare quest’istinto primordiale. La prostituzione esisterà sempre, non credo sia eticamente corretto proibirla. Da proibire è lo sfruttamento, il racket e tutte le storie di violenza criminale che ci sono dietro, da salvaguardare ci sono donne giovanissime, esseri umani indifesi, ancora oggi, anno domini 2010, ridotti in schiavitù. I diritti fondamentali sono quotidianamente stuprati.

Ipocrisia, in questo paese, Italia, mai sarà abolita.

Gianluca Liguori