VERNISSAGE

Quello che segue è il quarto racconto (qua il terzo) ispirato ai disegni di Lucamaleonte e scritti appositamente per la serata di letture tenutasi al Laszlo Biro il 5 maggio.

Vernissage

di Simone Ghelli

Ero stato entusiasta quando ce lo chiese: di scrivere dei testi per i suoi disegni.

Gli altri un po’ meno, a dire il vero; per via degli impegni, ufficialmente.

Gianluca faceva così da un po’ di tempo, non era una novità; eppure notai che distoglieva subito lo sguardo.

«Belli, pure troppo,» disse Angelo.

Non era l’aggettivo giusto: paurosi, avrei detto; soprattutto quello della donna-medusa, con le escrescenze che facevano della faccia una selva di serpenti (o di dita con la bocca; il che m’inquietava oltremodo). Le deturpazioni del volto erano una costante dei disegni; facce che davano vita a forme animate: protuberanze più o meno riconoscibili, oppure una vera e propria rimozione – come la testa risucchiata dalla bomboletta di spray, o le matite conficcate negli occhi (che, neanche tanto tra parentesi, lessi come manifesto d’intenti).

«Ma l’artista dov’è, adesso?» chiese Luca.

Andrea fece un gesto vago:

«Non so neanche come sia fatto,» spiegò, «abbiamo trovato il pacco dentro la cassetta delle lettere…»

«Il pacco?!»

Angelo non aveva capito il nesso.

«Sì, dove stavano le tavole che abbiamo esposto,» precisò il proprietario della galleria. Leggi il resto dell’articolo

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Io lavoro per una casa editrice. Mi chiamo Giovanni ed ho i peli sulla schiena. Il mio lavoro è un part-time dal lunedi al giovedi, dalle 7 del mattino alle 10 e dalle 12 alle 14. Nelle due ore di buco non passo fare nulla di che, ma sono libero e mi godo la mia libertà. Di solito mi appoggio in libreria e mi leggo i romanzi a puntate. Dico a puntate perché mi leggo ogni giorno una ventina di pagine dello stesso libro. Entro alla Feltrinelli, mi sorseggio un the e mi sfoglio le pagine di qualche classico, tutti libri che poi non compro, tanto stanno lì, come se fosse una mia libreria personale, me li leggo pian piano ma senza acquistare mai nulla, li considero miei. Il mio lavoro consiste nel prendere la metro, arrivare al copolinea, uscire dal vagone, prendere la stessa metro ma in direzione opposta, arrivare all’altro capolinea, cambiare linea metro ed arrivare al capolinea della seconda linea metro, uscire dal vagone e ritornare indietro. Così ogni giorno dalle 7 alle 10 e dalle 12 alle 14. Naturalmente non devo fare solo questo, io lavoro per una casa editrice, una di quelle “famose”, di quelle che “vendono”, di quelle che hanno autori che vanno in tivvù, quindi, una volta in metro mi devo ricordare di tenere bene in evidenza il libro che sto leggendo, solitamente mi affidano le nuove uscite. È pubblicità subliminale. Devo essere come un attore: devo saper piangere se il libro è drammatico, devo ridere fino alle lacrime se il libro è comico, devo spaventarmi ed ogni tanto chiudere il volume (come se fosse posseduto dal demonio) nel caso si tratti di un romanzo horror, devo mettere in evidenza la mia erezione se sto leggendo un libro erotico, devo iniziare a parlare di luoghi comuni e malcostume italiano con il malcapitato vicino, se sto leggendo un saggio politico di qualche giornalista televisivo. È un lavoro semplice e redditizio che mi permette di vivere decentemente. Siamo parecchi a fare questo lavoro, solo nella mia casa editrice ne siamo una decina. Quindi: quando vedrete un ragazzo che nella metro è immerso in qualche lettura e sembra pure soddisfatto di quello legge, pensate pure tranquillamente che si tratti di un pubblicitario.

Angelo Zabaglio e Andrea Coffami