Momenti di trascurabile felicità

Ogni buon libro che si rispetti prima di uscire nelle librerie ha dei passaggi obbligati e un lavoro che un lettore sprovveduto nemmeno s’immagina (alle volte non se l’immagina nemmeno l’editore). Una fase decisiva della stesura di un libro è la fase di editing, ovvero quella fase in cui il testo va nelle mani di un editor che decide, consiglia, suggerisce, taglia e modifica le bozze di un testo.

Ad esempio, se ci fosse stato un editor per questo post, tra le altre cose mi avrebbe detto sicuramente che la parola fase è stata ripetuta già troppe volte e che avrei dovuto trovare un sinonimo. Robe così insomma.

Oggi voglio parlarvi di un piccolo capolavoro della letteratura contemporanea, Momenti di trascurabile felicità di Francesco Piccolo. Storie descritte con leggera poesia comica, fotografie narrate con la commedia nell’anima, preziosi momenti di felicità universale che non possono non farvi sorridere. Inizialmente il libro doveva essere mooooooooolto più lungo, ma in fase di editing è stato livellato, accorciato e ridimensionato, per fini commercial-artistici. Qui in anteprima mondiale e telematica, alcuni dei momenti di trascurabile felicità che per motivi di volgarità e inutilità sono stati trascurati ed oscurati in fase di stampa.

Entro in un negozio di scarpe, ne vedo un paio che mi piacciono in vetrina e le indico alla commessa. Chiedo un 46. La commessa mi dice che hanno solo il 41 e mi domanda se le voglio lo stesso. Ed io penso che la commessa mi fa pena e vorrei mandarla affanculo.

Quando vai al cinema e c’è un gruppetto di donne che hanno visto il film e nel finale, pochi secondi prima che il protagonista muore, dicono in coro «Oddio ora muore, mi commuovo sempre» e tu rimani zitto, muto e però pensi che vorresti farti rimborsare il prezzo del biglietto da loro. Ma non lo fai. Ed inizi ad odiare le donne.

Quando finisce la carta igienica ed in bagno hai solo un numero di «Satisfaction» che ti hanno regalato a forza alla fiera del libro.

Recarsi alla basilica di San Pietro in Vaticano, andare al confessionale e pentirsi per un delitto commesso quando eri bambino.

Quando stai in crisi d’astinenza ed il distributore automatico di sigarette non vuole accettare la tua banconota da cinque euro. E allora sei costretto a comprarne due pacchi e metterci quella da dieci euro che però avevi conservato per metterci benzina al ritorno. E nella via del ritorno rimani senza benzina e la banconota da cinque euro non viene accettata nemmeno dal distributore della Erg. E bestemmi la madonna.

Andare in motorino per le strade di Roma sorpassando automobili bloccate nel traffico. E poi viene a piovere.

La soddisfazione nello scovare Cani arrabbiati di Mario Bava posizionato nello scaffale dei “grandi classici” della Ricordi Media Store. Prenderlo, andare alla cassa e pagarlo quasi venti euro. Uscire dal negozio e vederlo a tre euro nella bancarella di fronte.

Quando scopri che a farti fare un pompino con il dito in culo godi il doppio.

In autobus mi siedo subito sul primo posto libero e me ne frego degli altri. Una volta al mio fianco, in piedi c’era una donna incinta. Io non le ho detto nulla per paura che mi dicesse che non era incinta.

Recarsi a casa di una prostituta e veder uscire dall’appartamento tuo padre che si sistema i pantaloni. Arrivare a casa e ricattarlo facendoti dare un fisso mensile di cinquecento euro.

Arrivi in aeroporto alle sette del mattino, attraversi il metal detector e sei costretto a levarti la cinta dei pantaloni ed i pantaloni ti cadono alle caviglie. E fino a poche ore prima eri a un festino con amici. E ti rendi conto solo adesso che le tue mutande sono ancora lì.

Quando fai dei peti dopo aver mangiato al ristorante cinese. Sembra che non siano i tuoi. Ne puoi gustare l’aroma e spesso ti vengono in mente dei piacevoli ricordi che avevi rimosso.

Tornare a casa e levarsi i tacchi a spillo dopo una nottata trascorsa in discoteca. Addormentarsi. Svegliarsi alle nove, lavarsi e fare colazione con la tua compagna che ti dice che aspetta un bambino.

Quando verso le 15:30 bussano alla porta i testimoni di Geova. Parli un po’ con loro della vita, dell’amore e della religione. E poi offri loro un buon caffè con la cocaina al posto dello zucchero.

 

Note: Il post non corrisponde al vero. E’ di pura fantasia. I “momenti di trascurabile felicità” che avete letto non sono stati scritti assolutamente da Francesco Piccolo. Il post che avete letto vuol essere semplicemente un sentito omaggio di Andrea Coffami al libro Momenti di trascurabile felicità.

Andrea Coffami

Pubblicità

Storia del giudizio universale così come l’ho visto io

Non abbiamo nessun tipo di certezza su ciò che riguarda i processi mnemonici che seguono gli eventi collettivi, i fatti che una porzione di popolazione mondiale ricorda per anni, per decenni, per millenni, o in qualche caso solo per ore. Non sappiamo molto su questo argomento, ma conosciamo la prassi che segue e consolida i ricordi collettivi. La prassi consiste più o meno in tre domande.

Tu dov’eri quando è successo?

Tu che facevi quando è successo?

Tu con chi eri quando è successo?

 

Quando è successo il giudizio universale io ero nel bagno di casa mia.

Quando è successo il giudizio universale io piangevo davanti allo specchio del bagno di casa mia, e pensavo che dovevo smetterla di piangere e di guardare lo specchio mentre piangevo, pensavo, sì, me lo ricordo, pensavo che dovevo uscire immediatamente dal bagno, infilarmi le scarpe e poi tornare indietro, nel bagno, e piangere ancora un po’ davanti allo specchio, e poi prendere il bagno schiuma che avevamo comprato insieme nel negozio dei cinesi che vendono tutto a 1 euro, e correre verso i bidoni dell’immondizia, e scaraventare l’oscena confezione plasticosa con sopra disegnate le mandorle e i fichi, e poi tornare a casa, e piangere ancora un po’.

Quando è successo il giudizio universale io ero solo, piuttosto solo.

 

Prima di tutto, questo non è un racconto fantascientifico, e secondo di tutto, il giorno del giudizio universale non è come tutti si aspettavano che fosse.

Ora, con il senno di poi, è facile dire che Michelangelo si sbagliava, e molti, prima del giudizio universale, avrebbero detto che non era possibile che Michelangelo potesse sbagliarsi su una cosa del genere, ma è così e basta.

Per correttezza vorrei citare anche i nomi di altri pittori che si sono sbagliati:

– Giotto, affresco nella Cappella degli Scrovegni a Padova;

– Buffalmacco a Pisa;

– Franco e Filippolo de Veris a Campione d’Italia;

– Luca Signorelli a Orvieto

– (gli altri non sono elencati perché non mi piacciono).

 

Ero nel bagno di casa mia a piangere, dicevo, cercando di evitare il viso nello specchio, quel viso che macinava carta igienica al ritmo di un cingolato, spremendo il naso quasi perfetto che mi ritrovo sulla carta assorbente da 1.20 euro comprata dai cinesi sotto casa.

In effetti il problema del giudizio universale è universale perché tocca tutti, e perché tutti noi viviamo nel culto della personalità, e perciò il giudizio universale non può non essere definita una carognata, dal punto di vista sia particolare che universale.

Il mio particolare punto di vista, se il lettore facesse uno sforzo di immaginazione, era deludente, per uno che si appresta ad accettare passivamente il giudizio.

Le gambe piegate mimavano una posizione kundalini per niente geometrica, con un ginocchio, il sinistro, piegato sotto il destro, e con un piede, quello destro, piegato sotto il peso delle natiche sofferenti, e con il corpo, tutto quanto, in definitiva, prostrato come quegli uomini che si piegano sui tappeti, e con questa posizione per niente kundalini me ne andavo per la via che il giudizio stava per imprimere sulle umane galere.

Le mie ultime esperienza in fatto di carognate erano molto salaci, a volerle vedere con occhio esperto, con l’occhio di chi sa che la vita offre certi spunti, e che se hai abbastanza ossigeno da respirare quando la vita decide di offrirti questi spunti, allora forse tutto passerà, e poi anche la vita, dicono. Ed è questo che ti fa incarognire, quando ti capita una carognata, perché escludi le carognate, quando vivi, e perché escludi che ti ricapitino, quando ti sono appena accadute. Ma la vita è così, non c’entra niente con gli oblò e non è nostra per niente, nonostante qualcuno dica che invece no, è nostra.

No, è mia.

 

Prima che accadesse quello che poi sarebbe accaduto, avevo letto due libri di due scrittori che mi piacevano, due libri lontani nel tempo, ma belli. Il titolo di entrambi riportava la parola “vita” come soggetto. Uno era La vita agra, l’altro La vita oscena. Ora, purtroppo, non ricordo chi fossero questi due scrittori, e non ricordo neanche tanto bene la trama dei due libri, però so che li ho amati, a modo mio.

Ecco, il fatto che la vita sia agra e oscena lo trovo purtroppo verosimile, se prendo un bel respiro e cerco di rivedere quel ragazzo magro, con i capelli arruffati, crespi, maleodoranti, piegato come un contorsionista mentre cerca di recuperare peli pubici dallo scarico del bidè.

Il lettore con buona memoria si sarà ricordato di aver letto poco sopra che ero solo, quando è accaduto il giudizio universale, e forse si sarà incuriosito a leggere di me che cerco matasse di pelo intrecciato nello scarico del bidè.

 

TEMA: Perché ero solo quando è successo il giudizio universale?

SVOLGIMENTO: Ero solo perché una carogna aveva alitato sulla mia vita instabile, più che agra, precaria, più che agra, più che oscena, lubrica.

PRIMO INDIZIO SBAGLIATO:

Per quanto riguarda l’escatologia cristiana, il Giudizio universale (o Giudizio finale) avverrà alla fine dei tempi (questo è chiaro, perché se arriva il giudizio i tempi finiscono, altrimenti che giudizio sarebbe?).

Questa escatologia cristiana dice che Dio giudicherà tutti gli uomini in base alle azioni da loro compiute durante la vita, e destinerà ciascuno al Paradiso oppure all’Inferno. Il problema di questa dottrina è che fa riferimento ad una celebre parabola di Gesù (Matteo 25,31-46), e tutti noi sappiamo che le parole sono importanti, ma ancora di più chi le trascrive.

SECONDO INDIZIO SBAGLIATO:

Quindi secondo l’escatologia cristiana c’è prima un giudizio particolare, quando la gente muore, e poi un giudizio universale, con la fine dei tempi, a cui segue la resurrezione della carne, e cose così. Poi va detto che altre confessioni cristiane, ad esempio i Testimoni di Geova, ritengono invece che anche le persone non possano accedere al Paradiso terrestre o alla distruzione eterna fino al Giudizio universale.

Quindi ci sarebbe una specie di muro, un’architettura che siamo molto bravi a costruire, che impedirebbe alle anime di accedere al Paradiso o all’Inferno fino al Giudizio Universale. La cosa mi delude.

TERZO INDIZIO SBAGLIATO (SINTESI DELLE altre ESCATOLOGIE):

Poi ovviamente arrivano i protestanti, con una loro tradizione, ispirata da alcuni passi biblici che sostengono che immediatamente prima del Giudizio universale ci sarà una bella battaglia finale tra le forze del bene e quelle del male nel luogo, letterale o simbolico, del monte di Megiddo o Armageddon, presso Gerusalemme. Questi hanno veramente esagerato, e tra l’altro la loro idea di battaglia, io lo posso dire, è stata usata come calco da tutti i governi del mondo negli ultimi cinquecento anni, almeno credo.

L’equivalente nell’escatologia islamica è la qiyama (però non ci dilunghiamo su questa perché siamo occidentali ed eurocentrici, e non ci interessano queste cose esotiche).

L’escatologia ebraica prevede il Messia (ed è quella che mi sta più simpatica, perché non prevede grandi battaglie e neanche molti morti, credo).

Nell’Induismo Garuda Purana tratta diffusamente dei giudizi e delle punizioni dopo la morte (ma non sono mai riuscito a leggerle tutte, perciò basti il pensiero).

 

Ero solo perché un tizio biondo mi aveva rubato prima la mia ragazza e poi la mia amante. Ero solo perché la mia ragazza era andata a vivere con questo tizio, un tizio con la voce ridicola, grossa come le voci dei vecchi tromboni che calcano le scene imitando il vecchio Lear, un tizio che non potevo sopportare quando la mia ragazza andò a vivere con lui, questo fu difficile da sopportare, e un tizio che immaginai più tardi, quando anche la mia amante aveva scelto lui, e lo immaginavo in varie posizioni, in diversi momenti della giornata, scuoiato e flagellato (a colazione) secondo i precetti di Garuda Purana, oppure strigliato e schiaffeggiato per bene (a pranzo) dalla barba del signore con la barba mentre chiede pietà (emettendo grida e urletti acutissimi) sul monte di Megiddo, oppure infilzato dallo zoccolo di un cavallo (a cena) nella grande battaglia finale. Il fatto è che quando sono triste e solo non mi va di cucinare, perciò mangio quello che trovo, quello che si trova nelle confezioni di plastica che qualcuno, con una certa lungimiranza, ha deciso di lasciare in frigorifero o nell’armadietto delle sorprese. L’armadietto delle sorprese è una specie di Babele in cui tutte le spezie conosciute nel mondo in cui vivo io si incontrano. Lì dentro puoi trovare cose preziose.

 

Come quasi tutti i romantici sono un feticista. Mi piace l’associazione della parola bacio al colore della carta che si usa per incartare le uova di Pasqua, per esempio, e sono un sostenitore dell’attività del sistema limbico del mio cervello.

Da bravo feticista adoro la mia amigdala. E adoravo la sua. La loro.

Ma sono anche un tipo impulsivo, dal punto di vista emozionale, e devo dire che il mio ippocampo è un bastardo stakanovista, perché ricorda i fatti nudi e crudi, continuamente, mentre la mia amigdala ne trattiene, come quelle spugnette a forma di papera che i miei lasciavano galleggiare nella vasca da bagno, il sapore emozionale.

Quindi il fatto che il giudizio universale sia accaduto mentre piangevo cercando peli pubici nello scarico del bidè è strettamente connesso al concetto che mi sono fatto della parola “fallimento”. Io credo che a un fallimento si debba reagire, e che la reazione al fallimento abbia bisogno di una carica emozionale piuttosto concentrata, e che se questa concentrazione non dovesse bastare, perché al fallimento N°1 è subito seguito il fallimento N°2, allora non si può fare nulla, e quindi la parola “fallimento” non può far altro che accompagnarsi alla parola “umiliazione”. Ma l’umiliazione deve essere forte, fortissima. Perciò raccoglievo pezzi di pelo pubico dal bidè (o bidet, se preferite).

L’argomento era il giudizio universale, o sbaglio?

 

Il giorno del giudizio universale, in tutto il mondo, a seconda dei fusi orari
vigenti, (nel mio caso erano le 04:25 del mattino) le persone dimenticarono una parola, il suo significato e tutte le connessioni che quella parola aveva con la loro “vita”;
ognuno dimenticò una parola diversa, e nonostante vani tentativi, nessuno riuscì mai a ricordare cosa significasse quella parola, né a cosa fosse legata;
dimenticammo anche i sinonimi, perché il giudizio agì così;
le persone, in quel primo giorno di giudizio universale, impazzirono un po’;
devo dire che ci furono miliardi di equivoci.

Il giudizio, secondo gli studi fatti ad oggi, agisce in questo modo:

le parole dimenticate non potranno più essere imparate nella lingua in cui sono state dimenticate. Perciò gli esseri umani dovranno ricostruire i loro ricordi, dovranno sforzarsi di parlare lingue a loro sconosciute, come succedeva migliaia di anni fa tra i pescatori, che parlavano una dozzina di lingue a testa (ma tutte male). Ma nessuno potrà scegliere la lingua della parola dimenticata.
Così, ci si potrà spiegare solo conoscendo molte lingue. Tutti studieranno
molto. Il tempo cambierà spessore. Le priorità saranno altre.
Il giudizio universale sarà una grande manna. Perché i dialoghi saranno molto
molto divertenti. E tutti sapranno qualcosa di tutti.

Ma non ne sono tanto sicuro.

Marco Lupo