Una veronica perfetta

di Pierluca D’Antuono

Sono nato nel più grande comprensorio della Cassia, in una casa bellissima vicino alla Tomba di Nerone. Ho passato tutti i pomeriggi della mia infanzia a disegnare sulle pareti del terrazzo fessure e crepe con diritti impeccabili, finché un rovescio pauroso catapultava le palline nel verde infinito del Veio, tra alberi soffici come nuvole e pascoli immobili nella nebbia. Quando pioveva, le corde della racchetta si intridevano di gocce di rugiada che esplodevano nell’aria insieme al mio sudore. D’estate, la meccanica si fondeva sotto al sole, le corde si allentavano e il ferro del manico mi incendiava i palmi viscosi; il tramonto arrivava troppo in fretta, annunciato dal rombo della Rolls di mio padre che rientrava dagli allenamenti, distrutto e silenzioso come ogni sera.
Allora aveva 33 anni, era alla sua ultima stagione e si sarebbe ritirato alla fine del campionato, nel giro di pochi mesi. Ogni volta che mia madre gli chiedeva qualcosa sulle sue giornate, rispondeva sempre allo stesso modo: «Non sopporto più il rumore del pallone. Sono stanco». L’unica immagine che conservo di lui è quella di un uomo esausto con gli occhi pesti, la barba sfatta, la schiena ricurva e le spalle chiuse su se stesse. Era il capitano della sua squadra, il giocatore più amato dalla curva, il più pagato dalla società, ma qualcosa, irrimediabilmente, lo turbava nel profondo. Impiegò i suoi ultimi mesi con noi a guardarsi dentro, alla ricerca di una verità, la più diretta, finché un sabato mattina di maggio è uscito di casa e non è più tornato. Il giorno dopo avrebbe dovuto giocare Leggi il resto dell’articolo

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Appunti biodegradabili dalla terra della fantasia – 3

Ho scoperto che le uova bianche, più piccole e allungate, sono di gallina bianca. Le uova delle anatre, invece, c’hanno il guscio verde. Sabato, nel tardo pomeriggio, sono tornato a Roma. Roma l’ho vista, toccata e me ne sono andato. Domenica prima di pranzo ho visto il Ghelli, mi ha chiesto della vita di campagna, e parlando con lui di questa storia delle uova si è finiti a parlare di uova di struzzo. Il discorso nasceva da una strampalata idea di andare a vivere, una trentina di persone, in un villaggio diroccato per creare, da un piccolo borgo abbandonato, una piccola comunità, un villaggio autosufficiente dove poter vivere. Fantasticando su progetti impossibili Leggi il resto dell’articolo