Válečky o guida sentimentale alla Mitteleuropa

In anteprima assoluta, vi proponiamo un estratto dal romanzo di Gabriele MerliniVálečky o guida sentimentale alla Mitteleuropa, da mercoledì 20 novembre nelle librerie per i tipi di EffeQu.
La prima presentazione di Válečky si terrà giovedì 21 novembre a Firenze alle ore 18 alla IBS, in via de’ Cerretani 16/R (dietro piazza Duomo). Introdurranno Vanni Santoni  e l’editore Francesco Quatraro.

Belforterstraße, Prenzlauerberg.
Berlino, Germania.
20.03.2009 h. 23.47.

Se ricordo bene a Praga Lukáš, il compagno di Kat’ka, si occupa delle finanze di una società che provvede a sensibilizzare i media sulla cancellazione del debito in Africa e armare i bambini sotto i nove anni. Stando alla cronaca Kaťka e Lukáš non sono sposati e per questo il nascituro (ecco la news) potrebbe essere definito a tutti gli effetti un figlio di Satana. Feto che germoglierà nella perdizione, finirà per sputare contro i crocifissi e magari un giorno ucciderà sua madre e quel fesso del padre nel sonno.
Chiedo a Kaťka se mancano sul serio cinque mesi nel momento in cui verifico di persona la presenza di una pancia gonfia sotto la felpa, sfoggiata al tavolo del pub dove la conduco dopo averla spaventata al semaforo. Raccolti i capelli in coda e con una serietà che trasfigurava in sensualità, Kat’ka stava scrutando i passanti con l’amore di colei che intenda aprire il fuoco contro l’invasore.
«Sul serio? Che domanda di merda sarebbe?» mi apostrofa.
«Nel senso?»
«Nel senso: esiste una modalità per essere incinta falsificando le carte?»
C’è poco da fare: la adoro. Leggi il resto dell’articolo

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Un racconto vincente – #selezionenaturale

A Firenze succedono cose. C’è una scena, è viva; alla sera si incontrano al Caffè Notte. E proprio al Caffè Notte hanno organizzato le due edizioni di Torinounasega – mentre le presentazioni dei libri in genere si tengono a La Citè, dove siamo stati nel 2009, il giorno prima dell’inizio del festival Ultra. Ricordo che Vanni, dopo quella sera, disse che non si erano mai viste tante persone a un reading a Firenze. Tutto merito vostro, gli risposi. Da allora ne sono successe di cose, a Firenze, e se ne è parlato parecchio su internet ma anche la carta stampata, grazie a qualche attento osservatore, ha dato delle risposte. In effetti è un gran momento di fermento per la scena fiorentina, ma le cose succedevano anche prima e i protagonisti erano sempre gli stessi, ma da più giovani. In principio (2000-2005) c’era Mostro, che ha visto tra i fondatori Magini, D’Isa e Salimbeni. Nel giugno 2006 ha visto luce Slipperypond, con, tra gli altri, Gabriele Merlini, Francesco Ammanati, Lorenzo Orlandini, Alessandro Raveggi e Vanni Santoni. Nel frattempo Magini & Santoni si inventano il metodo SIC, e tutto quanto da allora fino alla pubblicazione di In territorio nemico di cui sarete informati. E ancora: Firenze ha visto arrivare tre ragazzetti di Potenza e fondare – e prendere così l’eredità di Mostro – l’ottimo Collettivomensa; sempre in tema di riviste c’è pure RiotVan, nata in seno a un laboratorio universitario, e magari ci sono altre realtà – in rete e fuori – di cui ignoro l’esistenza (ma che invito i fiorentini a segnalare nei commenti). Quindi, in sintesi: Firenze è viva, e vive. E la scena ha dimostrato, come abbiamo visto in occasione dell’indecente Festival dell’Inedito, di essere forte e coesa quando c’è da lottare per le giuste battaglie. Ma la pianto qui, anche perché parlar di loro mi viene pure difficile, molti di loro li conosco, li incontro spesso, alcuni di loro sono amici; insomma, tutto questo retorico preambolo era solo per dire che, in questo momento particolarmente felice per la “scena fiorentina”, approda nelle librerie Selezione naturale – storie di premi letterari (effequ, 2013), antologia curata da Gabriele Merlini (coi racconti di Vanni Santoni, Alessandro Raveggi, Gabriele Merlini, Marco Simonelli, Gregorio Magini, Francesco D’Isa, Collettivomensa – che approfitto di queste poche righe per ringraziare del gradito omaggio personale presente nel racconto –  e Valerio Nardoni) e da cui vi proponiamo Un racconto vincente di Francesco D’Isa. Buona lettura.

Gianluca Liguori

Se mi si sottoponesse una lista minuziosa delle persone che lo conoscono, e quantunque vi possa leggere tra gli altri il nome di quella pover’anima della madre, della moglie sventurata o del disgraziatissimo figlio, non potrò che ribadire: nessuno conosce Filippo Maria Abbadi meglio di me. Questa sicurezza, lungi dall’essere una spacconeria, si declina in una pura e dimostrabile verità, ed è il motivo che fa di me la persona più indicata a raccontare come anche in quell’occasione la sua arroganza fu Leggi il resto dell’articolo

Quei pazzi scatenati dell’editoria

Pazzi scatenati. Usi e abusi dell’editoria italiana (Effequ, 2012)

di Federico Di Vita

Se c’è una cosa che m’è garbata subito del libro di Federico Di Vita, è che i problemi li sviscera senza bisogno di tanti giri di parole, e non è un fatto da poco in un mondo come quello dell’editoria, dove di bei discorsi sulla qualità dei libri e sulla necessità delle buone pratiche se ne sentono a bizzeffe, ma poi nella realtà si riscontra ben altro.
La cosa interessante, poi, è che si tratti di un discorso che proviene dall’interno del sistema, fatto da chi nell’ambiente ha cercato di sopravviverci per anni, e che poi ha deciso che tanto valeva fare altro, perché in qualche modo si deve pur campare – e qui arriva l’altro aspetto centrale del libro, quello sulle condizioni di chi lavora per le case editrici, dove molto spesso si va avanti tra contratti atipici e stagisti non pagati.

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Clandestina

Quella che segue è l’introduzione a “Clandestina” (Effequ, 2010), un’antologia curata da Federico Di Vita ed Enrico Piscitelli, che raccoglie «uno spaccato della produzione letteraria proposta dai migliori blog collettivi e riviste on-line del nostro Paese».

 

Un giorno al Giglio ho conosciuto un vecchio che al Porto non c’è andato mai. Vive in cima al Castello e per andare al mare è sceso sempre dalla parte di Campese. E non c’è andato neppure troppe volte al mare, per uno che ha spaccato pietre tutte isolane. Il vecchio non si è allontanato mai dal Giglio. Al Castello c’è una comunità che gioca a mattonella, prepara il panficato e ha nomi senesi: Aldi, Pini e Landini. Sono i figli di quelli che hanno piantato a vigna le greppe dopo la razzia del ’500, che le aveva lasciate abbandonate. Contadini, figli di contadini. Alla fine del ’700 altri pirati attraccavano a Campese, risalivano la collina pronti a mettere a ferro e a fuoco un’altra volta l’isola (non che nel frattempo non si fossero più visti), ma la nuova aggressione fu respinta, e i corsari decimati non tornarono più. Da quel giorno al Porto nacque una comunità, pescatori che seguivano le rotte del pesce azzurro, da nord o da sud, genovesi e campani. Parlavano dialetti diversi, avevano altre abitudini. Vivono lì da due secoli. Il vecchio, che avrà più di cento anni e che non è uscito mai dall’isola, ha fatto il possibile per non incontrarli mai.

Una volta a Londra c’era un’importante partita di pallone. Era un quarto di finale di Coppa dei Campioni e l’allenatore della squadra di casa era squalificato. I giocatori del Chelsea Football Club una partita così non l’avevano giocata mai, e l’allenatore, che era Mourinho, per non lasciarli soli, invece di starsene in tribuna si infilò nel cesto dei panni sporchi nello spogliatoio. Ci rimase tutta la partita e i giocatori lo trovarono lì nell’intervallo. Durante l’incontro comunicò con la panchina via sms e per spiegare le tattiche fece arrivare ai giocatori dei pizzini. Il Chelsea vinse 4-2.

Un’altro giorno ancora un ragazzo scappava scavando a bracciate le acque del Tigri. Si chiamava Abd-ar-Rahman e non era un giovane come gli altri, era un principe. Le frecce avvelenate fischiavano senza centrarlo, scappava da Damasco. La sua stirpe veniva sterminata. E mentre si apprestava alla sua vita da fuggiasco ancora non poteva immaginare che dopo aver corso come un keniota lungo tutto il Maghreb sarebbe giunto in Spagna, in Andalusia, e lì, da esiliato e migrante sarebbe tornato principe, e avrebbe fatto di Cordoba la capitale del regno più splendente al mondo.

Un’altra storia l’ho letta in un libro. Ad Hanoi c’è la statua di un soldato in ginocchio, “con le mani alzate e gli occhi impauriti”. Il pirata dell’aria era sui cieli del Vietnam quando il suo aereo veniva colpito e lui dovette premere il tasto di espulsione. L’esplosione che lo catapultò in aria – è una piccola carica di dinamite a farti saltare fuori da un caccia in picchiata – gli ruppe tutte e due le gambe e un braccio. Dopo di che fu catturato dai nemici, da quelli che lui considerava nemici, insomma dagli altri. Per la precisione cadde in un laghetto nel centro di Hanoi, dove “i piloti di cacciabombardieri erano particolarmente odiati, per ovvie ragioni”. I vietnamiti, i civili, nuotavano nel lago per andarlo a massacrare. Un soldato nemico lo trafisse all’inguine con una baionetta. Un altro gli spaccò una spalla. Poi fu tenuto in cella per alcune settimane, dopo le quali un medico gli ricompose un paio di fratture senza nessuna anestesia. Non tutte, un paio. Il soldato, che ormai è un vecchio, ancora oggi non riesce ad alzare le braccia sopra la testa. Il suo peso scese a 45 chili, gli altri prigionieri erano certi che sarebbe morto. Delirava, per il dolore. Un giorno, mesi dopo, quando il prigioniero riusciva appena a stare in piedi, venne portato nell’ufficio del comandante nemico. Quello gli disse che era libero, poteva andarsene. Saltò fuori che suo padre – il padre del soldato – era diventato il capo delle forze navali americane, e l’idea dei vietnamiti era liberare il figlio, in quello che potremmo definire uno slancio di Realpolitik. Il soldato rifiutò. “A quanto pare il Codice di condotta per i prigionieri di guerra diceva che i prigionieri andavano liberati nell’ordine in cui erano stati catturati”. Il nostro uomo rifiuta di violare il codice. Il comandante non gradisce e gli fa rompere lì, nel suo ufficio, le costole, e gli fa ingoiare i denti. Quindi ripete il suo invito. Il soldato rifiuta ancora, o con gli altri o niente. L’uomo, che rimase altri quattro anni in una stanza grande come il vano di un camino, è l’ex candidato alla Casa Bianca John McCain.

Altre storie finiscono in relitti di gommoni in fondo all’Adriatico o nei centri di espulsione di Lampedusa o di Ponte Galeria. Alcune galleggiano negli sguardi concentrici di una pittrice in manicomio, o in quelli di terroristi, che non sanno ciò che fanno; o di migranti, che non hanno scelta. Di queste storie comincia a essere fatto ciò che resta di questo Paese, le cui risorse e le cui pulsioni migliori cominciano a essere relegate allo stato di clandestinità. La speranza è che trovino spazio. La differenza, tra le quattro raccontate qui sopra e quelle che cominceranno una volta girata la pagina, è che le storie che state per cominciare sono più vive, più belle.

Federico Di Vita