Storia delle Utopie Economiche nei Mercati Globali /4

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3. La condanna delle utopie: l’economia dello sviluppo

L’economia dello sviluppo nasce nel secondo dopoguerra, caratterizzato dalla ricostruzione in Europa e dalla contrapposizione dei blocchi scaturiti dalla guerra fredda, mentre si avviava il processo di decolonizzazione e i nuovi stati rivendicavano una disciplina che si occupasse dei loro specifici problemi. Nel 1944, a Bretton Woods, nascono la International Bank for Reconstruction and Development, altrimenti nota come World Bank (Banca mondiale), e il Fondo monetario internazionale (I.M.F.). Come ebbe a dire H. Truman nel suo discorso di reinsediamento alla presidenza degli Stati Uniti (20 gennaio 1949), si trattava d’indicare la via liberal-capitalista della prosperità agli stati di recente indipendenza caratterizzati da sottosviluppo, ovvero da bassi livelli di crescita economica, altrimenti attratti dal modello concorrente socialista. La visione ottimistica del cosiddetto paradigma della modernizzazione era fiduciosa nell’uniformità del processo di cambiamento economico, sociale e politico già avvenuto nelle società del primo mondo. Quest’ultimo era interpretato in termini di passaggio da una situazione di arretratezza a una caratterizzata da industrializzazione, urbanizzazione, e alti livelli di benessere materiale. Su queste basi, l’Occidente pretendeva di applicare le elaborazioni di tale auto rappresentazione al terzo mondo, considerato di conseguenza un blocco unico e indifferenziato. Tutte le più importanti teorie economiche del periodo partivano dal presupposto comune che lo sviluppo consistesse in un processo evoluzionistico mosso da forze endogene lungo stadi temporali validi per tutti i paesi. Leggi il resto dell’articolo

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Generazione TQ. Il manifesto letto da uno scrittore trentacinquenne fuori dai giri

Una cosa è certa: la generazione trenta-quaranta è ossessionata dagli anni Ottanta.
Li buttiamo nel cesso, poi li andiamo a riprendere e li laviamo con cura. Li poggiamo sulla mensola dell’ingresso e aspettiamo che si impolverino, poi li prendiamo e li nascondiamo nello stanzino. Un giorno, mentre stiamo decidendo se andare al mare o cominciare a scrivere la storia che ci ossessiona da qualche mese, ci ricordiamo che sono rimasti chiusi nello stanzino per tanto tempo e li andiamo a riprendere, controlliamo che sia tutto a posto, li guardiamo e li ributtiamo nel cesso, tirando lo scarico. Dopo due giorni facciamo un’incursione disperata nelle fogne e li ritroviamo. Ce li contendiamo con topi e scarafaggi e li riportiamo a casa. Pulizia e restauro e di nuovo in bella esposizione sulla mensola di casa con tanto di foto trionfale su facebook. Non riusciamo a capire se ci piacciono da morire o se li detestiamo, se sono stati la nostra palestra adolescenziale o la nostra dannazione culturale. Ci vantiamo di essere andati a sentire gli Europe dal vivo al Teatroteam di Japigia e ci ricordiamo che a Bari quel giorno nevicava e che due giorni dopo uno che conoscevamo è morto di overdose (da eroina e non da ecstasy) e passiamo intere serate a guardare su youtube le frangettone di Sanremo ’83 e le migliori scene di Grosso guaio a Chinatown. Poi spegniamo tutto e leggiamo Pincio e Pynchon, Wallace e Barth, Vonnegut e Benni. Leggi il resto dell’articolo