TQ, niente di nuovo sul fronte occidentale

«[…] in Italia gli intellettuali sono lontani dal popolo, […] e sono invece legati a una tradizione di casta, che non è mai stata rotta da un forte movimento popolare o nazionale dal basso: la tradizione è libresca e astratta e l’intellettuale tipico moderno si sente più legato ad Annibal Caro o a Ippolito Pindemonte che a un contadino pugliese o siciliano»

Antonio Gramsci

1.

È dall’uscita di New Italian Epic nel 2008, poi pubblicato da Einaudi Stile Libero nel 2009, che ci si domanda quale possa essere la via da percorrere per fare buona letteratura per l’Italia del nuovo millennio, o come riportare questa a un ampio numero di persone. Ciò, come è logico, è un problema che si pongono in particolar modo gli addetti ai lavori e chi i libri li ama. Ed è proprio nel memorandum dei Wu Ming che, ancora una volta, l’obiettivo viene centrato abbastanza bene. Almeno rispetto a quanto si legge sui Manifesti TQ, pubblicati sul loro blog e poi rilanciati da Nazione Indiana, che segnano, sotto certi punti di vista, un passo indietro Leggi il resto dell’articolo

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Per oggi non mi tolgo la vita

Per oggi non mi tolgo la vita (Exorma, 2011)

di Alfonso Brentani

 

 

Il narratore protagonista del piccolo romanzo Per oggi non mi tolgo la vita probabilmente non è estraneo all’autore, almeno a giudicare da un’intervista che lo stesso Alfonso Brentani ha rilasciato alla compagine di Fahrenheit (radio 3).

Entrambi pretendono un sacrosanto diritto di vederla in una maniera che non è mai andata per la maggiore e oggi meno che mai: farla finita ben prima del tempo, il che ancora non è reato (in un paese come il nostro ancora sotto l’egida del Vaticano la cosa non è scontata – potrebbero sempre farla pagare alle mogli, ai figli, ai genitori: i vertici della Chiesa Cattolica essendo meno feroci dei talebani solo perché dall’Illuminismo in avanti qualcuno li ha presi a legnate, non certo perché si siano evoluti da soli). Il narratore dice chiaro e forte il suo diritto di obiezione di coscienza alla vita; esprime insomma un’etica e un’estetica del rifiuto, non sai quanto per propria agonia esistenziale, quanto per sovrana, foscoliana ribellione ai codici (molto americani direbbe forse l’autore) del contemporaneo.

Primo romanzo, questo del giovane scrittore sardo, che deve molto al Male Oscuro di Giuseppe Berto. Ma anche al grande Bianciardi; la ricerca dell’autenticità è la chiave d’accesso alla vita, e la letteratura dunque si definisce come il luogo in cui in gioco è la verità stessa delle cose. Direi anche Morselli, non a caso sfigatissimo e solitario. E, sul piano stilistico, certo monologare anni Settanta che parte da Malerba e arriva oggi fino a Paolo Nori (con la differenza che Brentani ha cose più intelligenti da dire).

L’autore dunque cerca il tono comico-ironico per disinnescare il dramma dell’incapacità di vivere. L’ironia è strutturale nonché amarissima, un po’ dilatata e ripetitiva – va detto. Sta nella composizione più che nel dettato della frase. Dapprima c’è il “fatto”, in cui l’io narrante se la deve vedere con il gas della marmitta, fallimentare arma del suicidio. Il protagonista prova a uccidersi più volte ma i suoi tentativi falliscono. Nell’Antefatto che segue (proprio così), attraverso il flashback il racconto ci riporta a precedenti prove suicidali; nel frattempo ci tiene aggiornati sul suo presente tragicomico.

Il flusso di coscienza studiatamente strampalato potrebbe ingannare il lettore, ci avverte Brentani; non v’è bisogno di essere un fuoriuscito per decidere di farla finita. La prospettiva potrebbe blandire anche la mente più lucida della terra. Diritto al crollo, al patetismo, alla sconfitta, alla rinuncia – autore e narratore rifiutano in modo radicale un’idea della vita che oggi segna tutto nei termini antinomici vincente-perdente.

Per oggi non mi tolgo la vita ricorda che la scelta del suicidio può essere più normale di quanto non si ritenga abitualmente, ecco. Non è un clochard, il protagonista; è un editor, e il suo malessere ha tratti forse più esistenziali (già da bambino non gli andava bene niente – parole sue) di quelli del protagonista di un altro libro di questi mesi, Aspetta primavera, Lucky di Flavio Santi, scrittore già consolidato, la cui – del narratore – rabbia sembra più sociale; meno nichilista di questo, e altrettanto delicatamente virulento.

Brentani si dice estimatore di musica “Black metal”: da quelle parti il nichilismo abbonda e alle orecchie di chi scrive in modi niente affatto seducenti. Fortuna che nel libro non si vedono tracce di satanismo e altre forme sottoculturali di quel tipo; né il narratore istiga al suicidio alcuno – fortuna insomma che Brentani come scrittore e prima come lettore sembra meno corrivo e goffo di quanto non sia spesso la sua musica di riferimento – non ce ne voglia. Il ragazzo è simpatico, ha qualcosa da dire e sa scrivere (tre qualità difficili da trovare insieme in un solo giovane scrittore). Perciò, ci piacerebbe che continuasse a farci compagnia.

 

Michele Lupo

 

Face to Face! – Massimiliano Governi

Massimiliano Governi è nato e vive a Roma. Ha pubblicato per Baldini&Castoldi Il calciatore (1995). Per Einaudi Stile libero L’uomo che brucia (2000) e Parassiti (2005). Un suo racconto è stato pubblicato nell’antologia Gioventù cannibale (1996). Come editor della narrativa italiana ha lavorato alla Fazi editore dal 2004 alla fine del 2007. Da maggio del 2008 è alla Elliot edizioni.

Andiamo a fare quattro chiacchiere con l’editor delle collana Heroes di scrittori italiani della Elliot.

Perchè hai scelto di fare l’editor?

In realtà non l’ho scelto io, ma Sandro Veronesi. Gli ho sempre dato delle gran dritte per i suoi romanzi, che lui mi faceva leggere in anteprima. Finché un giorno mi ha detto: ma perché non fai l’editor? Io ci ho pensato un attimo e poi ho detto: Uhm.

Quali sono state le difficoltà iniziali e quali i punti forti che ti portavi dietro?

La vera difficoltà all’inizio è stata l’esposizione. Dover parlare, incontrare gente. Le riunioni. Ma poi si trattava per lo più di calarsi nei libri. E quello lo sapevo fare bene, meglio degli altri.

Cosa hai pensato quando hai visto il tuo primo libro (scelto) pubblicato?

Ho pensato che c’era la mia firma su quel libro. Avevo fatto un editing d’autore, ricordo.

Cosa dovrebbe non avere un editor?

Se è anche uno scrittore, non dovrebbe avere paura di svuotarsi. Non dovrebbe risparmiarsi e dare idee, anche geniali, senza sentirsi frustrato.

Riprendendo la recente questio tra Lish e Carver: quanto un editor fa lo scrittore? E tu intervieni molto sui tuoi autori?

A volte intervengo molto. Alcuni testi, forse preso da un delirio di onnipotenza, li ho riscritti. Altre volte ho avuto un rispetto e uno strano timore dell’opera, e per paura di rovinarla mi sono limitato a segnalare piccole cose. Un editor non fa uno scrittore. Uno scrittore fa un editor, però. Parleremmo ora di Gordon Lish se non avesse lavorato con Carver e Richard Ford?

Il libro su cui vorresti mettere le mani per provarti?

Uno del passato. Forse Menzogna e sortilegio di Elsa Morante. Pieno di cliché e ripetizioni e storie intrecciate che però non vanno da nessuna parte.

Tu sei anche uno scrittore. Quando sono gli altri a fare l’editing sul tuo lavoro come ti comporti?

Devo dire che sono così severo con me stesso che quando consegno un testo c’è molto poco da fare. Le mie parole sono pietre che ho impiegato anni per poggiare sulla pagina. Credo sia difficile toglierle, o anche solo spostarle.

Consigli a chi vuol farsi pubblicare. Cosa fare e cosa non fare.

Non mandate il libro via email, pieno di indirizzi e numeri di telefono. Lasciate piuttosto il malloppo sulla scrivania dell’editor, senza firma e senza recapiti. Come ha fatto mi pare Celine. Farete impazzire l’editor, che verrà preso dall’ansia di rintracciarvi ancora prima di iniziare a leggerlo.

L’incipit più bello che hai letto?

Dei classici, quello de Lo Straniero di Camus. “Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so”.

Dei libri che ho pubblicato io “Se non mangio tutto poi arrivano i Cariolanti”. Di Sacha Naspini.

Il finale ideale di questa intervista?

La cosa che ho detto sulle parole dei miei libri che sono come pietre è davvero pretenziosa. Sembravo Alessandro Baricco.

Alex Pietrogiacomi