Storia d’amore a sud di nessun nord
marzo 11, 2011 7 commenti
[Riproponiamo il racconto del nostro Gianluca Liguori pubblicato su Prospektiva 51. Inoltre ricordiamo che è uscito, interamente dedicato al tema La Traversata, il numero cinquantadue dove, sotto la direzione editoriale dello “sforbiciatore” del lunedì Fabrizio Gabrielli, troverete i racconti dei precari Gianluca Liguori e Alex Pietrogiacomi, in compagnia, tra gli altri, di alcuni autori che abbiamo avuto il piacere di leggere su questo blog come Domenico Caringella, Dario Falconi, Marco Marsullo, Roberto Mandracchia, Gianluca Morozzi, Sacha Naspini, Eduardo Olmi e Stefania Segatori. Buona lettura]
Io non lo so se quella cosa di averci un burrone
stomaco capita a tutti, mammina cara.
Però in quel momento mi sembrava di cascarci a me,
dentro quel burrone.
Per esempio la luna. Quando guarda la luna, Adele scoppia a piangere. Io mica la capisco questa cosa qui. Vedi tu se si può piangere a guardar la luna. Questa cosa della luna io l’ho scoperta tardi, perché prima, fino a quella sera, poteva essere un mese fa, io e Adele ci incontravamo solo di giorno. Ci guardavamo di lontano e lei sorrideva. Sorridevo anche io, poi mi sentivo il fuoco sulla faccia e scappavo via.
È più forte di me, mi commuovo, ha detto quella sera che l’ho trovata sul ponte a guardare la luna e l’ho avvicinata. Io non ho potuto far altro che offrirle una carezza. Lei ha cominciato a raccontarmi tante cose. Parlava, parlava. Io non sono scappato fino a quando lei ha detto che s’era fatto tardi e doveva tornare a casa, se no i suoi non l’avrebbero fatta più uscire a guardar la luna.
Io vorrei pure baciarla, Adele, ma mica lo so come si fa. La mamma mica me l’ha spiegato: la mamma dice che di ragazze ne devo baciare solo una, quella che sposo. Che se no, dice, mi prendo le malattie e non mi sposa nessuna, che già c’abbiamo poco da offrire noi. La mamma dice che ci sono tante ragazze cattive, che devo stare attento. Io ci ho un po’ paura delle ragazze e non parlo mai con loro. Tranne che con Adele, perché con lei è diverso. Adele è lei che mi parla. Io sto zitto. Cioè, non è proprio che sto zitto, mi limito a dire “Sì” “Certo” “Bene”. Mai detto altro. Io le parole che vorrei dire le cerco, me le immagino sempre quando sono a pascolar le pecore, quando mi siedo sulla pietra penso tante parole; ma quando Adele mi parla dico solo “Sì” “Certo” “Bene”. Non le so dire altro.
Questa cosa che non riesco a parlare è proprio strana. Mi si crea una sensazione di vuoto tra lo stomaco e il cuore, come se un topino mi rosicchiasse da dentro. Io questo topino me lo immagino davvero, una volta l’ho pure sognato che mentre dormivo mi entrava in bocca. Forse mica che non era un sogno e che il topo m’è entrato dentro e lì vive. E siccome quando vedo Adele il cuore comincia a battermi forte, il rumore del cuore lo spaventa e comincia a mordermi, povero topino.
Io alla mamma mica posso dirglielo che c’ho il topo di dentro. Io lo so che lei prenderebbe il mattarello della pizza e comincerebbe a menarmi sulle braccia e sulla schiena. Io lo so che va a finire così, e siccome le botte non le voglio, ché già il babbo quando beve troppo vino dice che è colpa mia se non è riuscito a combinare nulla e me le dà di santa ragione. Il babbo beve tutte le sere. Certe volte me la scampo, che me ne vado a dormire prima che lui si ubriaca. Però poi è peggio, perché mi sveglia nel sonno il pianto di mia madre. E capisco che mio padre se l’è presa con lei. Io questo lo so perché una volta ho finto di dormire e poi mi sono affacciato e ho spiato mio padre che dava mia madre con la cinta. Io guardavo e mi faceva male pure a me, era come se picchiasse anche su di me. È da quella volta che ho deciso che in camera ci vado solo quando ho sonno da non star sveglio. Preferisco prendermi le botte io, piuttosto che la mamma. Che poi il babbo lo dice pure lui che io c’ho la pelle di ciuccio. E quando hai la pelle di ciuccio il dolore lo sopporti bene, mica come quei bambini che vanno a scuola e sono tutti belli lindi e puliti, bianchicci, che una sola cinghiata del babbo e sarebbero un lago di sangue. Io lo so che il babbo me le da perché mi vuole bene. Oramai non piango nemmeno più. Mi chiudo come una palla e aspetto che finisca. Tanto finisce sempre. Mica può stare sempre a picchiarmi, dopo un po’ si stanca, gli viene a noia, o peggio comincia a piangere lui e dice che non voleva, si scusa. Io il babbo quando fa così mica lo capisco. Io quando piangono i miei genitori non piango mai. Le lacrime sono dei deboli, diceva la nonna. Io voglio esser forte ché devo proteggere Adele. Adele è debole, e di certo non è una cattiva ragazza. Una cattiva ragazza non più piangere a guardar la luna. Sono sicuro che alla mamma piacerà tanto, Adele. Io però alla mamma non gliela voglio raccontare questa storia della luna, chissà cosa penserebbe, direbbe che Adele non fa per me, che per me ci vuole una donna di campagna che sappia badare alla casa, che mica quando invecchia c’avrà le forze, dice lei. La mamma non capirebbe mai perché Adele piange alla luna. Non lo capisco nemmeno io.
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