La società dello spettacaaargh! – 22

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Caro Jacopo,

beato te che non devi mettere il punto dopo una settimana come quella che abbiamo passato. Ma va bene, tu hai iniziato, io metterò una “FINE”. Non la FINE: quella la mette il caso, o Dio, o la BCE. Spero non risulti una patetica e debole fine: è che in tasca pure io non ho molto, se non questa fine, di cui sto per scrivere.

Nei momenti in cui guardando avanti c’era per me solo buio, o nebbia, o deserto, o quando mi sono sentito cadere addosso le stelle, come a te nel sogno che racconti, ho sempre cercato di guardare dentro, e indietro. Ché nei momenti di crisi, ho imparato, si vive uno strano, atavico terrore di separazione (come da etimo), ci si sente chiamati a prendere una scelta, o si ha questa urgenza che preme senza che si vedano possibilità Leggi il resto dell’articolo

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La legalità? Attenti a quando scade! /5

La legalità scade perché è frutto di una dialettica, quindi maciullata dal meccanismo dell’integrazione fra opposti. Ad aggravare la mobilità della legalità ci si mette il sistema economico industriale che, strappando all’agricoltura (sottoposta molto di più a vicissitudini extraumane) il primato produttivo, consente all’uomo di darsi sue proprie regole di vita in misura decisamente maggiore. E qui nasce il problema: queste regole che l’uomo si dà sono di valore o di principio? Leggi il resto dell’articolo

La legalità? Attenti a quando scade! /3

Col Giusnaturalismo osserveremo la nascita di una concezione di giustizia che si basa sulla reciprocità, come la giustizia commutativa di Aristotele, e sul sistema di limitazione reciproca (secondo cui la propria libertà finisce dove comincia quella degli altri). E in ogni caso si tratta di un diritto connaturato con l’uomo, anteriore a qualsiasi altra legge scritta.

Avremo un cambiamento radicale con Hobbes, che teorizzerà l’esistenza del diritto naturale di tutti su tutto, che automaticamente si vanifica piombando nell’ambito della casualità e dell’arbitrio soggettivo. Egli sosteneva – rientrando pienamente nell’ambito del nominalismo – che se non vengono scritte leggi, non è possibile infrangerle; per questo, finché non si trova un capo assoluto a cui affidare il destino della comunità, le leggi non esisteranno e tutti potranno agire liberamente secondo il suddetto diritto che tutti possono vantare nei confronti di tutto. Insomma, ci dice che non esiste alcuna regola a cui dobbiamo sottostare che non abbiamo codificato noi stessi. Per dovere di chiarezza, inoltre, bisogna dire che perfino Hobbes aggiungerà che serve un capo a cui sottomettersi per poter trovare un ordine in cui vivere serenamente. Leggi il resto dell’articolo

La legalità? Attenti a quando scade! /2

Dopo aver specificato che la legalità è un valore relativo ed esterno perché cambia a seconda delle leggi e non pretende una spinta interiore, dovremo porci una domanda: cosa spinge gli uomini a produrre delle regole? Cosa vogliono raggiungere con l’edificazione d’un palazzo di leggi e norme? D’istinto si risponderebbe che vogliono la giustizia, confondendola erroneamente con la legalità (che dovrebbe invece essere un modello di saggezza). Ma è non è del tutto ridondante specificare che esse sono due cose radicalmente differenti: la legalità è la “giustizia” degli uomini, la Giustizia vera e propria è un concetto che solo Dio (se esiste) conosce. Leggi il resto dell’articolo

La legalità? Attenti a quando scade! /1

Durante il soggiorno a Roma, Carneade tenne un giorno un magnifico discorso in lode della giustizia, dimostrando che essa è la base di tutta la vita civile. Ma un altro giorno tenne un altro discorso, anche più convincente del primo, dimostrando che la giustizia è diversa a seconda dei tempi e dei popoli ed è spesso in contrasto con la saggezza. E portava l’esempio del popolo romano che s’era impadronito di tutto il mondo. Se i Romani volessero essere giusti, egli dice, dovrebbero restituire agli altri i loro possessi e tornarsene a casa in miseria. Ma in tal caso sarebbero stolti.
E così giustizia e saggezza non vanno d’accordo.
N. Abbagnano e G. Fornero
 
 
 

Nel corso della storia le comunità umane si sono stabilite su determinati territori e si sono organizzate secondo certe regole, dipendenti dalle caratteristiche delle comunità stesse. Si va dai gruppi nomadi alle tribù dedite alla caccia e all’agricoltura e poi, con forme organizzative più marcate, vi è stata la città (la polis greca, la res publica romana, i comuni, i principati e lo Stato).

Lo Stato è un’istituzione, cioè un’organizzazione con un’esistenza propria che assorbe e unifica gli elementi che la compongono. È indipendente dagli individui che ne fanno parte e dai rapporti intercorrenti fra loro. Persegue interessi e finalità unitari, distinti dagli interessi individuali di ognuno dei componenti. Ha un ordinamento giuridico risultante da norme obbligatorie per i soggetti che gli appartengono, per cui la comunità è tenuta a porre in essere comportamenti conformi alla legge, quindi, legali. Ma cos’è la legalità? Leggi il resto dell’articolo

La giustizia dei martiri

La giustizia dei martiri

di Giuliano Pasini

Primo gennaio 1995, borgo di Case Rosse nel cuore dell’Appennino emiliano. Il commissario Roberto Serra e l’agente semplice Valerio Manzini hanno un tremendo risveglio: i corpi esanimi di un uomo, una donna e una bimba di appena nove anni sono stati ritrovati nel Prà Grand, il prato grande. Di fianco ai cadaveri un bastoncino di legno a forma di Y, quasi fosse una parte di una fionda. Il commissario è considerato dagli abitanti del paesino un ed fora, un forestiero, un uomo di cui non ci si può fidare, un uomo da guardare con sospetto e a cui tenere nascosti i propri pensieri. L’agente Manzini è, invece, un compaesano, l’uomo che conosce tutto ciò che è accaduto nel borgo e tutto ciò che gli abitanti stanno cercando di dimenticare da oltre quarant’anni. Proprio nel Prà Grand è stata compiuta una cruenta strage nazifascista.

Passato e presente si intrecciano in un noir che lascia il lettore sempre con il fiato sospeso, sempre con la voglia di continuare a lasciarsi trasportare dalla narrazione che fluisce senza intoppi. Giuliano Pasini si cimenta per la prima volta con la forma romanzo e la sua è di certo una scommessa vinta. Le atmosfere sono simili a quelle evocate da alcuni romanzi di Loriano Macchiavelli e Francesco Guccini. Pasini lavora di cesello nel delineare la psicologia del suo protagonista, il commissario Roberto Serra, niente affatto scontato o banale. Decidere di misurarsi con una storia che affonda le sue radici nella Resistenza è un gesto coraggioso nell’Italia contemporanea. Nessuna pacificazione è possibile, non esiste una memoria che possa essere condivisa. I martiri chiedono vendetta. E le storie non sono altro che «asce di guerra da disseppellire», come scrivono i Wu Ming.

Serena Adesso

Intervista a Giuseppe Garibaldi

È arrivato in libreria il secondo lavoro di Massimiliano e Pier Paolo Di Mino “Il libretto rosso di Garibaldi” (Purple Press), un vero e proprio compendio che racchiude quanto si volesse sapere sull’eroe italiano attraverso lettere, proclami e scritti di varia natura.

Per parlarne e approfondire abbiamo puntato molto in alto, scomodando lo stesso Giuseppe, che abbiamo scoperto essere il vero artefice della nascita del libro.

Quanto segue è la pura verità.

 

È vero che lei ha imposto ai Di Mino di scrivere un libro che la riguardasse?

La vostra è una generazione delicata, vegetariana: chiamate “imposizione” ciò che è semplicemente un consiglio dato con forza. Nella vita ho imparato a fare le cose alla spicciolata, con veemenza e senza pensare troppo. Mai ritrovarsi a dire che «pensando, consumai la ‘mpresa che fu nel cominciar cotanto tosta». Sono versi di Dante, il secondo italiano più importa della storia dopo di me. L’importante è fare. Per esempio, l’Italia: non è come la sognai, ma la rivoluzione è come l’amore, e in amore è meglio lasciarsi che non essersi mai incontrati.

Perché lo ha fatto?

Perché in fondo la vita di un uomo si riduce al racconto che se ne può fare. E penso che farei peccato più grave fingendo modestia se non reputassi la mia vita un racconto che vale proprio la pena di essere fatto. Io stesso vi provai, cimentandomi con calamo e carta. E molti sono quelli che hanno usato la loro arte per proseguire la mia leggenda. Ma oggi, in questa Italia immiserita, vituperio delle genti (è sempre il secondo italiano più importante che lo dice) vedo riaffacciarsi una nuova pubblicistica che mi dipinge come un ladro (io che non ho mai accettato un soldo da nessuno e ho sempre vissuto poveramente!). Qualcuno mi ha accusato di essere un negriero (io che ho liberato schiavi lungo tutte le coste d’America: Aguyar, fratello mio, mi sei testimone!). Mi si accusa di essere la fonte dei mali del nostro bel meridione, e si dimentica che sono stati i soldati piemontesi, e non le mie giubbe rosse, a fare gli eccidi di contadini calabri e campani; non io ho vuotato le casse del ricco regno delle due Sicilie e ridotto quella terra felice a una colonia interna. Dare la colpa di tanti mali alla mia opera di liberazione è cosa vana e folle quale l’accusare un padre dei mali di un figlio per averlo messo al mondo. Non voglio dimenticarmi di parlare di Bronte, che mi grava sul petto: ma dirò solo che la strage terroristica (perché questo fu praticato da quei contadini) non è la stessa cosa di una rivoluzione. Parlare male di me, significa parlare male di una rivoluzione che cercava di realizzare giustizia e libertà. Con questo libro voglio far smettere questo vaneggiamento, perché si torni a parlare di giustizia e libertà.

È vero che lei è un socialista?

Non vedo come potrei essere definito diversamente. Sono stato il primo internazionalista per aver combattuto per tutte le cause progressiste di tutti i paesi del mondo. E l’ho fatto perché gli uomini potessero vivere in un mondo libero, dove il contadino avesse la sua terra e l’operaio il suo diritto al lavoro e alla vita la più dignitosa possibile: dove non vi fosse posto per il tiranno, l’ingiustizia, la violenza. Il mio è il socialismo delle persone, e non una teoria su un libro di filosofia. Il mio socialismo è vivo non in teoremi astratti, ma nella certezza che la marea socialista finirà per sommergere l’impreparata nave dello Stato.

È vero che lei non aveva rispetto per le donne?

Se amare una donna è non rispettarla, allora mi assumo la colpa.

È vero che lei è stato in Messico?

Mi manca. Un mio nipote, in effetti, ha combattuto lì, ma preferisco non parlare di lui.

Sono vere le cose che si dicono sul suo coraggio?

Vere. E anche se non le fossero, sarebbe dovere e responsabilità ineludibili di un uomo e di un rivoluzionario vantarle. La cosa più brutta che può accadere ad un uomo, e ad una nazione, è di perdere il coraggio; anche solo quello di sperare in una vita migliore.

Come ci si sente ad essere l’Eroe dei Due Mondi? Donne ovunque eh!?

Non è tutto rose e fiori. Per esempio, ricordo in Inghilterra tutta quella gente che mi acclamava, e mi dava segni di affetto, ma poi non volevano farmi fumare il sigaro dentro quelle stanze tutte tappezzate fino a far perdere i sensi a un povero uomo. Per non parlare dell’avermi costretto a coricarmi in orari proibitivi, tipo anche le dieci di sera. E poi le donne, contesse e affini, con quelle astruse complicazioni come l’andare a letto senza stivali. Se vogliamo parlare di vera felicità, parliamo di Caprera e della mia Armosino: una donna vera, con due mani così!

Cosa troveremo in questo libro?

Quei discorsi e quei proclami che rappresentano il mio pensiero vivo: il mio costante invito a tutte le generazioni umane a combattere per il diritto contro l’ingiustizia. Ricordate: lo schiavo solo ha diritto di far la guerra al tiranno!

Cosa non troveremo?

I Di Mino non solo hanno raccolto un ragionato catalogo di miei scritti, hanno anche ridisegnato la mia figura di rivoluzionario e di uomo in una nota introduttiva che è un invito alle generazioni presenti. Io, finita la mia vita mortale, sono ormai un racconto sul quale modellare il proprio impegno umano e, quindi, politico. È un libretto esortativo: quindi non troverete la testimonianza dolente della delusione che nutro nei confronti di questa Italia che pure ho espresso con tanta forza in molti luoghi. È ora di guardare avanti!

Chi le scriveva i discorsi?

Mi pare i Di Mino, no?

È soddisfatto del lavoro svolto dai Di Mino?

Ancora non l’ho letto. Comunque, sì.

Ma lo sa che prima hanno scritto un libro su D’Annunzio? Che ne pensa?

Fiume di tenebra, un romanzo sulla Reggenza del Carnaro, che è l’ultima impresa risorgimentale e, quindi, garibaldina. Ricordo di aver consigliato con forza anche al D’Annunzio di scrivere un libro su di me. Poi, pieno di entusiasmo, il simpatico poeta mi ha addirittura emulato. Nei festeggiamenti di quest’anno, non verrà nemmeno nominato. Tanto gli italiani hanno dimenticato la loro storia, e non sanno più chi sono!

Ci saluti come meglio crede.

Vi saluto, augurando a tutti una nuova Fiume, un nuovo Risorgimento: augurandovi lo splendore di una nuova Repubblica Romana, senza disperare mai, perché ovunque sarete con i vostri ideali di giustizia, libertà e bellezza, là sarà Roma.

 

Intervista a cura di Alex Pietrogiacomi

La banda dello stivale, ovvero la Seconda Unità d’Italia – 20

[leggi le puntate precedenti]

“Una biro… una penna biro!”, gridò qualcuno, e in quel grido si sentì tutta l’indignazione di un’epoca, che si credeva d’aver chiuso per sempre i conti col proprio passato. In un baleno sembrò che a niente fossero serviti anni di ricerca e d’investimenti nell’informatica e nelle telecomunicazioni, perché l’insondabilità del pensiero era ancora materia tutta da disquisire e per niente liquidata se si trovava ancora chi s’aggirava con certi attrezzi nelle tasche della giacca.

I cinque scribacchini, rimasti orfani di penna, ebbero la prontezza di riflessi adeguata per sfruttare quell’attimo di costernazione e darsi alla fuga, ma non senza aver prima bersagliato il Presidente d’una mitragliata di pallottole di carta piene d’ingiurie e di dileggio – contenuti che non posso ahimè trascrivervi, poiché secretati in qualità di prove schiaccianti che condannerebbero senz’appello l’ideologia malsana degl’imputati.

Lo stuolo dei consiglieri di varia natura – da quelli più strettamente politici a quelli estetici, fino ai più semplici portaborse – si prodigarono uniti nella corsa folle verso gli squinternati attentatori, che, muniti d’un navigatore satellitare con voce femminile, seppero però dileguarsi tra antenne e torracchioni. Alcuni testimoni nottambuli si sono divertiti a descrivere questa scorribanda notturna rimembrando le voci che si rincorrevano appresso all’eco della riproduzione meccanica dal timbro femminile, che a ogni svolta doveva pronunciare per ordine superiore – quello dei suoi circuiti elettrici – il nome della via imboccata, nonché il suggerimento per la prossima direzione: “Tra cento metri girare a sinistra”, “Alla rotatoria prendere la seconda a destra”, e via dicendo, tanto che se gl’inseguitori avessero avuto un po’ più di sale in zucca si sarebbero potuti organizzare per accerchiare il gruppo.

Il gioco a rimpiattino andò avanti per diverso tempo, e dopo pochi minuti si aggregarono anche le forze dell’ordine in pompa magna, ma, sembra incredibile a dirsi, i cinque scrittori – che per giustizia proporrei di definire d’ora in avanti anche ardimentosi – riuscirono a raggiungere indenni la propria auto e a sgommare sulla tangenziale.

Come fece un’utilitaria a combustione ecosostenibile a seminare i potenti cavalli dell’arma, questo resta un mistero insondabile a noi poveri esser umani, ma mentre i nostri guidavano verso Forlimpopoli – senz’altro ringalluzziti dalla bravata, e quindi rifocillati da una discreta dose d’adrenalina – in televisione si rincorrevano i comunicati allarmati del governo, e in tutti i telegiornali passava l’immagine del Presidente, costernato innanzi al sacrilego oggetto a punta, che gridava giustizia.

Gli scrittori precari, ignari del putiferio che si stava scatenando, ripararono in un rifugio imboscato tra i colli romagnoli, lontani dalle voci accalorate e sconcertate di tanti bravi connazionali che denunciavano una situazione politica ormai insostenibile, in cui l’opposizione cercava di ostacolare il governo con ogni mezzo, anche il più violento.

Tutti si chiesero chi fossero questi scribacchini dell’ultim’ora, e per informarsi presero d’assalto il loro blog, che fino ad allora aveva avuto più o meno lo stesso numero di frequentatori di un casolare abbandonato in campagna. Insomma, in un sol colpo essi avevano raggiunto ben due obiettivi, ma isolati com’erano non potettero godersene i frutti, se non tra i pochi loro compagni, che ancora credevano nella vita in comune e nella licenziosità dei costumi.

Simone Ghelli

La banda dello stivale, ovvero la Seconda Unità d’Italia continua il 15 marzo. Venite a scoprire cosa accadrà a questi scrittori precari che volevano rubare le parole al Presidente…