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gennaio 16, 2012 1 commento
Saranno anche precari, ma di certo non sono scrittori (Libero, 1/9/09)
ottobre 3, 2011 18 commenti
[La società dello spettacaaargh! 1 – 2 – 3 – 4 – 5 – 6 – 7 – 8 – 9 – 10 – 11 – 12 – 13 – 14 – 15]
Caro Jacopo,
torno molto volentieri sul libro di Federica Sgaggio: è un libro molto denso, nel recensirlo ho potuto scegliere solo alcuni nuclei tematici del libro e, come suggerisce la tua interessante espressione «eros per la logica», solo alcuni nuclei emotivi. Forse, a proposito della tua espressione, essa sintetizza ciò che manca a volte nella filosofia, la capacità di esprimere l’autenticità del sentimento che muove verso il sapere, dando forma e vita all’etimo del termine. A giudicare dalla dedica e dall’introduzione del libro (o anche da questa intervista), quell’eros nasce per una considerevole parte dall’esperienza in redazione, dal contatto con quegli ambienti che nel giornalismo vengono prima delle retoriche messe su carta (o su una pagina web), e forse questi aspetti avrebbero bisogno di essere raccontati e testimoniati al pari di quelli linguistici.
Ma è un altro aspetto quello che mi ha maggiormente colpito.
Maggio 30, 2011 5 commenti
Slacrimuzzo.
Sembra ieri ch’erano appena finiti i mondiali, avevo scritto qualcosa pe “i mondiali dei palloni gonfiati“, mi ricordo mica si chiamasse così, quella rubrica, Liguori mi fa “e se scrivessi delle ròbe di pallone per tutto il campionato?”. Seh, penso, seh, tutto il campionato, pallone, seh, poi il primo pezzo, è un ritaglio di quotidianità pallonara, parla del posticipissimo del lunedì e del mio parrucchiere, del fatto che i parrucchieri di lunedì siano chiusi, del fatto che allora chi sforbicia di lunedì?, i calciatori, l’unica sforbiciata del lunedì, la loro e la mia che ne racconto le gesta, ah ah, delle copiose risate. Questo il panettone non lo mangia, pensava Liguori.
Ci siam fatti tutta la stagione.
Vi si vuole del bene.
Slacrimuzzo.
Una volta c’erano le bandiere, calciatori che esordivano da ragazzi in prima squadra e finivano la carriera senza cambiare casacca. Molti di loro diventavano allenatori, dirigenti: un posto si trovava sempre. Erano altri tempi. Qualcuno dice: quelli sì che erano bei tempi. Oggi invece i giocatori simbolo sono in via d’estinzione. Siamo abituati a vedere fior di campioni trasferirsi dal Barcellona al Real Madrid, o viceversa, dal Milan all’Inter alla Juventus e così via, è tutto un valzer di carnevale, conviene, si fanno le magliette nuove, i tifosi le comprano, son soldi, cosa credete, mica amore, passione, attaccamento alla maglia e quelle robe lì. È il capitalismo, bellezza! Si stava meglio quando si stava peggio. Mogli e buoi dei paesi tuoi. Non ci sono più le mezze stagioni. Sì, ok ok, smetto. Dicevamo: le bandiere. Ve l’immaginate, chessò, Facchetti con la maglia del Milan? Certo che no. Rivera in nerazzurro? Neppure. Oddìo, è vero che Rivera quando ha smesso con il calcio e s’è buttato in politica, dopo l’esordio democristiano, ha militato poi in diverse formazioni politiche. Senza dubbio, era meglio come calciatore. I mondiali del ’70, pensaté, me li ricordo pure io che non ero ancora nato: la staffetta Mazzola-Rivera, Italia-Germania 4 a 3, Pelè che vola, su, più su, più in alto di tutti, colpisce la palla di testa che si insacca alle spalle di Albertosi, era solo l’antipasto, alla fine si prese quattro pippi e tutti a casa; il Brasile si portò la Coppa, quella coppa maledetta che non si sa che fine abbia fatto, se sia diventata davvero lingotti d’oro o dove sia finita. Le storie misteriose contribuiscono a creare il mito, ad alimentare la leggenda. Si leggevano, qui su SP, il lunedì, le storie sul calcio, a base di calcio, che sfornava per noi Fabrizio Gabrielli. Insomma, questo panegirico per comunicare che, finito il campionato, da oggi Fabrizio ci saluta, che il giorno odiato da Vasco qui su SP non ci saranno più le Sforbiciate, quelle che parlavano del giuoco del calcio e di tutto quel fracco di altre ròbe che rotola attorno alla sfera di cuoio più bastarda della storia umana. Lo so, vi mancherà, a me già manca la mail infrasettimanale con l’anteprima. Fidbeccami, scriveva sempre Fabbrì, come lo chiama Simonerò. E io fidbeccavo, segnalavo i refusi, le sviste e quelle cose che si fanno prima di pubblicare, ma non fatemici pensare altrimenti mi viene il magone e slacrimuzzo pure io.
Ciao Fabbrì, lo sai che quando vuoi, se scrivi nuove Sfò, me le giri, le fidbecco e le pubblichiamo, mica ci son problemi, che ci frega, facciamo come ci pare, lo spazio si trova, non sarà di lunedì, le pubblicheremo in un giorno pari o il venerdì, ma hai capito, dài, facciamo che poi, senza impegno, ogni tanto fai qualche incursione e insacchi una Sfò, i lettori ti aspettano e lo sai che i lettori non si deve mica deluderli, ti aspettiamo, la mia mail ce l’hai oppure ci sentiamo su feisbùc. Ah, dimenticavo: grazie Fabbrì, le Sfò ci mancheranno. Ci son piaciute, le Sfò, e pure tanto. E visto che siamo in un momento di ringraziamenti, non me ne vorrai se colgo l’occasione per ringraziare, a nome del collettivo, i tantissimi, sempre più, lettori che ogni giorno passano dal nostro blog, triplicati negli ultimi mesi, tanto da raggiungere, nelle ultime due settimane, addirittura una media di mille lettori. E allora grazie, mille grazie, e quale modo migliore, per ripagare la fiducia, l’affetto e il tempo dedicato a noi e agli autori che hanno collaborato e collaborano per far vivere questo spazio, che dare la notizia che è in arrivo, in esclusiva su SP, una bellissima sorpresa? Il prossimo lunedì i barbieri saran chiusi, il campionato è finito, le coppe pure, ma su queste pagine troverete una nuova rubrica che son certo ci offrirà importanti spunti di riflessione. La rubrica sarà curata da due autori che già in passato hanno trovato spazio qui: Jacopo Nacci e Matteo Pascoletti. L’idea di offrire loro una rubrica m’è venuta perché, spesso, leggendo o partecipando a discussioni su piazza Facebook, mi ritrovavo ad apprezzare, tra i commentatori più attivi, proprio Jacopo e Matteo. E allora, mi son chiesto, perché non chieder loro di scrivere qualcosa per noi? Dopo aver consultato gli altri, ho scritto loro, dicendo la mia idea, di questa specie di conversazione, di botta e risposta a settimane alterne. Per mia grande gioia, i due hanno accettato con entusiasmo la nostra proposta. Proviamo, s’è detto. Si comincia subito. Sul nome e sui primi argomenti che si toccheranno, per adesso, manteniamo massimo riserbo. Vi possiamo dire che si parlerà di libri e letteratura, politica e attualità, filosofia e tanto altro. Non mancate il prossimo lunedì, su Scrittori precari comincia la nuova rubrica di Jacopo Nacci & Matteo Pascoletti! Leggi il resto dell’articolo
aprile 29, 2011 Lascia un commento
Riportiamo l’intervento di Jacopo Nacci comparso su Yattaran
Prima o poi mi deciderò a compilare e pubblicare un elenco delle fallacie e delle mosse retoriche subdole che si stanno propagando in Italia in questi anni in modo massiccio e preoccupante: basti pensare all’uso diffusissimo e spensierato dell’argomento a uomo o del processo alle intenzioni. Temo abbiamo a che fare con la prole deforme nata dalle Nozze di Relativismo e Televisione: si tratta di fallacie e mosse che il loro stesso substrato ideologico incorona come uniche forme retoriche moralmente legittime; il medesimo substrato ideologico, intanto, rovescia senza pietà argomenti e dimostrazioni nel cestino delle dialettiche immorali; tutto ciò sta trasformando una parte della popolazione in troll (nel senso internautico) e l’altra parte in soggetti schizofrenici costretti a interrogarsi e rispondersi da soli; se gli schizofrenici che si interrogano e si rispondono da soli mi fanno venire in mente Socrate in Gorgia 506c-507c, i troll mi fanno venire in mente – più che sofisti come Gorgia, Callicle o Polo – i puffi neri, o i film di zombie dove i virus si impossessano dei cadaveri; e credo sia significativo che, nella filmografia sugli zombie, gli zombie si siano fatti via via sempre più rapidi e aggressivi. Leggi il resto dell’articolo
dicembre 9, 2010 7 commenti
C’è un posto, a Roma, dove a perdersi s’impara un bel pezzo di storia della filosofia.
La cronologia è arbitraria, a tratti casuale, zeppa di caselle vuote.
C’è una sola via maestra in questa storia, tracciata da Kant, che qua chiamano Kent, per dimostrare d’aver speso bene i soldi in ripetizioni d’inglese.
L’altra grande arteria è dedicata all’inventore del comunismo. Pensate: viale Marx è la strada delle attività commerciali, in comproprietà con piazzale Hegel; un vero schiaffo morale ai principi del pensiero razionale.
A Diderot hanno invece dedicato un budello di strada, troppo corta anche a farla a piedi. Sembra che gli abbiano applicato la legge del contrappasso, come punizione per la mania delle enciclopedie.
Nel piazzale adiacente a via Comte ci fanno invece il mercato del mercoledì, ché per i sociologi è un ottimo campione da intervistare.
Da quando ci lavoro, poi, parcheggio a colpo sicuro in via Locke, in ottemperanza agli insegnamenti del filosofo inglese: «Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro». E infatti, i colleghi mi consigliano sempre di cercare più in là, in Largo Russel, a me che di logica non c’ho mai capito nulla. E perché non in via Jaspers, vi chiedo, ché almeno troverei una risposta alle mie paranoie.
La prima volta che mi ci persi, di notte, non riuscivo a venire a capo di questo girotondo di strade che si prendevano gioco del mio pensiero. Alla terza volta che incontrai il nome di Schopenauer, cominciò il vero tormento, alimentato da una sua famosa citazione: «La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando per l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia».
Mi venne davvero la paura di non uscirne più fuori, d’esser costretto a convivere col buio della mente, ancor più nero per via del diluvio che prese a scendere dal cielo. Che fine avevano fatto gli illuministi, quel Rousseau e quel Voltaire che la mia mappa indicava chiaramente?!
In questo stato, continuai a guidare la mia auto senza incontrare anima viva, e a mie spese scoprii quanto incerto e solitario possa essere il cammino del filosofo.
Mi sentivo a tutti gli effetti una monade, soprattutto quando raggiunsi via Leibniz senza neanche sapere come. Qui fu Lessing a venirmi in aiuto, per quanto anch’egli fosse stato tributato d’un tratto di strada assai risicato: «Un uomo che non perde la ragione per certe cose, non ha una ragione da perdere».
Di lì presi in Largo Bacone, poiché se è vero che «il dominio dell’uomo consiste solo nella conoscenza», non potevo che arrendermi alla massima seguente: «Nessuna forza può spezzare la catena delle cause naturali; la natura infatti non si vince se non ubbidendole».
E così m’infilai in una sorta di giostra, chiaramente frutto dell’ingegno dell’uomo, che prende il nome di via Cartesio; una strada che fa come un cerchio, ma interrotto da entrambe le parti. E di lì ripresi per l’inverso, e ancora e ancora, ripercorrendo non so quante volte gli stessi nomi, gli stessi concetti. Strano che non vi fosse traccia di Nietzsche, pensai tra me e me: adesso passerò l’intera mia vita a girare tra queste stesse idee; finché all’ennesima svolta non incontrai per caso un nuovo concetto, ubicato in via Spinoza, che è poi il solo modo di «attraversare la vita non con paura e pianto, ma in serenità, letizia e ilarità».
In fondo a quella strada intravidi una luce, che non era certo quella di Dio, bensì dei lampioni di viale Kant; ma per me, anima in pena, lo stesso una salvezza.
Adesso che ci lavoro, poi, in quella zona, ho pure pensato che la filosofia allora a qualcosa serve; ma per carità, non vorrei ritrovarmici ancora di notte. Per non spaventarvi oltre il lecito, non v’ho infatti raccontato delle bizzarrie cui andai incontro in piazzale Montesquieu… cose che a parlarne oggi, c’è davvero da non crederci…
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