Friday – #gunstreet

di Domenico Caringella

 

Il maggio di Manhattan, rosso tramonto, era entrato dalla finestra aperta e con una carezza le aveva chiuso gli occhi.
Tutto era pronto. La tavola, la cena in forno, i fiori. Questione di minuti e Howard sarebbe tornato. Si guardò allo specchio. Ok. Per essere perfetta le bastavano ancora lo sguardo e il vademecum per mogli che Burt Bacharach e Jack Jones dispensavano in “Wives and lovers”. Era felice e fonte di felicità. Come ogni venerdì. Sì, era stramaledettamente felice come ogni Leggi il resto dell’articolo

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Motherfuckers – #gunstreet

di Domenica Caringella

Colonna sonora:


Robert avrebbe voluto essere altrove.
Non sulla vecchia Triumph verde bottiglia che Sammy Joe aveva rubato quella mattina nel parcheggio davanti al vecchio stadio del Wednesday e che adesso fuggiva sbilenca come un ubriaco, schiacciata tra il bianco della neve che aveva ricominciato a foderare l’asfalto del boulevard, e il rosso del sole che moriva e dei semafori sbeffeggiati dalla loro corsa obbligata.
Non su quell’auto del cazzo. E non con quelle sirene, quelle dell’allarme della banca che si allontanavano e tutte le altre che si inseguivano come in un passaparola, che gli toglievano il respiro e non lo facevano pensare. Sirene con coda e tette avrebbe voluto; e cera da stivarsi nelle orecchie per non sentirle.
La scia di terrore che si erano lasciati dietro e la donna che mischiava le lacrime al sangue mentre gli tendeva il braccio, quello sano, per offrirgli le chiavi del paradiso, le aveva accettate senza rimpianto già un minuto dopo aver sparato. Erano un corollario. Sapeva da prima che sarebbe stato quasi impossibile evitarle. Leggi il resto dell’articolo

Kariokiller – #gunstreet


gunstreet
di Domenico Caringella

Ricevetti l’ordine di fuoco sullo stesso terrazzino che invisibile spiava Ipanema, l’ideale per patti scellerati e sguardi sconfinati e inutili da proiettare sull’atlantico.
Tibor decorò l’ultima frase, quella che valeva pollice verso, con la solita superflua osservazione finale “chi non merita di morire dopotutto?”, che non serviva a convincere, perché già l’avevano fatto il piccolo lingotto che era il mio prezzo e la mia datata accettazione senza riserve del ruolo che ricoprivo nell’ingranaggio. Leggi il resto dell’articolo

Il lago – #gunstreet

Colonna sonora:

di Domenico Caringella

L’ho sempre saputo che mi tenevano d’occhio.
I federali, e la DEA per il processo sul carico di coca, e il giudice di sorveglianza per la vecchia storia delle molestie a Judith e delle botte al testa di cazzo che adesso dormiva con lei nella casa stile olandese, si allenava a golf sul campo dietro il boschetto di hickory risparmiato con mirata misericordia dalle ruspe e che probabilmente si sfidava a qualche giochino scemo per decidere quale tra i sette bagni usare per la doccia. Tutta roba sporca, di neve e sangue. E tutta roba mia: Judith, la casa che gioca a specchiarsi nel lago, il campo, le mazze, il boschetto, le ruspe e i cessi in marmo. E pure la misericordia, anche se quella è diventata merce rara dalle mie parti, quaggiù nell’anima mia. Rancore e disincanto, ormai vado avanti con questo. Un carburante dal mercato incerto. In questo momento i prezzi sono alle stelle. Per quanto mi riguarda. Leggi il resto dell’articolo

Cinquantadue. O cinquantatré – #gunstreet

52.53di Domenico Caringella

C’è un solo modo per nascere. E mille per morire.
È un antico detto, un antico detto cinese del cazzo.
Non è vero, è mio, l’ho inventato adesso. Però mi suonava bene. Di solito bluffo. Va bene, va male.
Dipende.
Ok. Ci sono mille diversi modi per morire.
E poi c’è il mio.
Diamanti di mezzo. Falsi. Quelli rifilati a “Gaza” Assan, un palestinese atipico che accumula beni, colleziona fighe e si lucida gli occhi guardando pietre preziose. E che paga una squadra di Leggi il resto dell’articolo

Fiori e pallottole – #gunstreet

di Domenico Caringella

Bella. Più che nelle fotografie. Più oggi – vedova, affranta, assediata dalle lacrime, scura, l’autunno alle porte – che in quel pomeriggio di sole alla stazione, estranei in attesa sulla banchina, con me che la spiavo.
Le parole del reverendo mi arrivano smorzate, monche; inutili. Scivolano nella fossa insieme alla terra, la potenza e la misericordia di Dio e del Cielo attraversano il legno della bara, ma sullo zinco rimbalzano.
Gli mancherà. A lei, all’altra lei che oggi non c’è, o se c’è non si vede. Agli amici. Mancherà un padre ai suoi figli. E dire che così poco sapete di lui. Perché voi dovevate solo viverci.
Io invece che dovevo ammazzarlo e che l’ho fatto, a sangue freddo, a distanza, alle spalle, per denaro, tutto di quell’uomo ho Leggi il resto dell’articolo

Carcharodon – #gunstreet

di Domenico Caringella

Quando il tenente Woodehouse, per venire al dunque, scelse l’infelice metafora del gatto corredata dallo strascico inevitabile delle sette vite, perse l’ultima possibilità di entrare un giorno al mio posto nel grande ufficio candido come la neve all’ultimo piano. Mi limitai a posargli una mano sulla spalla e a fargliela pesare quanto bastava per suggerirgli di restare seduto, di tacere e spiegargli che aveva imboccato una strada senza ritorno.
Mentre mi alzavo, provai una fitta di delusione, non tanto per lui quanto per me; solo ora mi accorgevo che non aveva gambe abbastanza forti per camminare da solo. Né ali per volare. A me erano spuntate il giorno in cui a distanza di due sole ore avevo divorziato e avevano sparato al mio compagno di pattuglia, e ne ero uscito vivo, immacolato come un Leggi il resto dell’articolo

E adesso sono proprio cazzi ispettore McClusky – #gunstreet

di Domenico Caringella

“Sono un fottuto luogo comune. Non ci giro intorno. Rinuncio a termini come prototipo, simbolo, modello. Anche perché il bluff durerebbe poco. Troppo poco per riuscire a godermela abbastanza. Sono mesi che la porta a vetri del mio ufficio si apre solo quattro volte al giorno. Due per l’entrata e l’uscita del capo, le mie, e altre due per Shirley. Si sa tutto di tutti in questa città e di un poliziotto privato sopra i cinquanta non sente il bisogno nessuno. Anche Shirley non mi vuole più. E comunque è una segretaria adeguata al boss, è uno schifo di donna ormai. Il venerdì è il giorno peggiore, la speranza non è ancora morta, ma tu sì. Il venerdì ti mette il cappio e chiede all’orologio sul muro di stringere piano, un po’ di più a ogni giro di lancetta. Ma quel giorno qualcosa cambiò. Altro che, se cambiò. Quel cazzo di venerdì la porta a vetri fece slam cinque volte in totale. Mi stavo incartando sul cruciverba facilitato del Tribune, mentre Shirley ascoltava alla radio Supersound degli anni ’70 di K Billy che mandava Leggi il resto dell’articolo