Vetri

di Simone Lisi

Questa storia di spaccare le finestre è già successa una volta. Ero bambino e si giocava a scuola. Si giocava nell’ingresso della scuola dove il pavimento è liscio. Non ricordo a che gioco si giocava, ricordo solo Cosimo Ciulli spinto da qualcuno che distrugge una vetrata col corpo. Oggi, se ci penso, penso che a spingerlo fu Federico Pratesi, che era (che è) del segno dell’ariete come me, nato un giorno prima. In lui localizzavo il male, mentre io ero il bene. Del resto non sono affatto sicuro che fu lui a spingere Cosimo Ciulli contro la vetrata, magari qualcun altro, o forse proprio io, ma no, non credo, che se fossi stato io suppongo me lo ricorderei. I vetri che si frantumano a ogni modo hanno qualcosa di incredibile: la sospensione, la lucidità e la lentezza che precedono lo schianto, il senso di irrevocabilità, le schegge appuntite e mortali, la gravità (nel senso della forza gravitazionale e non solo) e la fragilità. Dicevo, e forse citavo, qualcosa che avevo già scritto (e quindi ora cito una citazione), cioè che la mia miglior qualità è quella di dimenticarmi le cose, anzi di dimenticare tutto. È una qualità, certamente, ma non è un merito, cioè io non è che sono meritevole perché mi dimentico delle cose. Fatto sta che Cosimo Ciulli non morì né si fece nulla. Ci sgridarono e dopo ci vietarono Leggi il resto dell’articolo

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ContraSens – I cani parigini

di Dan Lungu
Traduzione di Clara Mitola

Sono nato nel 1969 a Botoșani e ho scritto alcuni libri di letteratura. Per quel che riguarda il turista che è in me, le cose sono complicate. Se ci penso bene, in effetti, viaggiare non mi è mai piaciuto in modo speciale. Oltre a questo, i primi viaggi, in Romania o all’estero, mi hanno affascinato. La dislocazione dallo spazio abituale e la scoperta di un nuovo mondo mi hanno dato una sensazione di vitalità che, in base ai viaggi, si rafforza o va sfumando. Adesso, quando vedo troppi posti nuovi in una volta, divento come irritabile. E l’unico rimedio è la lettura. Leggo moltissimo quando viaggio, e delle volte mi prende così tanto che rimango in hotel, perdendomi un sacco di “obiettivi turistici”.

Ho compiuto 20 anni giusto nel 1989, e non avevo mai desiderato visitare l’Occidente. In effetti “avevo desiderato” non è l’espressione migliore – molto più veritiero sarebbe dire che una cosa del genere non mi era nemmeno mai passata per la testa. In particolare mi misuravo – in modo confuso, istintivo – con il desiderio di fuggire dal paese, come avevo sentito che succedeva, e non con quello razionale di fare un’escursione in un altro dei paesi del “lager socialista”, come sarebbe stato possibile. Alcuni amici che avevano viaggiato in Bulgaria, Polonia, Ungheria, Unione Sovietica o nella ex DDR, da dove portavano “adidași1”, gomma o mangianastri, avrei potuto desiderare una di queste mete, mentre Francia o Gran Bretagna, per non dire Stati Uniti, non esistevano nella mappa mentale delle possibilità della mia generazione.
Così la mia prima uscita “all’esterno” ha avuto luogo dopo il 1991. Ero uno studente di Sociologia ed ero stato selezionato per uno scambio di esperienze in Francia, insieme ad altri sette o otto colleghi, in un progetto di sociologia rurale. Bisognava andare da qualche parte nel sud-ovest dell’esagono e fare osservazioni in merito ai terreni di certi piccoli proprietari. Per raggiungere quella zona della Francia bisognava cambiare treno a Parigi. Leggi il resto dell’articolo

Generazione o gruppo?

In questi mesi si parla molto di Generazione Tq. Ne hanno scritto i quotidiani – L’Unità, Repubblica, Il giornale, il Corriere, il Sole24ore, il Riformista, La Nuova Sardegna, Il manifesto, Il Fatto Quotidiano – se ne parla, tanto, in Rete – Google mi dà oltre 50.000 risultati. C’è un blog wordpress di Generazione Tq, con tre manifesti programmatici, e l’elenco dei firmatari di questi manifesti. I commenti, sul blog, sono chiusi, ma si rimanda ad altri luoghi della Rete, nei quali si sta discutendo della questione.
Ora: Generazione Tq, ovvero generazione trenta/quaranta (anni). Ma cos’è? Su minima et moralia, blog collettivo, costola della casa editrice Minimum fax, c’è scritto: “Generazione Tq – i lavoratori della conoscenza della generazione dei trenta e quarant’anni”. Non ho trovato altre definizioni. Leggi il resto dell’articolo

1975

1975 (Caratteri mobili, 2010)

di Franz Krauspenhaar

Mantenere una disperazione tutto sommato funzionale. A quello che si scrive. Siamo tutti infelici, per me è chiaro. La felicità infatti è un prodotto dell’entertainment, come il cinema 3D. Quanto si può essere felici? […] È sciocca la felicità, e ancor più sciocca è la sua ricerca.

 

Provate a chiudere gli occhi. Provate a immaginarvi Milano nel 1975. Lì, tra quelle strade, nella periferia della città, Franz è nel momento più delicato della sua adolescenza. Quel periodo confuso e di passaggio tra i 14 ed i 15 anni, in cui tutto sembra allo stesso tempo possibile e perduto, in cui si fondono noia e voglia di vivere, durante il quale si ha voglia contemporaneamente di spingere a tavoletta l’acceleratore e di perdersi fino a scomparire. C’è il gelo della città che tutto pervade, «un gelo enorme che arrivava dritto fino all’estate», c’è una metropoli dal cuore durissimo che fa da sfondo alla vita quotidiana del protagonista. Franz ha voglia di fallire in tutto. Vuole essere sconfitto. Trascorre le sue giornate tra la scuola e i suoi due-tre amici, tra lo stadio e i bar dove può bere liberamente fino ad ubriacarsi. Attorno a lui c’è il nostro paese che cambia pelle. Gli avvenimenti del tempo sono raccontati con gli occhi di un adolescente attraverso un vasto repertorio di prodotti culturali, di merci: dalle riviste porno alla musica, dai nuovi prodotti alimentari al cinema. L’Italia è in fermento. Franz è in fermento. Attirato dalle idee di estrema destra – il suo mito sarà il gruppo paramilitare dell’Oder Neisse – sogna anche lui di compiere azioni efferate che destino scalpore. Detesta Pasolini e il suo mito è Lando Buzzanca. Ma, alla fine, tutto è destinato a cambiare. Sarà proprio l’omicidio dello scrittore a segnare un imprescindibile punto di svolta nella vita e nelle idee del ragazzo.

Romanzo autobiografico, divertente, caustico, dissacrante, 1975 ci racconta uno scorcio di un periodo con cui non abbiamo ancora fatto definitivamente i conti: le lotte politiche, le ardenti passioni, le conquiste sindacali, il terrorismo rosso e nero. Tutto si tiene in un equilibrio precario. Krauspenhaar, scrittore noto ai lettori e molto attivo in rete, racconta la sua adolescenza, i suoi cambiamenti, la sua personale formazione culturale. Ed è una sorta di cartina di tornasole di un’intera generazione.

 

Alle soglie dei cinquant’anni, acciaccato come altri ma per nulla stanco di percorrere questa nostra strada che sentiamo così nostra, avverto la mia disperazione come una sfida, che solo la vitalità può cogliere. Se la felicità esiste solo in morsi, presi di tanto in tanto con la volontà di vedere gli astri di un luminoso riscatto, la vitalità, disperata quanto può essere, è tutto ciò che veramente abbiamo. E la teniamo, stretta a noi, come un regalo.

 

*Caratteri mobili è una giovanissima casa editrice barese che punta – nella sua collana “molecole” – a compiere «aggregazioni narrative poliatomiche, legami letterari covalenti, meccanica quantistica della materia scrittoria».

 

Serena Adesso

Resti

Il diavolo telefonò alle tre e diciassette del mattino,

ma non avevo niente da dirgli,

così riattaccai.

Fuori pioveva, come da contratto.

Travestita di buio, nella camera da letto,

la mia ragazza urla “NO!”, nel sonno.

È spaventata, ma non si sveglia.

Fuori pioveva, come da contratto.

E nessun nano canterino a tenderci la mano,

né principi esiliati a farci compagnia.

Nessuno sguattero di stato, scrivani abbronzati, casalinghe appagate, risparmiatori fidelizzati,

nessun cerchio tracciato nella polvere, amorevolmente costruito intorno a noi,

a proteggerci dal terrore di una scelta previdenziale fatta male.

Niente batteri nascosti nel cesso, né merendine tumorali energizzanti in offerta.

Nessuna frana e nessun collasso sistemico dell’economia mondiale.

Niente terremoti, niente emergenze, niente collette para statali a fin di male.

Niente scuola, niente informazione, niente lavoro. Niente soldi.

Niente musica.

Niente sigarette.

Niente vino.

Niente sorrisi felici macchiati di fluoro.

A parte tutto:

niente.

Fuori pioveva, come da contratto.

Così niente,

a parte la merda di cane sui marciapiedi,

le scuse da inventarsi,

le ascelle da lavare,

i peperoni muffiti da buttare,

le cicche da riutilizzare,

le parole da cercare,

il cesso da lavare,

il lavoro da cambiare,

i conti da pagare,

il gas da respirare,

la fortuna da grattare,

il pusher da chiamare,

la macchina da aggiustare,

e una intera vita da spiegare.

Il diavolo telefonò alle tre e diciassette del mattino,

ma non avevo niente da dirgli,

così riattaccai.

Ma adesso,

dopo un paio di litri di caffè arabico,

pochi grammi d’erba ben dosata,

e qualche boccia di nero d’ Avola a temperatura ambiente,

adesso spero che il diavolo richiami.

E quando lo farà dirò semplicemente:

hai preso tu il mio accendino?

Perché è questo quello che resta alla mia generazione.

Gianni Cusumano