Vuoi parlare, per favore?

Anna è partita. Al parchetto di San Lorenzo il sole sbatte sull’erba, i coatti litigano con i punkabbestia e fanno casino perché non si mettono d’accordo su chi deve vendere il fumo a dei pariolini. Mi allontano e mi stendo sull’erba, mi guardo i piedi, mi tornano in mente le tette tonde di Anna, mi prude il naso, mi gratto, mi annoio, mi alzo, mi stendo, mi rialzo e un po’ apatico vado nel cortile della facoltà. C’è una festa di giocolieri che se ne stanno spalmati al sole con i diablo nei tascapane militari. Gli impasticcati se ne stanno in un angolo e molleggiano sulle barche. Le femministe del collettivo appendono manifesti alla parete, leggo: «Elezioni studentesche 11 e 12 maggio… visto che non li vedete mai… INFO per l’uso: comunione e liberazione hanno votato l’aumento delle tasse, università in movimento, movimento de che?, appalti e mafie di ieri e di oggi». C’è una tizia carina che ho visto al corso di psicologia clinica, è bionda vera e magra magra, sembra un’attrice che ho visto in non so che film, c’è la tizia di Lecce coi capelli rossi e la cinta borchiata che parla sciolta con il tizio di Campobasso col dalmata, c’è la moretta col piercing al labbro che mi guarda e io pure lei da 3 o 4 anni ma non abbiamo mai parlato, c’è Gino che butta la bottiglietta d’acqua a un cane marrone che la rincorre e abbaia, ci sono i leninisti di Potenza, c’è il tizio rasato con la barba di Autonomia sarda che si mette sempre la mimetica e la maglia dei CCCP, ci sono tutti, ognuno si fa i cazzi suoi e io apro un libro di Donata Francescato.

«Vuoi parlare, per favore?»

Alzo lo sguardo e vedo Irene, una biondina che sembra olandese ma è di Ravenna. La guardo in silenzio.

«Vuoi parlare, per favore?» ripete.

«Di cosa?»

«Che ne so? Quello che stai leggendo, quello che pensi, quello che ti pare».

«Finisco di leggere ‘sto pezzo».

«Ti dispiace leggere ad alta voce?»

No, dico e leggo: «Molti giovani sono apatici, poco interessati a problemi sociali di cui non vedono la soluzione; preferiscono non definirsi né in politica né in altri campi, esitano a divenire adulti, non si sposano, né cercano un lavoro stabile; spesso si fanno mantenere dai genitori, studiando senza troppa fretta per arrivare alla laurea; quando sono più socievoli vivono con amici, suonano strumenti, girano filmetti, si divertono, viaggiano con pochi soldi».

«Interessante,» dice Irene.

«Siamo una generazione di iperperplessi,» dico.

Restiamo in silenzio con le pupille che zigzagano per l’imbarazzo.

«Vuoi parlare, per favore?» ripete Irene dopo un po’.

«Parlami tu,» dico «raccontami qualcosa di te…»

«Ti racconto di me da bambina?»

«Benissimo».

«Io da bambina stavo così bene, allora le cose mica andavano così, quando ero bambina il tempo ancora non l’avevano inventato, passavo le giornate nei campi a parlare con i ragni e le lucertole e a immaginare storie col mio fratellino, immaginavamo storie e poi le vivevamo, ci passavamo le giornate così. Da piccola ero convinta di essere amica degli insetti tipo Phenomena, glielo dicevo sempre alle mie amiche che le api a me non mi pungono, ma loro non mi credevano e io un giorno mi sono vendicata: le ho portate vicino al fiume, ho fatto cadere due alveari e le api sono impazzite, hanno morso dappertutto le mie amiche e a me mi hanno lasciata in pace. Io da piccola ero convinta di essere un maschio, stavo sempre coi maschi, ci sono rimasta così male quando mi sono venute le mestruazioni, a casa erano tutti contenti e io per niente invece. Poi, al liceo, c’era un professore di storia e filosofia che mi piaceva tantissimo, ci andavo d’accordo all’inizio, studiavo e andavo bene, lui mi stimava e io stimavo lui, poi è impazzito, ha cominciato a trattarmi malissimo, a farmi le battutine, mi rendeva ridicola, non lo sopportavo più e ho cambiato scuola e sono andata a vivere a Ferrara, lì ho conosciuto Maddalena e dopo il liceo sono andata a vivere a Bologna con lei, ci siamo iscritte a Filosofia, ma per due anni non abbiamo fatto niente, ci siamo trasferite a Roma e ci siamo iscritte a Psicologia. Sto seguendo, sto dando qualche esame, ma sto odiando questa facoltà perché ci si entra con la voglia di migliorare il mondo e si esce con un prodotto di qualità da spacciare e pubblicizzare… Capisci che voglio dire?»

«Sì».

«Ma ti sto antipatica? Puzzo? Che ho? Vuoi parlare, per favore?»

«Ti sto ascoltando. Raccontami tu, ieri sera sono andato a un concerto grind a Torre Maura e oggi sto un po’ così».

«La mia coinquilina è impazzita. Ha preso un cane, l’ha chiamato Baghera e a casa sta sempre apatica, non pulisce, non dà niente da mangiare al cane, non parla, non studia, non si droga, non beve, non fa niente, io non so che fare, veramente, io proprio non so che fare, da quando sono arrivata a Roma ho cambiato 7 case in 5 anni, ora sono fuori corso, fuori sede, fuori dal mondo, fuori dal tempo e dallo spazio, fuori da tutto e non ce la faccio a traslocare tutto di nuovo, poi ci si mettono pure ‘ste cose assurde che ci fanno studiare e ci propinano come dogmi, ‘sto controllo ossessivo, ‘sti esami a crocette, voglio dire, se la vedo con una logica di mettere cemento sul cemento mi va pure bene, ma altrimenti… ma vuoi parlare, per favore?»

«Ti ascolto».

«Ma perché nessuno ha voglia di parlare? Forse perché ho le tette piccole o il culo molle? Dimmi la verità… è per questo che non mi parli? È così?»

«Ma che dici?» ti ascolto.

«Mi preoccupa questa cosa, veramente, io ho paura di non capirmi più con le persone, con Maddalena prima era un’altra cosa, pensavamo insieme, eravamo una simbiosi, ora ho paura di essere giudicata, sto sempre agitata, non parlo e non parlo, parlo e parlo troppo o dico stronzate, non bevo e sono noiosa, bevo e sono petulante; veramente, io non so che fare, torno a Ravenna e non mi ci ritrovo più, resto e Roma e mi sento sola nella babilonia, penso e non studio, studio e non penso, bah. Non riesco a trovare un canale per esprimermi, ho comprato un cane e me lo porto sempre a Villa Gordiani, l’ho chiamato Armando ma non mi basta, io ho bisogno di gemellarmi… ma vuoi parlare, per favore?»

«Ti ascolto Irene».

«Ma vuoi parlare, per favore?»

«Te l’ho detto, sto strano oggi, il concerto mi ha stravolto, mi sento sotto a un tir, non mi va, vado, mi dispiace».

«Ma che ho che non va? Perché fanno tutti così con me? Le femmine mi evitano e i maschi mi parlano giusto cinque minuti smezzati tra il pre e il post orgasmo, loro, perché io un orgasmo vero non l’ho mai avuto…»

«Non è colpa tua. Sono io che sto un po’ così,» dico.

«È un problema di colori che mi fanno sprofondare e le sfumature nelle gocce e gli arcobaleni e le cose che vedo io e che gli altri non noteranno mai. Il giorno e la notte e la neve e il sole e il detersivo per i piatti e la scala e lo spalaneve e i serpenti velenosi e i cactus e le piante grasse in generale e i mammiferi e la poliandria e l’ontogenesi e la filogenesi e gli eucarioti e i procarioti e i millepiedi e i treppiedi e i treni partono in ritardo e non sopporto la pubblicità alla TV e uno e due e tre e il gelato alla vaniglia e il barbiere di Siviglia e rosso e blu. Ma vuoi parlare, per favore?»

«Sto un po’ così oggi, il concerto grind, Torre Maura…» dico.

«Ciao,» dice. Tira fuori il diablo dal tascapane militare e si mette a giocherellare.

Fabrizio Carucci

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