I gendarmi del buon governo vecchio – Sesta parte
novembre 15, 2010 Lascia un commento
[qui le puntate precedenti]
I tre gendarmi mi squadrano dal basso in alto, protetti dalle loro divise e dai loro manganelli. Penso alla sigla di un vecchio programma televisivo che trasmettevano quando ero bambino.
«Ragazzo! Ti sembra il momento adatto di cantare?» dice il più affascinante dei tre, quello che continua a sorridermi da un bel po’. Com’è bello penso tra me e me. Avrei voglia di baciarlo, mi sorride e quando lo fa è ancora più affascinante. Eccolo che si avvicina, spero mi dia una carezza, gli guardo le mani, possenti, delicate e forti al contempo. Deve essere un animo nobile.
«Ti terremo sotto controllo, per ora vai pure,» gli lancio un’ultima occhiata d’imbarazzo mentre rimetto il documento nel portafoglio. Mi allontano con il pensiero del gendarme buono ed affascinante che mi rimbalza in testa. Giro l’angolo e bestemmio i santi uno per uno e maledico quella merda di gendarme con quella faccia da culo e quei baffi orrendi e per giunta tagliati alla cazzo di cane. Per non correre rischi ulteriori opto per ritornare a casa. Mentre salgo i gradini del palazzo con la mia bici a tracolla, mi scontro con Ernesta, la saluto distrattamente fingendo fretta. Meglio non pensare a nulla.
«Ci sono passata anche io,» mi urla lei. «Cosa dice?» penso.
«Ti hanno pensierizzato per bene anche a te». Mi fermo, penso che forse dovrei parlare con Ernesta, potrebbe aiutarmi.
«Aspettami a casa, arrivo tra una mezz’oretta,» mi dice lei sorridendo.
Trascorro quasi un’ora in casa in attesa di Ernesta, finalmente bussano alla porta. Dallo spioncino vedo lei, vestita con il suo solito completino scuro che le lascia intravedere il seno deforme.
La faccio entrare e ci accomodiamo in salone, lei mi dà una carezza e mi rassicura, come una madre amorevole assicura il figlio impaurito.
«Ci sono passata anche io, ma sai bene la mia situazione privilegiata, non è impossibile uscirne, sono venuti in casa vero?»
«Sì, ma come hanno fatto?»
«Giocano sui tuoi ricordi, nessuna iniezione, nessun microchip, si basa solo sui tuoi ricordi, sulla suggestione… a me entrarono attraverso il senso di colpa di un’amicizia che troncai. Per caso hai riconosciuto delle voci familiari durante l’interrogatorio?»
«Sì, quella di mio padre».
«Come pensavo. Capisco che può sembrarti assurdo ma è come se fossero entrati attraverso una porta che tu gli hai involontariamente spalancato. Io per liberarmi della pensierizzazione ho dovuto rintracciare una mia vecchia amica che avevo tradito dieci anni fa, riallacciare un rapporto con lei, di sincera amicizia, e solo quando lei smise di avere rancore nei miei confronti, la porta si chiuse. Una volta chiusa la porta sei impenetrabile».
«Ma mio padre è morto da due anni, come posso fare?»
«Io non so perché tu abbia voluto aprire la porta di tuo padre, ora è da capire il perché ed una volta individuato, tentare di richiudere l’ingresso. Solo così potrai essere invulnerabile. Se non lo fai, nel giro di pochi giorni scopriranno tutto. Ci vorrà poco a scoprire i tuoi pensieri, soprattutto per chi sa riconoscere i pensieri falsi da quelli veri, potrai divincolarti tra i gendarmi meno esperti, ma quando busseranno alla porta di casa gli esperti in materia, mi dispiace dirlo, ma avrai ben poco da fingere. La tua ipocrisia forzata non durerà che pochi minuti. Credimi».
Purtroppo era sincera, così come sincera era la mia paura. Così come sincero era l’abbraccio che mi diede su quel divano. Ero al riparo in quel momento, avrei voluto addormentarmi, ma il campanello di casa prese a suonare.
Diventai di pietra. Ernesta anche.
«Non avvicinarti alla porta d’ingresso,» sussurrò Ernesta.
«Apri, lo sappiamo che sei dentro, ti abbiamo visto entrare con la tua bici!»
Quella voce mi era familiare.
«Riconosci quella voce?» mi chiede Ernesta.
«Penso di sì…»
«Potrebbero essere i gendarmi, vogliono provare a sollevare una seconda porta di pensierizzazione, così facendo avrebbero due entrate assicurate».
Ora il problema era questo: avvicinarmi allo spioncino per controllare chi era fuori la porta, avrebbe potuto causare la lettura di un mio pensiero, nel caso ci fossero stati i gendarmi ad aspettarmi. Ernesta era immune e prese ad avvicinarsi alla porta di casa, tentando di fare meno rumore possibile. Movimenti da bradipo. Lentezza. Respiro controllato. Tutti elementi necessari che però non le fecero notare il bastone di legno che era poggiato nel corridoio a pochi centimetri dall’ingresso.
Ernesta con il piede destro diede una botta all’asta che cadde in terra rimbalzando più volte fino ad assestarsi.
«Apri, sono io! Ma che fai ti nascondi?» la voce da dietro la porta insisteva sempre più familiare, tanto da farmi sollevare dal divano per andare ad aprire. Ma arrivai solo alla porta del salone, giusto per poter vedere Ernesta in fondo al corridoio che stendendo il braccio e spalancando la mano m’intimò di non avanzare. Mi fermai. La mia vicina di casa avvicinò l’occhio allo spioncino per vedere fuori, lentamente. Si voltò verso di me, non disse nulla. Io pensai che aveva degli splendidi occhi. Lei abbassò le palpebre e la pelle del suo viso evidenziò la tensione accumulata in questi pochi minuti.
CONTINUA…
Andrea Coffami aka Angelo Zabaglio
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