[Ricordiamo ai lettori che Confessioni qualunque, la rubrica curata dai ragazzi di In Abiti Succinti, è aperta a chi voglia scrivere una confessione. Fatelo anche voi! Svisceratevi! E poi inviate i vostri racconti.]
#10 – Noemi
di Linda Caglioni
Che resti tra noi.
Se Dio esiste, dev’essere per forza un pittore. Uno di quei personaggi trasandati, che diffonde la sua arte agli angoli delle strade affamate, con i riccioli unti, incollati alla fronte, consumati dal sonno e dalla troppa libertà.
Deve starsene lì, sotto un portico, a sperare che il berretto accanto al suo cane impegnato a sedurre passanti sia pieno di preghiere, a fine giornata.
E alcuni suoi quadri Leggi il resto dell’articolo
[Da oggi Confessioni qualunque, la rubrica curata dai ragazzi di In Abiti Succinti, si apre anche ai lettori. Si inizia con un racconto di Alessandro Boni. Confessatevi! E poi inviateci i vostri racconti!]
Che resti tra noi, Dio non esiste.
E non pensate che io abbia letto Nietzsche o robe del genere, la mia è un’affermazione presuntuosa dettata da una certa evidenza, diciamo matematica. Non mi riferisco nemmeno a cose lampanti, come ingiustizie insopportabili quali guerre, fame e violenze varie che, si dice, non sarebbero possibili se Dio ci fosse. Del resto i teologi per secoli ci hanno spiegato che il male nel mondo sostanzialmente è il frutto del libero arbitrio che Leggi il resto dell’articolo
Che resti tra noi.
La cosa importante è che mia figlia sia felice.
Che faccia il lavoro che le piace. Il resto viene dopo. Viene dopo l’igiene, i rischi del mestiere vengono dopo i vicini che forse sanno tutto e non dicono niente e anche qualcuno dei miei vecchi colleghi che forse sospetta qualcosa, vengono dopo gli sguardi maliziosi degli amici di mio figlio, viene dopo anche la mia chiusura mentale.
Mia figlia fa l’attrice. Fa l’attrice in quei film per soli adulti, quelli a luci rosse, non quelli dove quando si fa l’amore la telecamera vaga altrove. Mia figlia lavora in quei film dove si vede tutto: Leggi il resto dell’articolo
beato te che non devi mettere il punto dopo una settimana come quella che abbiamo passato. Ma va bene, tu hai iniziato, io metterò una “FINE”. Non la FINE: quella la mette il caso, o Dio, o la BCE. Spero non risulti una patetica e debole fine: è che in tasca pure io non ho molto, se non questa fine, di cui sto per scrivere.
Nei momenti in cui guardando avanti c’era per me solo buio, o nebbia, o deserto, o quando mi sono sentito cadere addosso le stelle, come a te nel sogno che racconti, ho sempre cercato di guardare dentro, e indietro. Ché nei momenti di crisi, ho imparato, si vive uno strano, atavico terrore di separazione (come da etimo), ci si sente chiamati a prendere una scelta, o si ha questa urgenza che preme senza che si vedano possibilità Leggi il resto dell’articolo
“Deve essere sempre così, amore mio. Come se fosse un gioco. Come se fosse. Giura.” Dolores glielo ripeteva quasi ogni volta. Un attimo prima di lasciarsi, la sera, al riparo dagli occhi di tutti gli altri e da Cork, senza sapere quando si sarebbero rivisti, e dopo che avevano finito di ridere o di fare l’amore nel capanno abbandonato sulle sponde del Lee.
Finbar ci aveva messo del tempo per capire. Il senso glielo aveva suggerito lei, con i suoi gesti pieni di slancio e con il suo perenne sorriso; e lo aveva fatto anche il mondo che girava loro attorno con il suo odio e il suo affanno, capace di togliere il respiro agli uomini e alle donne e il colore alle cose, nei quartieri cattolici come in quelli protestanti senza fare alcuna differenza.
Il gioco era divertimento. E aveva regole ben precise. Leggi il resto dell’articolo
il tuo ultimo intervento chiarisce di molto i termini della questione1. Si delinea una galassia di temi dei quali credo nessuno possa essere affrontato isolatamente e una volta per tutte.
Provo a riassumere il quadro emerso finora. L’assurdo che non dà scandalo, e il suo rapporto con la fede2: questo fattore mi pare possa essere preso – su questo, credo, siamo d’accordo – come il modo in cui l’attitudine nichilista alla riduzione della realtà nel puro qui e ora si manifesta nella sua declinazione italiana3. La messa in fuga del reale: il rifiuto della logica come lettura della struttura del reale e quindi come garante dello spazio dialogico, l’indebolimento della presa del reale sul sentire dei singoli, la creazione del nulla: uno spazio sociale e mediatico nel quale manifestare simulazioni condivise di sentimenti. Lo scetticismo etico e il fatalismo: più su ho usato l’espressione messa in fuga del reale e non fuga del reale, per mantenermi distante da una tradizione filosofica nella quale sembra sempre che le cose accadano come “destino dell’Occidente”, e mai che noi le facciamo. Tra fatalismo e scetticismo etico mi pare ci sia un reciproco rafforzamento: le cose accadono perché sì, il che genera un appiattimento del sentire, sostituito spesso da una fervida adesione attiva a ciò che si ritiene essere il destino.4 Assurdo, comunicazione di massa, scetticismo etico: queste mi sembrano dunque le tre componenti – antropologica, tecnologica, filosofica – del nichilismo italiano, le coordinate del nostro spazio, che ti chiedo di aggiustare, se credi. Leggi il resto dell’articolo
A chi appartiene il sangue dentro il calice
Che innalzi? E il corpo che spezzi e spartisci?
Se in effigie tramuti il corpo, e rendi
Carta l’effigie, plastica e cotone,
Io piango i tempi in cui si usava l’oro
Per forgiare vitelli, come grido,
oggi, all’idolo usato per frodare
la festa di quei corpi martoriati
dalle cave ombre di antichi tiranni,
larve per prime schiave
del loro stesso bramare.
A chi appartiene il sangue dentro il calice
Che innalzi? E il corpo che spezzi e spartisci?
È nel calice il sangue di settembre
Che su croce di piombo benedì
Con voce di metallo la sua gente?
È cileno quel corpo che spartisci?
Quali agnelli tu invochi perché accolgano
I peccati del mondo? Se tu màrtiri
Cerchi, sotto le zolle degli stadi
Irrigati dal rosso ti rivolgi?
O al silenzio distrutto dal supplizio
Che i boia inflissero alle sante carni,
carni di figli, che in piazza, le madri,
lucenti di grazia, nere di lutto,
Chiedono in nome del corpo e del calice?
Non vederli risorti è loro colpa?
A chi appartiene il sangue dentro il calice
Che innalzi? E il corpo che spezzi e spartisci?
Mentre le masse, raccolte per l’idolo,
Vestono i colli gravati da macine
D’asino, mentre nel tempio ai mercanti
Lo spazio si prepara,
Io testimonio con sommo timore:
Io testimonio per quanto di Cesare
Viene accettato o preso, e a Dio offerto,
Io testimonio la stirpe di Giuda,
Per la quale, domenica,
Il Salvatore verrà bestemmiato.
A chi appartiene il sangue dentro il calice
Che innalzi? E il corpo che spezzi e spartisci?
È di Augusto quel sangue,
È di Augusto quel corpo,
È del Giuda che un popolo tradì
Senza gettare quei trenta denari,
Senza conoscere albero e vergogna.
E nel tempo in cui l’idolo fu carne,
Anima e spirito, carne al servizio
Per sedere alla destra del Signore,
Quella carne, di bianco rivestita,
Il tuo gregge con scandalo mirò
Mentre stava alla destra,
Alla destra di Giuda, le cui nozze
Benedì tramutando in vino il sangue;
Quando il gregge mozzarsi preferì
Gli occhi, i piedi, e le mani,
Perché quell’uomo erede di quel Pietro,
Chiese che Giuda non fosse impiccato,
Lui disse al gregge di rendere a Dio
Grazia e perdono che primo non chiese.
Per chi innalzi quel sangue dentro il calice?
Per chi spezzi quel corpo che spartisci?
E queste mie, parole senza scandalo,
Saranno spreco e compagne di vento
Perché in ginocchio, pregando, a te affido
Il mio petroso pianto di straniero.
Io testimonio con sommo timore
Ed è per questo che infine ti chiedo:
In quale vigna, da umile, lavori?
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