BURLESQUE. Quando lo spettacolo diventa seduzione

È tornata Lorenza Fruci, la caparbia giornalista scrittrice capitolina. E lo ha fatto con un altro libro, un altro saggio dopo il  fortunato Mala Femmena (Donzelli), intitolato BURLESQUE. Quando lo spettacolo diventa seduzione (Castelvecchi).

 

Perché hai scritto Burlesque?

Perché avevo notato che c’era un vuoto culturale che si sarebbe potuto colmare con un saggio che raccontasse la storia e l’evoluzione di questo genere di spettacolo, il fenomeno sociale che è diventato e cosa significa oggi per le donne fare burlesque. Avevo seguito l’arrivo del burlesque con la compagnia Cabaret New Burlesque per il Napoli Teatro Festival nel 2008 e avevo notato che nessuno sapeva di che tipo di spettacolo di trattasse. È stato lì che ho concepito la necessità di questo libro.

Cosa cercavi e cosa hai trovato?

Ho cercato la vera storia del burlesque, quella americana, e ho trovato non un susseguirsi di date e fatti, ma tanti sentimenti. Il burlesque rinasce in America negli anni ’90 per nostalgia, amore e amicizia per quest’arte.

Le storie che più ti hanno colpito?

La storia del museo Exotic World Museum che si trova a Los Angeles, voluto dall’ex ballerina di burlesque Jennie Lee perché mossa dal desiderio di non far morire nel nulla quest’arte che lei aveva nel cuore. Dopo la sua morte, il suo progetto è stato portato avanti dall’amica Dixie Evans, altra ex ballerina di burlesque, che ha aperto il museo nel 1990 e che nel 1991 ha istituito il premio Miss Exotic World per premiare ogni anno la reginetta del burlesque. Oggi le nuove dive del burlesque nascono principalmente da lì. È una storia di amicizia, di nostalgia e amore per un’arte, come avevo anticipato, che ho adorato e che mi ha motivato a scrivere questo libro.

Perché le donne sono così affascinate da questo mondo, forse più degli uomini?

Perché il burlesque recupera prima di tutto la femminilità che le donne negli ultimi decenni hanno perso; e poi perché propone una donna senza modelli di riferimento: la donna del burlesque non ha un corpo standard, ma è unica rispetto alle altre, sia per le sue forme che per la sua personalità e il suo carisma. Tutte le donne possono quindi identificarsi nelle performer (anche se poi fare burlesque non è per tutte). Inoltre il tipo di seduzione che il burlesque presenta non si avvale di aggressività e corpi al vento, ma ironia, giocosità e mistero, caratteristiche che tutte le donne possono utilizzare.

Hai partecipato a qualche corso di Burlesque? Puoi raccontarci qualcosa?

Ho partecipato a diversi corsi di burlesque perché credo che quando si scrive di teoria, se è possibile, bisogna passare anche dalla pratica. Questo non vuole dire però che diventerò una performer, perché il burlesque non è una forma di espressione che mi appartiene, ma consiglio a tutte le donne di seguire dei corsi perché liberano dai complessi, permettono di manifestare delle qualità che sono inespresse e aiutano ad acquisire sicurezza.

Come sono i maschi che si interessano a questo tipo di spettacolo?

Se parliamo di boylesque, cioè gli uomini che fanno burlesque, si può dire che sono quasi tutti attori o performer che sperimentano il burlesque come ulteriore forma di espressione. Se parliamo di uomini che vanno a vedere gli show di burlesque, si può notare che sono uomini che spesso accompagnano le loro donne e che sperano di vedere sempre qualcosa di più di quello che di fatto si vede negli show. Per quanto riguarda la mia esperienza di autrice di questo saggio, ho notato che finora sono stati soprattutto gli uomini ad acquistare e ad apprezzare il mio libro. Ancora non ho ben appreso il motivo, credo però per una curiosità di base nei confronti di questi spettacoli da cui sono affascinati, ma che in fondo in fondo non hanno ben compreso. Per un uomo uno strip o è uno strip o non lo è: non concepisce la via di mezzo che il burlesque propone (che poi è proprio l’elemento che invece piace tanto alle donne). E quindi immagino che un uomo acquisti il libro per capire.

Passiamo a te: continui con l’interessamento verso il mondo dell’eros, sei ancora una Uoma?

Sì, sono ancora una Uoma. Ahimè e per fortuna. È la mia debolezza e la mia forza. Però questo mi permette di riuscire a comunicare sia con le donne che con gli uomini e quindi poi, di conseguenza, raccontare storie. Sai… ho capito cosa “devo fare da grande”: raccontare storie. Non importa in quale forma o linguaggio. Ma è quello che devo fare. E avere una sensibilità sia maschia che femmina mi aiuta.

L’eros, poi, fa parte della vita e credo che continuerò a parlarne e a scriverne.

Come ti senti nelle vesti di scrittrice, oramai possiamo dire che ti sei guadagnata il titolo.

Tu dici? Ancora quando mi presentano come scrittrice non mi riconosco. Non ho mai scritto per guadagnarmi questo appellativo, scrivo per una necessità di comunicare. Però, se il mondo ha bisogno di dati per classificare, allora credo che due saggi per due case editrici importanti mi fanno accedere nell’olimpo degli scrittori. Che poi chi l’ha detto che è un olimpo? Vogliamo parlare del mal di schiena e di natiche che ti procura scrivere per dei mesi interi? Della cellulite che avanza insieme alla gobba? Della vista che cala e del dolore alle mani? Insomma… ma chi me lo fa fare?! Quando si dice “è più forte di me”…

«Prendi il tuo spazio e trova i tuoi simili» e una volta fatto che succede?

Spieghiamo che hai citato dei miei versi che sintetizzano il senso della vita per me. Una volta capito questo, ho iniziato a stare bene. Fino a quando ero circondata da persone lontane da me ero sempre a disagio, così come quando mi capitava di stare in spazi limitati. Ora invece ho trovato la mia dimensione.

Domani per te?

La tv e la radio. Un altro saggio e un po’ di narrativa. E poi di nuovo in piscina a nuotare. Anzi, forse un viaggio in America per un reportage fotografico.

 

Intervista a cura di Alex Pietrogiacomi

Pubblicità

Anno del signore 1997

È chiamata interlinea la distanza verticale che intercorre tra la linea di base di una riga e quella della riga successiva.

È chiamata focale 64 (ƒ64) la minima apertura di diaframma nello scatto di una fotografia ed il conseguente valore massimo di profondità di campo.

La rubrica Interlinea ƒ64 nasce dalla collaborazione tra La Rotta per Itaca e Scrittori precari: una volta al mese, uno scrittore, leggendo tra le righe di una fotografia, ci racconterà una storia in profondità di campo.


di Andrea Coffami e Angelo Zabaglio da una foto di Andrea Pozzato

Era l’ora tarda dei televisori accesi sulle emittenti locali che passavano cosce allargate, coperte leggermente da numeri telefonici da 2000 lire a scatto, bocche bagnate da lingue che inumidivano labbra e capezzoli esposti per nulla utilizzati ad allattare neonati.

L’uomo sonnolento sulla sua poltrona marroncina aveva solo la forza di usare i muscoli della mano, anzi delle dita, per pigiare i pulsanti del telecomando del suo televisore abbastanza anziano. Sarà stata la televisione. Sarà stato il ricordo. L’uomo si spogliò. Stese sulla sua poltrona marroncina le vesti che portava e indossò un abito ben più pesante. Chiudendo la porta principale del suo abitacolo, cominciò a passeggiare per il viale notturno, illuminato dai lampioni alti e accesi, dai lampioni spenti e dai lampioni rotti. Era piovuto poche ore prima ed una leggera pioggia riprese a scendere dal cielo, ma questo non importava alle numerose donne di colore scuro e colore chiaro che come tutte le notti attendevano corpi paganti, alti, bassi, bianchi, neri, larghi, corti, lunghi, corpulenti, mingherlini, esili, gracili, massicci, forti, robusti, repellenti, vigorosi, muscolosi, flaccidi, goffi, vivaci, tristi, sciocchi, soli, cortesi, incivili, pelosi, malinconici, ricurvi, belli, attraenti, sconosciuti, apatici, maturi, eccitati, dolci, affettuosi, rozzi, sgradevoli, puzzolenti, sudati, riservati, simpatici, unti, timidi, taciturni, comuni, lavati, spavaldi, anziani, sciupati, saggi, giovani, rauchi, disoccupati, nervosi, commossi, impauriti, confusi, delusi, infedeli, depressi, tutti rigorosamente paganti.

Era piovuto e la pioggia abbondante ritornava nuovamente a bagnare le auto parcheggiate ma leggermente ondulanti di ammortizzatori pressati dai corpi che si pressano. Il nostro signore sonnolento non aveva intenzione di pagare, preferiva riscuotere.

La notte terminò abbastanza priva di forze. Al mattino seguente, la solitudine della stanza venne riempita dal dolce venticello, che partendo direttamente dalle poche nuvole in cielo, come un ciclista in volata giunse direttamente all’interno della camera dove il vecchio signore era intento ad aprire la finestra con ante in legno caldo, come nel retro di una piccola chiesa. La zuppa di latte terminò di vivere entro dieci minuti. La tazza che il signore portava alla bocca era color ceramica sporcata di rosso al bordo… come di rossetto per labbra. La televisione trasmetteva un film in bianco e nero. La televisione non era a colori. Il film era un vecchio classico degli anni novanta.

Erano le ore 9:30 e alle 10:00 si sarebbe svolta la santa messa. In meno di dodici minuti il vecchio signore si tolse il trucco dal viso e dagli occhi, non avendo avuto il tempo, la voglia e la forza di farlo la notte precedente (9 ore prima). Con cotone imbevuto di creme, fece risplendere la sua pelle raggrinzita, eliminando il nero stropicciato di trucco che contornava disordinatamente gli occhi. Il forte rosso acceso sulle labbra scomparve e, indossando la cotta, si preparò ad accogliere i fedeli arrivati in chiesa per ascoltare la messa che il vecchio signore celebrava tutte le mattine alle 10:00.

Tipi da spiaggia (antropologia litoranea calabra, 5-20 agosto 2010)

Le famiglie degli “svizzeri” quest’anno sono coppie sulla trentina. Sgridano in tedesco figli di nome Marco o Stella, intimano loro in tedesco di mettersi i braccioli delle Winx o di Nemo, incoraggiano in tedesco timidi tuffi e capriole tedesche e rispondono in tedesco a capricci in tedesco. Rispolverano il dialetto solo tra adulti, per mettersi d’accordo su come si va alla Festa Patronale e alla processione, o per rievocare le proprie marachelle di bambini. L’italiano lo parlano piano, al massimo con qualche vicino di ombrellone, scandendolo bene, consapevoli di star traducendo.

Fanno la loro comparsa coppie nuove: maschi sui 45 anni con pance che debordano dai boxer neri aderenti, al fianco di ucraine non più giovanissime ma ancora piacenti. Talora mani brancicanti a polipo, talora il baluginio di una fede nuziale a legittimare l’unione, e qua e là bambini – frutto di qualche precedente amore – dai capelli quasi diafani e nomi tradotti tipo Vladimiro o Eugenio.

In mare bambini snelli e bruni nuotano aggrappati a tubetti di Polase® gonfiabili o salvagenti della Nivea©, sulla battigia donne grasse e canute si riparano sotto ombrelloni della Motta© o della Sammontana© , mentre quest’anno nei lidi si portano colori acidi senza marchi e anche le pubblicità dei gelati sono più discrete, un po’ meno in evidenza, seminascoste dietro a un cavalletto coi menu del giorno oppure in basso a destra, sotto al cartellone del regolamento.

Giovani sposi raccontano delle loro ultime vacanze alle Maldive, le vacanze “vere”, subito prima della settimana d’ordinanza con i nonni (quelli della bambina, no i loro). Ostentano tatuaggi tribali e pesanti accenti brianzoli. Esibiscono un atteggiamento di preoccupazione, tanto finta quanto compiaciuta, per la loro bambina, non ancora tre-enne, che manifesta la tendenza a dimenarsi quando sente alla radio il motivetto di una certa canzone reggae.

Un giovane con la canotta gialla dei Lakers e il cappellino dei Red Sox riconosce i propri connazionali statunitensi dell’ombrellone a fianco, una numerosa famiglia di Philadelphia capeggiata da un signore brizzolato. Il ragazzo invece è di Boston, ma in California ha fatto il college, trovato un lavoro e preso moglie. Entrambi i paterfamilias abbandonano di colpo l’inglese di fronte al venditore ambulante africano – uno di quelli giovani, che alla djellaba preferiscono la canottiera dei Cavaliers – passando al dialetto calabrese: stentato quello del giovane, very fluent quello dell’anziano.

Una famiglia di soli cugini e fratelli, composta di ragazzi tra i 25 e i 9 anni, è impegnata in improbabili battaglie di schizzi d’acqua. Trattative con l’ambulante per l’acquisto di un nuovo tipo di arma – una specie di pompa fluorescente che aspira e schizza l’acqua del mare concentrandola in un unico getto letale – si concludono con la rottura della pompa stessa. Alla famiglia, che offre a titolo riparatorio almeno un bicchiere d’acqua, il venditore oppone uno stizzito rifiuto adducendo le prescrizioni rituali del Ramadan.

Due vecchietti, sdraiati sotto il loro ombrellone: lei addormentata stesa di tre quarti, con la faccia schiacciata contro una copia de La Settimana Enigmistica; lui prono con la testa appoggiata sul fianco di lei, una mano a sfogliare la Gazzetta dello Sport e l’altra in un’anacronistica, commovente carezza da fidanzatini.

Una signora appesantita, dall’improbabile bikini viola e dal marcato accento brianzolo, interrompe la trattativa con il venditore indiano di “collane di tartaruga” per chiedergli che effetto fa, a lui e ai suoi colleghi, “tutti musulmani”, la vista di tante donne semi-nude. Il venditore ribatte che lui non è musulmano. La signora insiste che un effetto lo deve pur fare. Il venditore risponde serafico che lui viene in spiaggia per lavorare, non per trovare moglie.

Un suocero presenta ad amici e compaesani la propria nuora, una giovane dai tratti cinesi, venuta senza il marito, sola coi due figli di nome Luca e Mattia. Occhi a mandorla e capelli liscissimi anche per i ragazzi, che fanno gli stessi tuffi e gli stessi capricci di tutti gli altri bambini della spiaggia. Sorrido pensando che la ragazza di via Paolo Sarpi e il ragazzo di Montauro sono entrambi “milanesi di seconda generazione”, ed è bello così.

Un giovanotto dai capelli dritti, non si capisce se per il gel o l’acqua, interpreta tutto compito la sua parte di “beato tra le donne”, folto gruppetto che comprende anche una fidanzata. Il Giovane, ovviamente dotato di cellulare, telefona a svariati amici per richiedere in prestito dei pantaloni “neri, eleganti, taglia 46”, da utilizzare in paese per una certa sfilata di bellezze locali. Il volume delle telefonate è particolarmente alto, forse nella speranza che il paio di pantaloni gli arrivi provvidenzialmente da qualche ombrellone, nel raggio di un chilometro o due. A un ambulante carico di borsette e occhiali, il Giovane domanda quante borsette potrebbe ottenere in cambio della fidanzata. L’ambulante tira dritto. Il Giovane insiste, tra le risatine e finte proteste di fidanzata & amiche. Il venditore, ormai lontano, si gira per ribattere che la ragazza già ce l’ha. Un’ora dopo, ancora gocciolante dall’ennesima nuotata, il Giovane chiede alla ragazza se nel frattempo ha visto “qualche marocchino che le piace”, quindi ribadisce che scambiarla con tre o quattro Gucci finte sarebbe stato un buon affare.

È proprio vero, mi dico contemplando questa distesa di carni al sole che vanno dal nero ebano al rosso gambero: non c’è un luogo dove il potere si iscriva più violentemente che sui nostri corpi.

Valentina Fulginiti