Identico a mio figlio (morto)
gennaio 26, 2010 1 commento
Sono in fila alla cassa del supermercato. Davanti a me c’è una signora abbastanza anziana e abbastanza grassa. La signora mi sente arrivare, si volta. Mi guarda. Sgrana gli occhi. Non smette di guardarmi. Io accenno un sorriso, Salve. Lei mi guarda. Non smette di guardarmi. La signora grassa inizia a trasferire il contenuto del suo carrello sul nastro trasportatore, ma a ogni nuovo prodotto si volta di nuovo a guardarmi. Zucchine. Mi guarda. Petto di pollo. Mi guarda. Detersivo. Mi guarda. Io non so più dove guardare. Allora la signora parla.
Scusa se ti fisso così, mi dice. E’ che sei identico a mio figlio. Identico a mio figlio com’era vent’anni fa, quando è morto. Ha avuto un incidente in moto, un’auto nell’altra corsia ha fatto un sorpasso e bum, frontale. Sei identico a lui. Scusa se ti fisso così, dice la signora. Io non so dove guardare, e non so che cosa dire. Allora la signora parla, ancora: Ho una sua foto nel portafoglio, aspetta, te la faccio vedere. La signora fruga nella borsa, tira fuori la foto e me la mostra. Il ragazzo nella foto è grasso, biondo, con gli occhi chiari e le guance rosse. Io sono magro, moro, con gli occhi scuri. Non ci somigliamo nemmeno al buio. La signora ha gli occhi lucidi: questo è il mio Filippo, dice. Io capisco di avere a che fare con una squilibrata, ma cerco di non darlo a vedere. Continuo a stare zitto, e a non sapere dove guardare.
Allora la signora parla, ancora: Posso chiederti un favore? Lo so, ti sembrerà una cosa stupida, però, ecco, quando uscirò dal supermercato, ti dispiace dirmi “Ciao mamma”? Sono vent’anni che non me lo sento dire, e tu sei davvero uguale al mio Filippo. Va bene, le dico. Allora lei va verso l’uscita, la porta scorrevole si apre, lei si volta indietro e mi dice: Ciao, Filippo! Io cerco di non farmi tremare la voce, alzo una mano e dico: Ciao, mamma. La signora grassa fa un sorriso con dentro tutta la gratitudine di cui è capace, si volta ed esce. Io penso che il mondo è bello perché è pieno di vecchie psicopatiche, appoggio le mie tre birre sul nastro trasportatore e tiro fuori i cinque euro sfusi che ho in tasca.
La cassiera batte uno scontrino lungo venti centimetri e mi dice: Sono centotrentacinque euro e dodici centesimi. Per tre birre? No, dice la cassiera, ho fatto un conto unico con sua madre: quando è entrata mi ha detto che avrebbe pagato lei. Lei cioè io? Sì, tu. Ma quella non è mia madre! Ah, no? No. Ma non l’hai appena salutata dicendo “Ciao, mamma”? Sì, ma non è mia madre, l’ho salutata così perché me l’aveva chiesto… (Ridicolo, sono ridicolo. La cassiera non ha sentito la storia dell’incidente in moto e io non so da che parte farmi. Non so dove guardare. Sto zitto. Parla lei) E qui chi paga? (Fottuto, sono fottuto. Ho appena incontrato la miglior truffatrice di tutti i tempi e ci sono cascato come un cretino).
Senta, dico alla cassiera, quella non era mia madre. Mi ha fregato. Adesso io esco e la fermo, le lascio qua le birre e il portafogli, torno subito. Esco di corsa dal supermercato. La signora grassa sta caricando le due borse della spesa nel sedile posteriore della sua Punto blu. E’ girata di spalle e chinata, si vede solo il suo enorme culo. Allora io mi avvicino, e la prendo per il culo. Come ho preso per il culo voi. Non era vera questa storia. Quantomeno, non è una storia mia. Se indovini a chi l’ho rubata vinci un frigo a pedali.
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