Tuesdays

di Domenico Caringella

Qui a Babylon City il secondo martedì di ogni mese è il giorno dei contrari
Così i semafori proiettano luci di tre diverse tonalità d’azzurro
Mia madre è felice come una ragazzina
Le puttane sulla 7° si scelgono i clienti e dopo un pompino coi fiocchi gli lasciano dieci dollari sul cruscotto
Le mattine sono deserte e grigie solitudini
La polizia si arrende, sempre, e non spara, mai
I ladri restituiscono la refurtiva, ma a persone a cui non è stato rubato niente Leggi il resto dell’articolo

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Rosso Floyd

Rosso Floyd (Einaudi, 2010)

di Michele Mari

 

Tutto comincia con due siamesi avvinghiati per l’eternità: Pink Anderson e Floyd Council, due musicisti blues. Sono loro a fornire lo spunto per il nome dei Pink Floyd, la rock band britannica probabilmente più famosa nel mondo.

Michele Mari ha strutturato il suo romanzo quasi come una sorta di seduta di psicanalisi globale: 30 confessioni, 53 testimonianze, 27 lamentazioni di cui 11 oltremondane, 6 interrogazioni, 3 esortazioni, 15 referti, una rivelazione e una contemplazione. Si tratta di una vera e prop ria metanarrazione in cui amici, parenti, rock star più o meno famose (si pensi a David Bowie ed Eric Clapton), registi (Michelangelo Antonioni, Stanley Kubrick, Alan Parker), scrittori, giornalisti, fan, raccontano la loro verità, discutono, si confessano, mostrano il loro punto di vista. Tutti impegnati a ragionare del grande assente, di colui che – come il pifferaio magico – è riuscito a tenerli sempre tutti legati a sé nonostante il suo non esserci, il non mostrarsi più sulle scene, il suo essersi rifugiato nella sua personale dimensione: Syd Barret.

Prima affiancato sulle scene da David Gilmour, poi – probabilmente a causa di un abuso di LSD – sostituito, Syd è il grande assente, è il collante che – seppure attraverso il rimpianto – continua a legare la band indissolubilmente. È Barret ad essere la vera fonte d’ispirazione dei Pink Floyd. Barret che li ha fatti conoscere al mondo con The Piper at the Gates of Down e che, dopo aver brillato, si è eclissato. Lui brilla ancora in Shine on e in Wish you were here, c’è sempre lui nel battito di Time, nelle liriche e nella mente di Gilmour che tenta di sostituirlo. È sua la voce che accompagna i pensieri, i sogni, le ispirazioni di Waters e Mason.

Syd Barret è l’eterno ragazzo che sogna con gli occhi rivolti al cielo e che non appartiene a questo mondo, l’anima bella e incontaminata, l’uomo che ha segnato un’epoca ed è scomparso, l’incantatore, il pifferaio magico, il misantropo che si è relegato nella sua Cambridge perché inadatto a vivere il suo tempo, l’amico ideale, colui con cui comporre musica e dialogare, fonte di ispirazione.

Il romanzo non è altro che una caleidoscopica ricostruzione di ciò che è stato Syd Barret. È un intenso fluire di emozioni, è il rimpianto per ciò che poteva essere e non è stato, è il ricordo di un uomo che – nonostante ogni sua debolezza e fragilità – ha cambiato per sempre il mondo della musica.

Serena Adesso

Cinema e Buchi

È cominciato tutto da Fino all’ultimo respiro.

Io mi ero appena trasferita a Roma, in un quartiere brulicante di fermenti giovanili, sconquassato da notti alcoliche e albe rissose, inconsapevole raccoglitore di cocci di vetro e vomito notturno. Non conoscevo nessuno e mi sentivo come una maschera al Carnevale di Venezia: vedi attorno a te migliaia di persone ebbre, ipnotizzate da febbrili danze convulse, le puoi osservare attraverso le fessure del tuo travestimento, ma rimani sempre una cornice della città. Ti potresti mettere di fronte ad un negozio di artigianato locale, immobile, a farti immortalare dagli scatti dei turisti.

La soluzione alla malinconia di quelle serate solitarie mi era sembrata uno sparuto videonoleggio, proprio di fronte al mio palazzo, che cercava di farsi largo tra un salone di bellezza e un’officina; ero stata sedotta dal viso di Robert Redford de La stangata, dalle fattezze stilizzate, inedito Diabolik del cinema, stampato sulla vetrina del negozio.

Appena entrata, mi ritrovai in una magico Eden cinematografico: tutti, ma proprio tutti i film, anche quelli più inimmaginabili, quelli cercati inutilmente nelle videoteche di tutta Italia, quelli provati a scaricare da internet con tutti i tipi di mezzi, leciti ed illeciti e “che cazzo, il download si interrompe sempre al 78%!”… beh, insomma, TUTTI, stavano in quel buco di negozio, ordinati per categoria, bramosi di essere guardati.

Io, come una drogata in crisi d’astinenza, mi ero precitata nella sezione cinema francese, leggendo con cupidigia il retro di A bout de souffle, quando, dietro alla schiena, sentii una strana presenza. Eri tu, sbucato silenziosamente alle mie spalle, mi stavi dicendo che quello era il tuo film preferito. Forse perché ti sentivi come Michel, anarchico personaggio, mito di se stesso, a caccia di un’ingenua Patricia da abbindolare. Mentre parlavi mi accarezzavi con l’indice la cintura dei pantaloni, infastidendomi. Scappai velocemente, mi sembravi un personaggio dei fumetti in cerca di rapide avventure sessuali.

Purtroppo l’amore per il cinema, qualche giorno più tardi, mi spinse di nuovo verso quel buco, e verso te, incastonato tra i dvd, vicino alla cassa. Con L’erba di Grace abbiamo sorriso ripensando ai nostri viaggi ad Amsterdam, tra biciclette, funghi allucinogeni e le pazzie di Van Gogh; Control mi ha svelato che sei anche un musicista, convinto detrattore di tutta la New Wave… Sì, perché tu oscilli tra lo psichedelico e il glam, come David Bowie degli anni Settanta tante volte aleggiante nel negozio, e potresti benissimo far parte delle guerre tra spacciatori di City of Joy, in giubbino di pelle, camicia con il bavero a punta e jeans a zampa di elefante. L’insaziabile appetito che ci aveva provocato Primo amore era dettato dall’ansia dell’annientamento per l’altro, talmente potente da non farti nemmeno finire di leggere Il cacciatore di anoressiche.

Così, grazie all’amore selvaggio e distruttivo de La sposa turca, quella sera, dopo la chiusura del negozio, mi ritrovai scaraventata contro uno dei muri di dvd. Mentre la tua lingua procedeva lenta ma inesorabile dall’attaccatura della mia spalla fin dietro il mio orecchio, io vedevo precipitare vertiginosamente da sopra la testa e dai lati del mio corpo, uno ad uno, I quattrocento colpi, Il cielo sopra Berlino, Roma città aperta, Donne sull’orlo di una crisi di nervi….

Ad un certo punto chiusi gli occhi; non capivo più in quale film eravamo finiti, sentivo solo la tua voce che mi sussurrava qualcosa, e i nostri corpi attanagliati in un insieme di sussulti meccanici, la mia schiena premuta sui dvd che, cadendo, emettevano un ticchettio metallico.

“Ora toccami.. Così…sì…Tira fuori la lingua.. Brava…Tira fuori la lingua ho detto!”.

Sempre più furioso, sempre più ansimante… Ormai seminuda, immaginavo la penetrazione del cinema dentro di me, l’orgasmo che mi avrebbe provocato la mia più grande passione facendosi strada fra le mie gambe, rabbiosa, divoratrice. La mia vagina molle era come un bocciolo al mattino, in attesa famelica di nutrimento, linfa, sole, calore…

“Oh cazzo!”.

Silenzio.

Più nessun fremito, nessuno spasimo. I dvd immobili ai loro posti. Dopo qualche secondo riaprii gli occhi.

“Scusa!”.

Come scusa?????!! Non ci potevo credere, il film non era stato interrotto, non era nemmeno iniziato…

Tu tenevi gli occhi bassi, mortificato, tirandoti su i pantaloni.

“Non so che mi è preso… un quindicenne!”.

Io non sapevo che dire, non avevo nemmeno visto il trailer del film per poter dare un giudizio…

“Sono cose che succedono a tutti, magari la prossima volta…”.

Sul pavimento spiccava fra tutti i dvd un doloroso Requiem for a dream

Non c’è più stata una prossima volta.

Probabilmente la cinepresa aveva subito un danno irreparabile, o forse nessuno dei due ha più cercato di farla sistemare… Di tanto in tanto torno a noleggiare dvd, tu sei sempre lì, ma non sei più una sceneggiatura da scrivere, sei unicamente un imbarazzante flop.

È come quando passo davanti al negozio… Non è più il Paradiso dei cinefili, ma semplicemente una triste eiaculazione precoce.

Nadia Turrin