Appunti biodegradabili dalla terra della fantasia – 9

A Roma ho recuperato una mia vecchia tastiera da collegare al portatile, ma dopo una settimana non sono ancora riuscito ad abituarmi, sono lento, le dita si muovono con fatica e incontrano una durezza che ricorda i tempi – sarà stato dieci anni fa – in cui adoperavo la macchina da scrivere di mio nonno. Mi ci vorrà un po’ per abituarmi, inoltre nella settimana messa alle spalle ho scritto poco, quasi mai al computer e di rado su internet. Ho usato per parecchi mesi, prima di comprare il portatile nuovo, due anni e mezzo fa, questa tastiera con cui devo entrare in confidenza. È il secondo pc a cui faccio saltare i tasti, al vecchio saltarono prima la L e poi la A. La tastiera che ha perso la O era la migliore che avevo trovato, dovrei trovare qualcuno che riesca a ripararla.
Come vi dicevo la scorsa settimana, sabato sono stato a Lucca Comics Leggi il resto dell’articolo

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Videor ergo sum

Da giovane non mi sarei mai permesso, nel giudicare un’opera o una persona,
di cedere alla ripugnanza che essa mi suscitava senza alcuna ragione.
Oggi do più credito alle mie antipatie.
Jean Rostand
 
La bellezza delle cose esiste nella mente che contempla.
David Hume
 
La bellezza è negli occhi di colui che guarda.
Margaret Wolfe Hungerford
 
Ci sono cose graziose, eleganti, sontuose, avvenenti,
ma finché non parlano all’immaginazione non sono ancora belle.
Ralph Waldo Emerson
 
 

Se ci si fa caso, la «pulchritudo» di cui parla Baumgarten rimanda al concetto di «arte come principio dell’armonia universale» di Pitagora e alla “theia mania” – intesa poi come furor – di Platone. Il buon Orazio trovava che bisognasse «miscere utile et dulci» e che il brutto fosse nel – per usare una sola parola – caotico. Per Leonardo, invece, l’arte non imita, ma crea e condivide l’oraziano «delectando docere». Bisognerà aspettare Vico perché si cominci a distinguere il ruolo della fantasia (arte) da quello della ragione (filosofia), ma è soprattutto Schelling che – pervaso di Sehnsucht romantica – arriverà a parlare di «attività» unica nel suo genere e capace di calmare l’infinito conato umano mettendone in luce le intime contraddizioni.

Il Positivismo, infine, sia nella veste originaria ottocentesca che in quella riveduta e corretta novecentesca, darà all’arte solo una funzione ancillare: una posizione che precorre il «riflesso della situazione sociale» attribuitale dal Lukács, teorico dell’estetica marxista. Leggi il resto dell’articolo

Metodica delle cose inutili – La verità

La verità.

Se non ci fosse la verità, dimmi tu come potrei mentire?

Proverbio tardo ugaridico, secondo alcuni pre-armeno.

Dovremo spendere delle parole sull’inutilità perfetta e tetragonica della verità, e quindi sulla sua centralità nel nostro sistema di esistenza, che sembreranno ai più ridondanti: l’inutilità della verità rispetto a qualsiasi prassi concreta e immaginale della vita è, infatti, di palmare e luminosa evidenza. Il nostro discorso varrà dunque come esortativo e catechistico, e sarà volto a rinforzarci nella fede che tributiamo al sistema, per mezzo della constatazione stupefatta e ammirata della grandezza del concetto di verità, ossia della sua totale e numinosa inutilità.

Numinosa, misticamente delirante, miracolosamente illusoria, se solo ci si sofferma a constatare che, quando pensiamo alla verità, abbiamo chiaro in mente con immediatezza qualcosa che esprime l’esatto opposto del concetto di verità. Verità, da etimo, è qualcosa in cui si crede per atto di fede: è un’astrattissima costruzione della fantasia. Astratta e vischiosissima. Una macchina inesorabile dalla quale è impossibile scappare, congegnata com’è per pochissime operazioni autoreferenziali: della verità si può predicare che è una, assoluta e certa; con un sofismo che non la intacca nella costituzione, che è molteplice e assoluta in maniera transitoria; che non c’è, il che comporta che la frase la verità non c’è non può essere vera.

Con la verità non se ne esce fuori. Cadere sotto il suo ambito, è cadere in trappola. Una trappola tranquillante e anestetizzante. Quando siamo sotto il registro della sua dittatura, infatti, altro non facciamo che collocarci in due condizioni comodamente ripartite: la verità ci concede solo o di credere in essa, o di farsi congegnare, ridisegnare da noi entro i suoi ben delineati limiti: essere comandati o comandare.

È il nostro sistema di potere, che si basa saldamente sulla verità, perché, prima di tutto, la verità, con le sue tentacolari costruzioni del come deve essere, e del così come è, ci allontana con uno scarto impercettibile ma gagliardo dalla vita. La verità del come deve essere espresso teologicamente dalle ideologie; la verità del così come è imposto fisiocraticamente dalla retorica del realismo, tutte le varie sfumature elaborate da questa macchina, sono, infatti, le sole ad essere capaci, con verità e per ultime, a tenere a bada lo slancio, la forza e il paradosso della vita, che vive e muore.

La verità è il fondamento mistico di un sistema della paura e della vigliaccheria, la rivendita di una fede che offre la liberazione da qualcosa che non è una prigione.

O Morte, dov’è il tuo pungiglione?”, grida l’uomo di verità, che non sa, o finge di non sapere, che in processione, quando si festeggia il dio della vita, è il dio della morte ad essere venerato.

Pier Paolo Di Mino


Metodica delle cose inutili – Ancora sul potere

Ancora sul potere.

Dobbiamo tornare sul fondamentale concetto di potere, così come siamo arrivati ad intenderlo, ossia come potere da ottenere contro qualcuno o qualcosa, e da esercitare contro qualcuno o qualcosa. Abbiamo definito con rigore questa concezione come servile, perché il fine al quale ci chiama una simile lotta è quella di vedere gli altri assoggettati. Potremmo completare il concetto rivelando come anche chi si ritrova ad assoggettare gli altri è, inoltre, non meno asservito dei primi, non potendo fare a meno del vincolo di servitù che lo lega con costoro. Si obietterà che così si ritorna in qualche modo, sottilmente, al prototipo del re come colui che è comandato di comandare, e al potere come servizio. L’obiezione cade nel vuoto perché si dà per ovvio che l’inutilità altro non sia che una denigrazione e una parodia della realtà prototipa, che, purtroppo, non può essere eliminata e incombe sempre come minaccia.

Studieremo ora come il potere, nei suoi diversi stili, non può e non deve fare a meno di ripetere minuziosamente questi meccanismi servili.

A partire dal suo linguaggio. I greci, che hanno tanto pensato sull’uomo, privilegiandolo sul divino, concepiscono la natura umana come intrinsecamente infelice. Ad essere felici sono gli dei, con i quali, eppure, condividiamo la medesima matrice: sia un dio che un uomo nasce dalla terra. È questa comune matrice che fa sperare il greco in una perfettibilità dell’uomo che lo possa rendere simile a un dio. Simile a un dio, e negato ad un destino di disperazione, appare in Omero il feroce Agamennone e, suo contraltare, il capriccioso Achille. Aristotele non vorrà troppo allontanarsi da questa fantasia, reputando l’uomo, in quanto eretto e pensante, simile a un nume e, quindi, in cima ad una immaginifica scala gerarchica che lo pone al di sopra della natura. La natura può essere usata a piacimento dall’uomo. E non solo, perché, fra gli uomini c’è chi è più divino, eretto e pensante: per esempio il maschio nei confronti della femmina e, giacché qualcuno nasce schiavo di natura (non ci può essere altra spiegazione!), il padrone nei confronti del servitore. E da questa figurazione nevrotica, in chiave malinconica, nutrita di senso di inferiorità e mania di persecuzione che deriviamo in scioltezza il linguaggio della supremazia e della sudditanza. Una necessità insieme di supremazia e sudditanza. Chi non vede bene subito questo blocco, può essere illuminato dall’importanza data nelle determinazioni del potere alla parola controllo. Controllo è una parola che ci è molto famigliare. Non c’è bisogno di ricordare che la nevrosi altro non è che un particolare modo di usare la propria fantasia, imbrigliandola in concetti chiusi e oppositivi, concretizzati realisticamente (quel realistico parodia della realtà): per sua natura è una forza che si oppone al libero fluire della realtà. La parola controllo (contra rotulum, contro il rotolare) è la parola di questa opposizione. Tutti sappiamo che dobbiamo avere tutto sotto controllo o conosciamo la premura degli stati ad offrire garantita la sicurezza per tutti: queste sono solo un esempio delle tante parole chiave che costituiscono quella intima soddisfazione del piacere personale di ogni paranoico. Una paranoia soddisfatta al punto tale da potere essere definiti fra i primi mattoncini della nostra concezione del potere. Controllando, infatti, non facciamo altro che instaurare con la realtà un rapporto fatto di vincoli, e di asservirci in esso. Rinunciando al libero fluire della realtà, del resto, rinunciamo a quella forza libera che i greci chiamavano Dioniso. Rinunciamo a un potere reale per una rassicurante esistenza di servaggio. E dall’istinto al controllo che viene il vincolo della supremazia e del controllo.

Se ora siamo tutti edotti su come il controllo sia costitutivo nella nostra concezione servile del potere, possiamo passare alla valutazione di quegli stili che ci permettono, per così dire, di usare la macchina. Dovremo insomma parlare del prestigio, dell’ambizione, dell’efficienza, del carisma.

Pier Paolo Di Mino

Metodica delle cose inutili – Il potere

Il potere.

Il potere è un verbo servile.

Ciò che non è inutile, può sempre diventarlo. Eserciteremo questo concetto su un tema sostanziale della nostra concezione di vita: il potere.

Il potere, secondo una nota fantasia etimologica, sarebbe un potis esse, l’essere un signore, un re. Un re, ora, altro non è che un uomo comandato dagli altri di comandare. Se l’atto in sé del suo comandare è un servizio agli altri, è chiaro che anche l’oggetto di questo comandare altro non può essere che il servire gli altri. Il potere, allora, è un servizio, qualcosa che si ottiene dagli altri per gli altri. La più estesa nozione di democrazia dovrebbe essere in questa senso intensa come il riconoscimento della piena regalità (della sua disposizione e capacità a servire gli altri) di ogni individuo della collettività.

Noterete che questo ragionamento coglie i nessi per analogia e per metafora, spingendosi verso l’esterno con vigore. Per raggiungere l’inutilità dovremo seguire una rotta del tutto opposta.

Non è difficile, perché se il precedente è un ragionamento (il che ci chiama pur sempre ad un impegno) quello che noi dovremo seguire è piuttosto il filo tenace di un sentimento che nutre dal profondo la maggior parte delle nostre azioni: la nevrosi. Nella nevrosi, infatti, riusciamo con abilità a non cogliere mai l’insieme a favore dell’ossessiva contrapposizione delle parti. Come nella guerra di Swift dove si contende se essere devoti al sedere dell’uovo o al suo cacume perché non si riconosce più l’uovo nella sua totalità.

Per arrivare a concepire il potere come qualcosa che si ottiene contro qualcuno o qualcosa, e che si esercita su qualcuno o su qualcosa, la chiave è semplicemente questa: nutrirsi di bizzarre fantasie nevrotiche. Come, per fare un esempio sempre valido, la fantasia della gazzella e del leone, secondo la quale tutte le mattine una gazzella si sveglia e, non si sa perché, comincerebbe a correre inseguita da un leone anche lui in vena di attività atletica. Per fortuna nella realtà il leone, più saggiamente, bada a non sprecare in maniera vana le proprie energie, dorme venti ore al giorno, fa cacciare le sue femmine, e si accontenta di mangiare le gazzelle più male in arnese con grande vantaggio della comunità delle gazzelle, che devono aver finito, per questo motivo, di reputarlo il loro re, se non quello di tutti gli animali. C’è anche la fantasia della giungla: la vita è una giungla dove si lotta per vivere. In verità in una giungla si lotta per non morire, il che è una notevole sfumatura: ma un nevrotico è tale appunto perché le sfumatura non le coglie più. Come nel famoso racconto del Nazareno che passa in un posto di Gerusalemme dove c’è una piscina. Dicono che nella piscina tutte le mattine si bagni le ali un angelo e che il primo che si laverà nella piscina verrà guarito da tutti i suoi mali. Il Nazareno, una mattina, nei pressi di quella piscina vede un paralitico e gli viene da ridere, perché insomma, un paralitico in una gara di corsa non vincerà mai. Glielo dice pure allo storpio, ma dai, tirati su e impara a reggerti sulle tue gambe invece di fidare in queste storie. Parla per metafora, e, pare, quella metafora la capisce pure il menomato, che prende e se ne va. In seguito si è parlato di miracolo, perché un nevrotico ha un solo modo di leggere le cose, e un miracolo può sospendere solo in via del tutto eccezionale la sua unica realtà: che la vita è una lotta.

Potremmo moltiplicare gli esempi, ma reputiamo di essere stati chiari.

Aggiungiamo solo una variante importante di questo sentimento nevrotico, quella che non riconosce la benigna natura immaginale della nevrosi stessa. In questa variante la capacità di vedere una cosa in contrapposizione del tutto viene rimossa e penalizzata con un efficacia manovra di demenza mistica. Il potere diviene il male a cui si contrappone il bene e l’amore. Un modo come un altro per dare consistenza a una fantasia disturbata.

Potete scegliere una qualsiasi delle due opzioni, l’importante è che consideriate sempre il potere come un vincolo servile, da ottenere servilmente (dovremo più in là esplorare i concetti di ambizione, dovere, onore, efficienza e via dicendo), per ottenere dei servi.

Pier Paolo Di Mino

Trauma cronico – Frigidaire ti voglio bene

Questa domenica vorrei porre alla vostra attenzione una vicenda che mi rattrista molto, emblematica dello stato che vive la cultura oggi nel nostro paese: il comune di Giano dell’Umbria vuole sfrattare Frigolandia.

Frigolandia è la prima Repubblica Marinara di Montagna, Territorio Autonomo della Fantasia, Città immaginaria dell’Arte Maivista, Ashram socratico, Monastero eurotibetano, Accademia delle invenzioni e della musica.

Frigolandia è la patria di Frigidaire, storica voce della controcultura italiana diretta da Vincenzo Sparagna. Come spesso ho detto, ritengo Sparagna un intellettuale di quelli rari. Ascoltarlo parlare è sempre un’esperienza unica, si impara ogni volta un sacco di cose, è magnetico il suo parlare, la sua figura, le sue parole sono pesanti come macigni. Ma l’Italia è sorda, non ha orecchie per ascoltare, sente, non ha occhi per guardare, vede, non ha parole, muta, non ha forze per reagire, subisce.

Un paese martoriato che non riesce a risorgere senza perire. Siamo al trionfo dell’osceno, dell’assurdo, dell’impensabile. La totale assenza del senso del decoro, l’inimmaginabile farsa. Anzi no, la caricatura di una farsa.

L’Italia di oggi è la stessa che ieri ha ammazzato Pasolini all’idroscalo di Ostia quella maledetta notte del 2 novembre 1975. Il cadavere martoriato del poeta che non ha avuto giustizia è l’Italia in marcescenza che egli aveva profetizzato. Oggi i nostri intellettuali non scrivono editoriali sui giornali né vanno in televisione. E su quelli che ci vanno, stendiamo un velo pietoso.

Cos’era Frigidaire lo sapranno probabilmente soltanto i lettori che hanno qualche anno in più. Ai giovani dico solo che in redazione c’era un tal Andrea Pazienza, che tutti voi son certo conosciate. E poi, come più volte mi ha ribadito mio zio, a Frigidaire va il grande merito storico di essere stati i primi in Italia a parlare di aids.

Il mio appello è rivolto soprattutto a quelli più grandi di me, che sappiano spiegare ai più giovani, che debbono ancora imparare, imparare a non dimenticare. Vi invito a leggere la storia negli ultimi editoriali di Vincenzo Sparagna sul sito di Frigolandia e, naturalmente, sostenere e diffondere la causa.

Sono in gioco opere di Andrea Pazienza, Stefano Tamburini, Tanino Liberatore, Filippo Scozzari e tanti altri grandi artisti, oltre allo storico archivio della rivista Frigidaire, un patrimonio incredibile.

È assurdo di come in Italia la cultura sia sempre più bistrattata ed ostacolata. Diventiamo sempre più bestiali.

La cultura è abolita. Il pensiero è stato condannato all’ergastolo. La fantasia è stata proibita.

Gianluca Liguori

Face to face! – Paolo Baron

Toilet è una realtà letteraria giovanissima, tenace, incredibilmente in mutazione e soprattutto capace di tirare fuori veri e propri conigli dal cilindro.

La testa (rasata) dietro questa energia editoriale è Paolo Baron e mi sono fatto due chiacchiere veloci con lui…

Toilet. Detersivo, detergente, profumo o che?

Scelgo il detergente, un detergente profumato per le ansie del quotidiano, direi. Toilet, la nostra raccolta di racconti da leggere in bagno è un momento di distacco da tutto quello che è fuori dalla porta (del bagno appunto) che è poi il luogo dove “consigliamo” di leggerlo, almeno ci piacerebbe che fosse così, anche se in metro, tram, aereo va bene lo stesso…

Quando avete messo la prima maiolica e perché?

Alla fine del 2005, volevamo mettere su carta quello che già pubblicavamo su web (www.toilet.it) per il puro piacere di raccontare storie. Ci piaceva l’idea di farci leggere anche lontano da un pc, partendo appunto dal bagno. Il numero 0 rimase in giro per 6 mesi prima di accorgerci che la gente lo aveva richiesto ancora e ancora presso le librerie amiche dove lo avevamo “poggiato” per vedere cosa succedeva.

Chi legge e chi scrive Toilet ma soprattutto cosa rende un racconto “da Toilet”?

A leggere e scegliere siamo in dieci, editor di professione, scrittori e non. Tutti sfrenati lettori di libri.
Lo scrivono tutti coloro che hanno la voglia e le qualità per mettere su carta un’emozione o una storia ben raccontata, con una bella prosa senza lungaggini.

Ma si può fare sesso in un bagno?

Non esiste un posto dove non si possa fare sesso, non credi? Il bagno offre una serie di spunti, la vasca, la cabina doccia, non esiste un limite alla fantasia. Quando la natura si scatena non guardi dove sei.

La domanda voleva portarti alla vostra ultima fatica “I love porn”. Ce ne parli e ci dici come avete scelto i porno scrittori che hanno macchiato la carta?

Anche se è un progetto ben distinto, abbiamo voluto utilizzare lo stesso sistema di raccolta di toilet, il nostro sito internet, abbiamo inserito il link a www.iloveporn.it e poi un bando che diceva: pornografia: s. f. trattazione o rappresentazione, in scritti, disegni, fotografie, spettacoli, di temi o soggetti osceni, fatta senza altro intento che quello di stimolare eroticamente i fruitori.

Ci è arrivato di tutto, e credimi, ci sono i termini per un’indagine sociologica su: “l’interpretazione della pornografia del nostro tempo”. Abbiamo letto tutti i racconti pervenuti ed abbiamo capito che esiste una confusione tra porno, sesso e descrizioni schifose degli atti più strambi e spesso disgustosi che puoi immaginare, ma questa è un’altra storia. Così, scelto il meglio dal materiale ricevuto, abbiamo reclutato direttamente un piccolo gruppo di autori ed autrici a cui abbiamo chiesto di trasmettere un’esperienza, un’idea, un sogno.

Il risultato è un volume pieno di racconti a base di sesso intenso, chiaro, vibrante, a volte estremo, a volte dolce. A sfondo ironico, misterioso o politico. Sesso nella sua magia e nelle sue aberrazioni, l’ho scritto anche nell’introduzione.

Tu sei anche un musicista e te la servo lì: la colonna sonora ideale per stare sotto le coperte?

Questa tua domanda è troppo bella per essere vera, era preparata, lo diciamo? Infatti mi permette di annunciare l’uscita di PLAY TO LOVE.

Volevamo diversificare l’offerta, insomma: “non solo libri”.

PLAY TO LOVE è un cd espressamente scritto e registrato per fare sesso. Niente compilation e robe tipo love songs. Abbiamo inciso una lunga serie di brani cercando di trasmettere una sensazione di pace e relax. Siamo stati attentissimi a non infastidire con suoni distorti o batterie assordanti, abbiamo lavorato nota per nota, rullanti e casse, per regalare un’atmosfera diversa agli spazi dedicati all’intimità. Le ritmiche di PLAY TO LOVE ti “cullano” senza mai eccedere in velocità, oscillando, tra i 60 e i 90 bpm, una velocità volutamente vicina alla frequenza cardiaca (70-75 bpm in un essere umano adulto a riposo), così da trasmettere, in maniera subliminale, un’ulteriore sensazione naturale di piacere e rilassatezza, quella dell’utero materno per dirla tutta.
Otto mesi di produzione, un mixaggio in uno studio tra i migliori della capitale e il mastering affidato a Greg Calbi che ha lavorato con così tanti artisti che non avrei spazio per elencarli: David Byrne, Brian Eno; ha masterizzato
The unforgettable fire degli U2, mi vengono i brividi solo a pensarci. Ha lavorato anche con John Lennon, un’esperienza unica.

Toilet: stimolante e…

Divertente, a volte amaro, crudele e altre vivo, pungente, polemico, critico, insomma qualcosa di estremamente eterogeneo. Così come eterogenee saranno le proposte della nostra casa editrice, la 80144edizioni, lungo tutto quest’anno e sicuramente lungo i prossimi.

Stiamo cercando infatti di evidenziare la netta distinzione tra Toilet e gli altri progetti (come appunto I love porn e PLAY TO LOVE) per evitare di fossilizzarci su quello che è il nostro cavallo di Troia, ma che adesso si sta aprendo e, uno ad uno, sta facendo uscire Ulisse e i suoi guerrieri. Ma non intendiamo bruciare niente, state tranquilli…

Alex Pietrogiacomi

Face to Face! – John Romita Jr.

John Romita Jr. è figlio (John Romita Sr.) di uno dei disegnatori di Spider Man più conosciuti e riconosciuti nel tratto e nella sensibilità con cui ha saputo realizzare e far vivere il nostro affezionatissimo ragno di quartiere sulle pagine dei comics.

John Romita Jr. è un artista che con Spidey ha ancora a che fare perché da anni lo disegna, da anni ne conosce i più intimi segreti e i problemi più profondi, uno dei pochi che ci puoi realmente parlare del futuro di questo supereroe che in Italia festeggia il suo numero 500 con un’edizione speciale della Panini.

Dopo trent’anni di carriera, a Roma, mi trovo davanti un vero e proprio mito che scherza sul fatto di essere famoso, racconta il suo modo di concepire l’arte e il lavoro, ci parla delle sue origini ma soprattutto dichiara tutto il suo amore per un padre incredibilie e una famiglia per la quale si muove tutta la sua vita.

Benvenuti nel fumetto inedito della storia dello Stupefacente John Romita Jr.

Quanto leghi la parola eredità al tuo Jr.?

E’ una parola molto importante, doppiamente legata a me come artista e come figlio di un grande arista.
La cosa meravigliosa tra me e l’eredità che ho ricevuto, tra me e mio padre è che non c’è mai stata un’imposizione, mai un conflitto, uno scontro.
Per me è sempre stato solo un meraviglioso rapporto tra padre e figlio. Semplicemente questo. Non ho vissuto nessun tipo di costrizione grazie al tesoro che mio padre ha fatto della sua esperienza. Mio nonno (originario di Bari dove costruiva le bare) infatti era un uomo duro, concreto, che ha cresciuto il figlio con un regime molto autoritario. Una mentalità che neanche lontanamente pensava all’arte che si è ritrovata con un figlio che dal nulla ha dimostrato di viverne. Un talento naturale che è spuntato fuori così!
La vena artistica di mio padre era mal vista, come una “stranezza”. Ecco io sono cresciuto completamente distante da tutto ciò, grazie alla profonda intelligenza e sensibilità di un uomo che continuava a dirmi che mi avrebbe aiutato in qualsiasi modo, che mi avrebbe consigliato sempre, solo se lo avessi chiesto. “Chiedimi figliolo e io ti dirò tutto quello che vuoi sapere, ma da me non avrai nulla che possa influenzarti in qualche modo a fare questo lavoro o ad avvicinarti all’arte” continuava a ripetermi. La cosa fu semplice: iniziai ad osservarlo e a chiedere.
Lui si è sempre rifiutato di trattarmi come è stato trattato.

Quali sono gli artisti che al tempo ti hanno influenzato e quelli che continui ad ammirare anche grazie al modo in cui hanno rotto le regole?

Sono cresciuto osservando opere italiane, francesi. Amo gli impressionisti, Matisse. Tra gli illustratori Gibson, J.C. Leyendecker e molti altri che avevo in un grande libro di cui non ricordo il nome e che sfogliavo continuamente.
Tra i cartoonist mio padre, John Buscema e Jack Kirby. Per quello che riguarda la mia professione sono loro tre i nomi più importanti, le influenze più grandi e i maestri da cui imparare. Hanno avuto la capacità di raccontare le storie, di dare un taglio quasi cinematografico alle sequenze sapendole immaginare nella loro testa con la stessa precisione con cui poi l’hanno disegnate.
Forti di una espressività narrativa innaturale.

E come vedi l’influenza di un giovane talento, negli anni 90 soprattutto, come Rob Liefield nello sviluppo del disegno e dell’attitudine a questo?

Agli inizi degli anni novanta ha influenzato moltissimo i giovani che si stavano avvicinando al nostro lavoro con il suo tratto caratteristico, irriverente e la sua età. Io però non sono d’accordo su una cosa, pur rispettando Rob e la sua arte, un artista (soprattutto se giovane) deve formarsi con i grandi maestri, con la grande arte come dicevo anche all’inizio e non da altri esordienti.
Mio padre mi ha fatto studiare al College insistendo molto sulla mia educazione scolastica, ripetendomi che prima sarei dovuto diventare un artista e poi un cartoonist. Mio fratello ed io siamo delle buone persone grazie ai grandi insegnamenti di mio padre e grazie al suo amore smisurato…naturalmente anche grazie alla mamma! (ride).

Come definisci il tuo lavoro in tre aggettivi da quando hai iniziato ad oggi?

Wow, sono trent’anni… ho un po’ di tempo??? Nei primi vent’anni: veloce, attento, sopravvivente. Negli ultimi dieci invece ho semplicemente imparato come imparare. Dai miei errori del passato, dai miei successi e c’è ancora così tanto da imparare. Se penso di non aver più niente da imparare penso che sia finita è come per i musicisti: più pratica fai più cresci.
In tre aggettivi oggi? Pieno di pensieri, medio… figo.
Mio padre poi mi ha sempre detto che se anche penso di essere bravo è meglio non dirlo, perché significa che sono quasi arrivato, che non ho più niente da imparare e che mi manca quella modestia per andare avanti. Per questo ha sempre consigliato di dire e pensare che sono nella media, in un livello “giusto”, così da non cadere anche nella trappola dell’ego e finiva dicendomi “Ricorda che ci sarà sempre uno più forte, più in gamba e bravo di te”.

Cosa pensi quando finisci un tuo lavoro e lo consegni?

Pwee… un’altra fatta!!! È un lavoro davvero molto duro, fatto di lunghe ore di concentrazione, meticolosità, attenzione. Difficilmente si fa questo mestiere per anni e infatti molti nel mio ambiente preferiscono farlo per un periodo, guadagnando molto così da godersi il frutto di tanta fatica. Altri diventano pieni di sé e si lanciano in progetti assurdi. Molti, semplicemente impazziscono! (ride).

Agli inizi gli eroi si scontravano con super criminali lontani dalla nostra realtà l’unico problema era sconfiggere un nemico con un costume colorato e dei super poteri. Poi è arrivata la droga, l’alcolismo, la prostituzione, le guerre e gli eroi hanno cambiato il loro sguardo. Cosa è successo?

Eccellente domanda. Stan Lee è stato tra i primi a bilanciare fantasia e realtà e credo che la risposta sia proprio qui, in questa capacità. Questa è la vera ricchezza di un fumetto.
Molti preferiscono creare scenari fantascientifici, lontani dal reale, allontanando troppo il lettore dalla storia perché manca un legame concreto. Altri hanno invece hanno realizzato personaggi molto drammatici che però, non hanno più permesso di far godere l’aspetto fantastico del comics.
Spider man ha molto successo per questa sua dimensione equilibrata: Peter è un ragazzo qualsiasi, un newyorkese che tutti i giorni fa i conti con i problemi più umani, ritrovandosi però poi a fronteggiare minacce sensazionali.
Un nome, secondo me, che è riuscito a coniugare fantasia e realtà in maniera stupefacente, è Neil Gaiman.

Ma chi è oggi il nemico? E in un certo senso anche il “nostro” nemico?

I cattivi sono una rappresentazione ingigantita, ma neanche tanto, della corruzione umana. Kingpin ne è l’esempio calzante: avido, infido, crudele, vuole soltanto possedere e dominare. I problemi reali vengono spesso calati nei personaggi dei fumetti: ad esempio l’antisemitismo che subiva da ragazzo Stan Lee, sono stati riportati ne Gli Incredibili X-Men. Mutanti, emarginati, diversi che decidono comunque di proteggere gli umani.
Ecco, tutto viene riversato nelle storie per poter essere anche affrontato, denunciato in un certo modo, reso comprensibile anche dai più giovani.

L’uomo ragno nasce dalla frase “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”… quali sono i tuoi poteri e la tua responsabilità.

Il mio potere? Avere pazienza. La mia responsabilità? Avere più pazienza.

Chi senti più vicino tra Peter Parker e l’Uomo Ragno?

Ogni padre, ogni figlio, ogni famiglia è un supereroe. Anche io ho una doppia vita: sul lavoro sono come Peter, alla presa con i problemi quotidiani, ma è con la mia famiglia che divento Spider man e uso i miei poteri per proteggerli, sostenerli.

Spider man è famoso per le sue battute, per l’umorismo che scaglia contro i nemici durante i combattimenti: quanta ironia c’è nella tua vita?

L’ironia la ritrovo nella mia insicurezza che fa capolino nella mia vita, nella mia carriera. Ci sono stati momenti e ci sono tutt’ora dei momenti in cui sono stato colto da questo sentimento. Una cosa di cui non ho parlato mai con mio padre perché si sarebbe arrabbiato da morire come fa la moglie quando capita. Non è un retaggio paterno, ma semplicemente a volte mi sento così e lo trovo ironico visto quello che faccio.

Qual è l’abilità di Spider man che potrebbe aiutarti nel lavoro?

Oh! Sicuro la velocità!

Il personaggio più complicato che ti sei trovato a disegnare?

Spider man. Pensa soltanto a tutte le ragnatele sul costume… Scherzi a parte. È un eroe con il volto coperto da una maschera eppure ha una serie infinita di espressioni da comunicare… ecco questa è ironia!

Qual è l’incarnazione di Spider man che preferisci?

Il classico, senza dubbio. Per me l’originale è quello che dovrebbe essere.

Hai mai vissuto o rivissuto un tuo dolore, un tuo problema con i personaggi che disegni?

Sì. Con Iron Man. Tony Stark è un alcolizzato ed io avevo due amici molto cari che soffrivano di questo problema. Uno di loro si è ucciso, con mio grande dolore. L’altro ne è uscito definitivamente. Ecco, in questo caso ho di nuovo vissuto quella situazione, mi sono tornati in mente tutti i momenti difficili. E sono riuscito ad addentrarmi di più nel personaggio che disegnavo
Con Peter Parker invece ho vissuto il problema della crescita, anche se da ragazzo non ho vissuto l’emarginazione del nerd, dell’immaturo, perché comunque disegnavo ed ero interessante. Però da adulto quando mi sono trovato di fronte a grandi uomini, mi sono sentito un po’ immaturo, insicuro. Come Peter.

Tu hai disegnato oltre a Spider: Thor, Cable, Iron Man, Devil, The Punisher. A quali ti senti più legato?

Mi piace molto Daredevil, ma adoro disegnare The Punisher… anche perché molti miei parenti sono simili a The Punisher. (ride)

Hai disegnato anche World War Hulk. Hulk è rabbia, cos’è per te la rabbia?

Nel mio lavoro è la voglia di fare, di farcela. Con la mia famiglia è prendersi cura di loro e non farli mai essere arrabbiati.

500 numeri in Italia, festeggiati con questo volume. Il futuro di Peter?

Negli Stati Uniti, Peter dovrà decidere tra la vita di zia May e la cancellazione di ogni ricordo con Mary Jane Watson a causa del demone Mephisto. Qui torna il discorso dell’equilibrio, perché ci deve essere un bilanciamento tra chi era Spider man all’inizio e chi è diventato. Dal matrimonio con M.J. c’è stato un allontanamento dalle difficoltà esistenziali di Peter e questo lo aveva distanziato anche dal lettore “sfigato” che si riconosceva nel Parker degli esordi e non in quello sposato con una top model meravigliosa. Per ri-bilanciare si è pensato a questo, a questa nuova verginità che sarà anche una nuova forza per il tessiragnatele.

Chi sceglieresti per una birra: Thor, Ercole, Hulk, la Cosa o She Hulk?

Niente donne! c’è mia moglie. Assolutamente Ben Grimm… è di Brooklyn, come me!

Alex Pietrogiacomi