Quand’è che la paglia piglia fuoco

Ròba che poi vallo a capire, facile mica, il momento — se c’è stato un istante preciso, alla fine, determinabile e inequivocabile — in cui è scoppiata la scintilla, e la paglia, insomma, ci siamo intesi.
Perché no, non può darsi, non ci arrivo a una spiegazione razionale, fàmmici riflettere, dovrei adoperarmi in una ricostruzione che si prenda la briga di escludere la follia, il clàc dell’accendino in un pomeriggio di quiete campestre, tutto nella norma, come un qualsiasi altro pomeriggio pretemporada, gli schemi difensivi sul campo d’allenamento, Manuel Preciado — uomo canuto, sapienza e baffi madidi di sudore — la spartizione delle pettorine, il sacco coi palloni nuovi, Manuel Preciado con in mano la bacchetta, come un direttore d’orchestra, i segni sull’erba, movimenti come d’oboe e di timpano: capito com’è, spiega, in intimità, che Canella e Gregory stringono, Rivera retrocede, Jorge chiude, Javier taglia, facciamo così, faremo così quando dovremo mettere il risultato in banca.
Forse lì, ecco, in quell’allegoria innecessaria, lì c’è l’origine del baluginio d’inferno ceruleo negl’occhi, senza preavviso, nemmeno una twitterata preventiva, #stoperfareunacazzata, #jmj15-m, la testa che si volta in uno scatto di falco che punta la preda, la rincorsa breve, il baricentro basso, come s’usa per tirare un calcione, un calcione alla palla, e l’allenatore colpito in pieno, in pieno sul faccione ingordìto, pasciuto, prima di Leggi il resto dell’articolo

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Dialogo tra una Signora Perbene e un Macellaio de Roma

Signora Perbene: Quanto costano questi, gentile Ugo?

Macellaio de Roma: 150 euri ar chilo,signò.

Signora Perbene: Un occhio della Testa!

Macellaio de Roma: Già, Signò. Un occhio della testa.

Signora Perbene: Me ne dia due, allora. Per cortesia, Ugo.

Macellaio de Roma: Du’ occhi de’ a testa pe a Signora. Ecco a lei, Signò.

Signora Perbene: Una domanda, Ugo. E questi quanto costano?

Macellaio de Roma: 200 euri ar chilo!

Signora Perbene: Ma, Ugo, è l’ira di dio!

Macellaio de Roma: No, Signò. È l’euri di dio.

Dario Falconi


‘A STRAGGE D’A’MARANELLA

‘A STRAGGE D’A’MARANELLA

    – Buongiorno.

    – Prego!

    – Marlboro light e una ricarica Vodafone da 50.

    – Marlboro light le ho finite signorina, e la ricarica ce l’ho solo da 20.

    – Allora mi dia Camel light e due ricariche da 20.

    – Ho le Camel gialle e solo una ricarica da 20.

    – E le Pall Mall blu ci sono?

    – Solo da dieci.

    – Mi dia due pacchetti.

    – E la ricarica?

    – Me ne dia soltanto una da 20.

    – Ho anche quelle da 10.

    – Allora una da 20 e tre da 10, ne ha?

    – Soltanto due.

    – Va bene, mi dia solo quella da 20. Quant’è?

    – Con le sigarette, 23e70.

    – Ecco.

    – Non ne ha spicci?

    – Come scusi?

    – Non ho il resto.

    – Ho soltanto 100 euro, mi dispiace.

    – Aspetti che mando il ragazzo a cambiare, Mario vieni!

    – (…)

    – Mario? Mario? Ah Marioo!!

    – (…)

    – Scusi ma ho molta fretta non fa niente, devo andare.

    – Signorina aspetti ‘n attimo! Mario viè un po’ qua, vai a’ cambià i soldi de sta signorina da Oreste! Ah Mario ma che stai a’ fa’? Mariooo!!!

    – Grazie lo stesso, arrivederci.

    – Eccolo qua signorina, ah disgraziato ma che n’ce senti?

    – Aho ma che voi? stavo ‘n bagno!

    – Non posso più aspettare, devo andare, buon giorno.

    – Ma signorina è ‘n attimo!

    – Grazie lo stesso. Buongiorno.

    – Scusi tanto, arrivederci.

    – Ammazza che bionda!

    – Ah disgraziato, lo sai chi è quella?

    – Me sembra tanto ‘na battona!

    – Mortacci tua Mario! Nun scherzà, ‘o sai chi è?

    – Te dico de no, nun l’ho mai vista!

    – E te credo! S’è appena trasferita coi fiji e er marito. O sai chi è er marito, Mario?

    – Chi è, er sindaco?

    – Si, er papa! Ma che stai a’ di’? possibile che nun sai gnente? Oreste n’t’ha detto gnente?

    – Ma che me doveva dì? Se po’ sapè chi è sta bionda o stamo a fà i pacchi?

    – Che stamo a’ fa?

    – I pacchi, i ‘ndovinelli! Me dici chi è?

    – È a’ moje de uno, uno famoso.

    – Aridaje! A moje de Totti?

    – Si, de Bruno Conti!

    – È un calciatore?

    – Macché calciatore!

    – Uno d’a’ tv?

    – Manco ppegnente!

    – Un regista? ‘No scrittore? Un finanziere?

    – None, none none! Nun ce stai proprio!

    – Un politico?

    – Quasi.

    – Er sindaco?

    – Ah Mario ma n’ce senti? O me stai a cojonà?

    – Ah, io te starebbi a cojonà? A’ Cristià? Io? ma poi che me frega a me de sta stronza e del marito sua! Se n’è pure ita!

    – Ah Mario, co sta gente nun se scherza, stai ‘n campana! Statte attento!

    – Ma chi, co quella? Ma se n’c’avrà manco 20 anni?

    – E infatti che te sto’ a dì? Ar marito devi da sta attento!

    – Ma se po’ sapè chi cazzo è sto marito de sto cazzo? Eh? Chi è?

    – T’ho dico?

    – Ah Cristià e daje un po’!

    – Quant’anni c’hai Mario?

    – Si, tu sorella quant’anni c’ho!

    – Quant’anni c’avevi nell’80?

    – Lo dicevo io che stamo a’ fa i pacchi!

    – Dajè ma’, quant’anni c’avevi? ‘Na decina?

    – De meno. Famo cinque.

    – Se te dico Bologna e te dico due agosto e poi te dico

    – A Cristià e strigne un po’! Tu ‘na cosa me devi da dì!

    – A’ stragge de Bologna, Mario.

    – ‘Mbè?

    – Come ‘mbè?

    – Che vor dì?

    – Che vor dì? Er marito de quella c’entra ca’ stragge de Bologna!

    – Si, ‘n par de cazzi!

    – Eh, ‘n par de cazzi si!

    – Ma che stai a’ di! A’ cazzaro!

    – Cazzaro a me? A’ regazzì, n’te permette!

    – A stragge de Bologna, a’ Cristià? Ma che stai a’ dì?

    – A’ verità Mario, è a’ verità!

    – E chi tt’ha detto?

    – A parte che l’ho visto e se riconosce

    – Chi tt’ha detto, Oreste?

    – Che c’entra Oreste?

    – Tt’ha detto oreste?

    – Si vabbè ma che vor dì?

    – Ecco appunto capirai, Oreste! A stragge de sto cazzo, Cristià!

    – Mario sei proprio ‘n regazzino, comunque io t’ho avvisato, vedi che vuoi fa!

    – Me devo da sta attento Cristià’?

    – Te devi da sta attento si!

    – Sinnò poi arimette n’antra bomba vè? A Torpignattara Cristià? A’ stragge d’a’ Marannella, o magari a’ Policastro, a’ scola!

    – Scherza scherza, ma poi nun te lamentà! Co sta ggente nze sa mai, nun zo mica cambiati! Se so’ ripuliti ma so’ sempr’i’stessi! Ma che ne voi sapè tu, che ne sapete voi ggiovani d’e’ bombe e de sti zozzi che ‘e metteveno! Sai quanti ne pistavamo io e Oreste alla tua età? Erano artri tempi, e sai che te dico? Che se stava mejo allora, artro che!

    – Bella Cristià, se vedemo!

Pierluca D’Antuono, 16 marzo 2010

La banda dello stivale, ovvero la Seconda Unità d’Italia – 9

[Continua da qui]

Si narra che i cinque giunsero a Bologna con largo anticipo, e che per tutto il tempo d’avanzo continuarono a criticare la città emiliana, rea di aver perso quell’aura che la caratterizzava durante gli anni ottanta e novanta. L’arrivo non fu d’altronde dei più accoglienti, visto che trovarono strisce blu a pagamento ovunque, financo fuori delle mura, e furono costretti a dilapidare diversi euro per il parcheggio (di quelli che tenevano in un barattolo di vetro per conserve, detto anche fondo cassa comune).

Sotto i portici, poi, la desolazione era così tanta che si sentivano risuonare soltanto i loro passi claudicanti, strascicati per via dell’acido lattico che bucava i muscoli delle loro gambe di scrittori, abituate più che altro a star sedute – con l’eccezione di quelle appartenenti all’imbianchino scribacchino, che in quanto a movimento non era messo poi così meglio degli altri.

Inoltre, da ferventi credenti quali erano, essi mandarono non poche bestemmie durante l’estenuante ricerca di un punto wireless da cui postare alcune notizie sul loro blog.

Gli è che le cinque menti bacate non ci riuscivano affatto a staccarsi dall’infernale aggeggio virtuale, tanto che, nonostante tutti i proclami per la folle impresa podistica, si erano prefissati anche lo scopo di tenere un diario di bordo – si vede che si sentivano capitani coraggiosi e navigati – dove documentare il viaggio con alcune simpatiche impressioni – ché oltre la simpatia non riuscivano proprio ad arrivarci, almeno non con la penna.

Insomma, finirono col bruciarsi le due ore pomeridiane in eccesso a scorrazzare per la città col portatile in mano a mo’ d’antenna, finché non raggiunsero Piazza Maggiore, dove s’iscrissero presso l’apposita postazione telematica per usufruire della connessione. Tutto questo per offrire quelle quattro righe a pochi sfigati lettori – quanti mai ne potevano avere infatti questi ribelli novellatori, già consapevoli di non poter ambire ad antologia alcuna, se non grazie a un’azione extraletteraria? – anziché riposarsi il tempo necessario a non far sembrare il loro reading una lettura dei salmi in notturna.

Oltretutto, il locale adibito alla performance era sprovvisto di microfoni, e con annessa sala di avventori ben poco interessati alla letteratura, e in particolare a quella dei cinque intossicati – dei famosi miasmi di cui all’inizio – e infervorati parolieri.

Nonostante tutte le complicazioni, pare che al momento giusto furon ripescate le forze residue per tenere il palcoscenico – in realtà un piano rialzato con divano – e che addirittura vi fu chi suonò in sottofondo per accompagnar quei versi – uno che a dire il vero, a giudicar dal cognome, sembrerebbe personaggio inventato di sana pianta; ma, come si dice, a volte la realtà supera la fantasia.

La serata scivolò insomma via liscia, bagnata dal solito vinello, perché i cinque trucidi non andavano affatto per il sottile in certi ambiti, e toscano o emiliano che fosse, l’importante era il non abbandonar la tinta rossa.

E dunque, a forza di girarci intorno, è giunta l’ora di prendere la palla al balzo – o sarebbe forse meglio dire il bicchiere – per parlare delle strane idee politiche che i nostri s’eran messi in testa. D’altronde il nostro Presidente, e in testa al corteo un suo Ministro che altrimenti non si sarebbe potuto vedere, l’avevano detto di stare attenti a certi artisti profittatori del bene comune, avvezzi a sputare nel piatto in cui mangiano, che nella fattispecie era quello del sistema Italia. Un sistema inespugnabile, verrebbe da dire col senno di poi…

Simone Ghelli

Trauma cronico – Noi chi?

Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,

proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.

E solo perché sei cattolica, non puoi pensare

che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.

Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.

 Pier Paolo Pasolini


C’è una buona nuova per il nostro futuro, di quelle da poter stare sereni: Walter Veltroni torna alla vita politica del PD.

Quando la scorsa settimana ho saputo di questa notizia mi sono sentito risollevato, finalmente ottimista, pur non negando di essere un po’ preoccupato e dispiaciuto per i bambini africani, quelli che conservano ancora quel pezzo lasciato lì, che aspettano oramai da oltre sei anni il nostro Walter nazionale, politico, nonché autore del libro NOI.

Di certo avrebbe avuto un gran da fare, l’ex sindaco di Roma, nel continente nero (paraponziponzipò?), avrebbe potuto chessò, come Rimbaud dedicarsi al contrabbando d’armi, oppure investire in scuole ed ospedali, ma no, meglio l’appartamento a New York; l’ex lider del PD è uno che guarda avanti, al futuro.

Però mi chiedo: ma quando parla di noi, di chi parla, il nostro buon Veltroni? E noi che paghiamo 400 euro per una stanza a Roma con estranei, noi che ne guadagniamo 700, noi che non è che viviamo, noi che resistiamo, senza nemmeno la certezza che quei soldi, quel lavoro, ci saranno anche il prossimo mese. E noi?

Noi che una volta almeno c’era il Partito Comunista, noi che abbiamo trovato soltanto piccole rifondazioni suicide. Noi che oggi, sebbene avessimo buone ragioni per votare quel che resta dei Comunisti, o Sinistra e Libertà, o PD, o addirittura Di Pietro, abbiamo ottime ragioni per non votare nessuno di questi, per non votare. Noi, senza futuro, che ce lo siamo presi nel culo.

Noi che un figlio come lo manteniamo, noi che una casa come la compriamo. Noi che ci è toccato Berlusconi, noi che se ci è toccato Berlusconi è anche e soprattutto per colpa di quell’altra parte.

Noi che sappiamo che i D’Alema, i Bersani, i Veltroni, sono come Berlusconi; sono stati loro a consegnare questa misera Italia nelle mani del Cavaliere e dei suoi accoliti. Noi che siamo incazzati.

Veltroni sì che tornerà di moda, Veltroni piace a tutti, addirittura più di Rutelli, che geloso s’è creato la sua alleanza nuova di zecca, strizzando l’occhietto a Casini, e sotto sotto al Cavaliere. La politica in Italia, è un tristo funerale che dura da vent’anni…

Ma non tutti i maiali vengono per cuocere, come dice il proverbio. Per i figli dei maiali, per non farli crescere maleducati, per l’educazione dei figli c’è Rai Educational, disponibile per coloro che hanno acquistato un nuovo televisore oppure il tanto pubblicizzato decoder, ovvero la tassa sulle televisioni; che vita sarebbe senza decoder?

E per i figli di nessuno, i figli dei comunisti ad esempio, nel caso non venissero mangiati rimarrebbero dei veri scostumati, mentre i figli degli internauti saranno educati come grillini al grido di “Vaffanculo”… ah la civiltà italiana, la cultura italiana!

Il futuro è finalmente roseo, anzi no, azzurreo, come quello che trasmette la mia televisione dall’avvento del digitale terrestre, che poi, ad esser sincero, quell’azzurro è molto più interessante della maggior parte dei programmi che trasmettevano prima. Bella così, è la televisione, azzurra, trascorrerei ore lì davanti, ma purtroppo o per fortuna ho sempre cose ben più interessanti o divertenti da fare.

Gianluca Liguori

Precari all’erta! – Resistere o reagire?

L’intervento della settimana scorsa ha dato vita a una serie di risposte che si sono sviluppate su facebook e su alcuni blog, ad esempio su Clobosfera e su Vaghe stelle dell’Orsa .

Si tratta di un effetto di non poco conto, che dimostra l’importanza e l’impellenza del problema sollevato, ma che ha generato tutta una serie di riflessioni ad esso collegate che in alcuni casi rischiano di creare un po’ di confusione.

Si è parlato di fuga di cervelli all’estero, di artisti e intellettuali incompresi, della nostra tradizione di migranti, ma un punto mi ha colpito più di tutti: la mancata reazione da parte di un paio di generazioni (tra cui la mia) alle quali le ultime classi dirigenti hanno praticamente rubato il futuro. E’ la generazione che usiamo definire dei precari, di chi si è ritrovato con la laurea in tasca (e a volte anche il dottorato) a dover scegliere tra la fuga verso un paese migliore e la prospettiva di rimanere in Italia a fare il primo lavoro che capita, che spesso non ha niente a che vedere con l’istruzione acquisita e le esperienze precedentemente maturate.

Ciò che balza subito agli occhi è un senso diffuso d’insoddisfazione, che però molto raramente produce prese di posizione o azioni atte a modificare la situazione esistente.

Tanto per fare un esempio, chiunque può andare sui siti delle varie università italiane e constatare che continuano a fioccare i cosiddetti insegnamenti a contratto, molto spesso gratuiti o con un corrispettivo di poche centinaia di euro. Bisognerebbe avere la forza di dire di no a simili proposte, che sono dei veri e propri ricatti propinati con l’illusione di poter costituire un accesso privilegiato ad altre posizione. Bisognerebbe poter dire di no, ma i più accettano perché non ci sono alternative, e per qualcuno pronto a dire di no ci sarà sempre una nutrita fila di altri pronti ad accettare, così come ormai accettiamo la prassi del master e dello stage dopo la laurea, con la conseguente prospettiva di non entrare effettivamente nel mondo del lavoro (quello che ti paga e ti permette di costruirti qualcosa di tuo) prima dei 30 anni.

Eppure, a ben vedere, di questa generazione precaria se ne è parlato e se ne parla non solo in internet, ma anche tra le pagine dei libri o nelle immagini di alcuni film e documentari nostrani. Insomma, non è certo l’informazione a mancare, quanto piuttosto una presa di coscienza collettiva, una reazione che non si limiti all’indignazione individuale. Ciò che appare anomalo è l’anaffettività generalizzata che caratterizza il nostro paese da almeno un ventennio, e che è il frutto di più cause convergenti che hanno avuto l’effetto di allontanare le nuove generazioni dalla sfera del politico. Un allontanamento che si è tradotto da un lato in totale insofferenza e disaffezione verso la politica, dall’altro in un’adesione passiva al sistema della delega (sistema rafforzato dalla complicità di gran parte degli organi d’informazione). Il risultato è che l’Italia è diventata oggi un “paese per vecchi”, e di conseguenza disinteressata a coltivare un qualsivoglia interesse per la ricerca, l’istruzione o la cultura.

Una minoranza, quella dei precari, che per resistere deve trovare nuovi modi di organizzazione e di trasmissione del sapere e delle competenze acquisite nel corso degli anni. Il dibattito in rete può essere un buon inizio, ma è necessario che esso prenda corpo nelle azioni di tutti i giorni, che non si fermi insomma allo sproloquio.

E’ soltanto attraverso l’individuazione di un terreno comune che la resistenza (di chi ha deciso di rimanere) può trasformarsi in reazione, nella creazione di un’alternativa a un sistema in cui, nel migliore dei casi, possiamo sperare di sopravvivere tra mille rimpianti.

Simone Ghelli