Senza parallelo – una recensione a Sforbiciate di Fabrizio Gabrielli

[I lettori più attenti senza dubbio ricorderanno Sforbiciate, la rubrica – nata sulle ceneri de Il mondiale dei palloni gonfiati – di Fabrizio Gabrielli, che ha accompagnato i lunedì di SP durante la stagione calcistica 2010/11. Da quella rubrica l’editore Piano B ne ha fatto un libro. Lo hanno letto per noi Matteo Salimbeni e Vanni Santoni]

“Le idee dei grandi uomini sono patrimonio dell’umanità; ognuno
di loro non possedette realmente che le proprie bizzarrie.”

M. Schwob

Si può scrivere di calcio partendo da un dato, una partita, un gesto tecnico e svilupparlo in modo epico (o di cronaca); oppure si può partire da un dato immaginario, metterci un pallone, due squadre, un fischio d’inizio e lavorarci intorno e giocarci. Nel primo caso il lettore esperto di calcio è chiamato a confrontarsi con la rielaborazione che l’autore fa di un dato condiviso, del quale conosce i protagonisti e sul quale magari si è già fatto un’idea. Nel secondo caso, il lettore può pure non saperne nulla di calcio, l’importante è credere a quello che ti dice l’autore. Arpino, col suo Azzurro tenebra, partì da un angolo di storia ben preciso: i mondiali del ’74, e ci tirò su un paesaggio stellare, fatto di eroi, scontri titanici, drammatiche rese e colpi bassi, profezie a bordo campo e inevitabili tragedie, epiteti, litanie, scongiuri e sbronze leggendarie. Soriano se lo costruiva quell’angolo. Con un po’ di polvere, delle erbacce, i mapuches, Togliatti, la Patagonia. Fatto il campo da gioco, si inventava una partita. E magari la faceva pure arbitrare al nipote di Butch Cassidy. Gabrielli fa ancora un’altra cosa. Il suo Sforbiciate (Piano B, 2012) Leggi il resto dell’articolo

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Rubrica che vieni, rubrica che vai

Slacrimuzzo.
Sembra ieri ch’erano appena finiti i mondiali, avevo scritto qualcosa pe “i mondiali dei palloni gonfiati“, mi ricordo mica si chiamasse così, quella rubrica, Liguori mi fa “e se scrivessi delle ròbe di pallone per tutto il campionato?”. Seh, penso, seh, tutto il campionato, pallone, seh, poi il primo pezzo, è un ritaglio di quotidianità pallonara, parla del posticipissimo del lunedì e del mio parrucchiere, del fatto che i parrucchieri di lunedì siano chiusi, del fatto che allora chi sforbicia di lunedì?, i calciatori, l’unica sforbiciata del lunedì, la loro e la mia che ne racconto le gesta, ah ah, delle copiose risate. Questo il panettone non lo mangia, pensava Liguori.
Ci siam fatti tutta la stagione.
Vi si vuole del bene.
Slacrimuzzo.

Fabrizio Gabrielli

Una volta c’erano le bandiere, calciatori che esordivano da ragazzi in prima squadra e finivano la carriera senza cambiare casacca. Molti di loro diventavano allenatori, dirigenti: un posto si trovava sempre. Erano altri tempi. Qualcuno dice: quelli sì che erano bei tempi. Oggi invece i giocatori simbolo sono in via d’estinzione. Siamo abituati a vedere fior di campioni trasferirsi dal Barcellona al Real Madrid, o viceversa, dal Milan all’Inter alla Juventus e così via, è tutto un valzer di carnevale, conviene, si fanno le magliette nuove, i tifosi le comprano, son soldi, cosa credete, mica amore, passione, attaccamento alla maglia e quelle robe lì. È il capitalismo, bellezza! Si stava meglio quando si stava peggio. Mogli e buoi dei paesi tuoi. Non ci sono più le mezze stagioni. Sì, ok ok, smetto. Dicevamo: le bandiere. Ve l’immaginate, chessò, Facchetti con la maglia del Milan? Certo che no. Rivera in nerazzurro? Neppure. Oddìo, è vero che Rivera quando ha smesso con il calcio e s’è buttato in politica, dopo l’esordio democristiano, ha militato poi in diverse formazioni politiche. Senza dubbio, era meglio come calciatore. I mondiali del ’70, pensaté, me li ricordo pure io che non ero ancora nato: la staffetta Mazzola-Rivera, Italia-Germania 4 a 3, Pelè che vola, su, più su, più in alto di tutti, colpisce la palla di testa che si insacca alle spalle di Albertosi, era solo l’antipasto, alla fine si prese quattro pippi e tutti a casa; il Brasile si portò la Coppa, quella coppa maledetta che non si sa che fine abbia fatto, se sia diventata davvero lingotti d’oro o dove sia finita. Le storie misteriose contribuiscono a creare il mito, ad alimentare la leggenda. Si leggevano, qui su SP, il lunedì, le storie sul calcio, a base di calcio, che sfornava per noi Fabrizio Gabrielli. Insomma, questo panegirico per comunicare che, finito il campionato, da oggi Fabrizio ci saluta, che il giorno odiato da Vasco qui su SP non ci saranno più le Sforbiciate, quelle che parlavano del giuoco del calcio e di tutto quel fracco di altre ròbe che rotola attorno alla sfera di cuoio più bastarda della storia umana. Lo so, vi mancherà, a me già manca la mail infrasettimanale con l’anteprima. Fidbeccami, scriveva sempre Fabbrì, come lo chiama Simonerò. E io fidbeccavo, segnalavo i refusi, le sviste e quelle cose che si fanno prima di pubblicare, ma non fatemici pensare altrimenti mi viene il magone e slacrimuzzo pure io.

Ciao Fabbrì, lo sai che quando vuoi, se scrivi nuove Sfò, me le giri, le fidbecco e le pubblichiamo, mica ci son problemi, che ci frega, facciamo come ci pare, lo spazio si trova, non sarà di lunedì, le pubblicheremo in un giorno pari o il venerdì, ma hai capito, dài, facciamo che poi, senza impegno, ogni tanto fai qualche incursione e insacchi una Sfò, i lettori ti aspettano e lo sai che i lettori non si deve mica deluderli, ti aspettiamo, la mia mail ce l’hai oppure ci sentiamo su feisbùc. Ah, dimenticavo: grazie Fabbrì, le Sfò ci mancheranno. Ci son piaciute, le Sfò, e pure tanto. E visto che siamo in un momento di ringraziamenti, non me ne vorrai se colgo l’occasione per ringraziare, a nome del collettivo, i tantissimi, sempre più, lettori che ogni giorno passano dal nostro blog, triplicati negli ultimi mesi, tanto da raggiungere, nelle ultime due settimane, addirittura una media di mille lettori. E allora grazie, mille grazie, e quale modo migliore, per ripagare la fiducia, l’affetto e il tempo dedicato a noi e agli autori che hanno collaborato e collaborano per far vivere questo spazio, che dare la notizia che è in arrivo, in esclusiva su SP, una bellissima sorpresa? Il prossimo lunedì i barbieri saran chiusi, il campionato è finito, le coppe pure, ma su queste pagine troverete una nuova rubrica che son certo ci offrirà importanti spunti di riflessione. La rubrica sarà curata da due autori che già in passato hanno trovato spazio qui: Jacopo Nacci e Matteo Pascoletti. L’idea di offrire loro una rubrica m’è venuta perché, spesso, leggendo o partecipando a discussioni su piazza Facebook, mi ritrovavo ad apprezzare, tra i commentatori più attivi, proprio Jacopo e Matteo. E allora, mi son chiesto, perché non chieder loro di scrivere qualcosa per noi? Dopo aver consultato gli altri, ho scritto loro, dicendo la mia idea, di questa specie di conversazione, di botta e risposta a settimane alterne. Per mia grande gioia, i due hanno accettato con entusiasmo la nostra proposta. Proviamo, s’è detto. Si comincia subito. Sul nome e sui primi argomenti che si toccheranno, per adesso, manteniamo massimo riserbo. Vi possiamo dire che si parlerà di libri e letteratura, politica e attualità, filosofia e tanto altro. Non mancate il prossimo lunedì, su Scrittori precari comincia la nuova rubrica di Jacopo Nacci & Matteo Pascoletti! Leggi il resto dell’articolo

Tempi supplementari

Scrittori precari ringrazia (in ordine di apparizione) gli autori “scesi in campo” ne Il mondiale dei palloni gonfiati:

Christian Frascella, Fabrizio Gabrielli, Enrico Piscitelli, Antonio Romano, Sofia Assirelli, Alessandro Boni, Marco Montanaro, Gianfranco Franchi, Massimiliano Di Mino, Roberto Mandracchia, Dario Morgante, Alessandro Busi, Pasquale Bruno Di Marco, Gordiano Lupi, Vanni Santoni, Matteo Salimbeni, Gianluca Morozzi, Franz Krauspenhaar, Lorenzo Orlandini e Collettivomensa.

E poi, soprattutto, VOI, i tantissimi lettori, che ogni giorno passate a trovarci. Grazie a tutti.

Quanto a noi, il blog sarà attivo per altri quattro giorni, poi chiudiamo e ritorniamo a settembre. Vi proporremo ancora tre racconti a sfondo calcistico, del nostro Alex Pietrogiacomi, di Marco Marsullo e, per concludere, del “goleador” Fabrizio Gabrielli, e un racconto inedito del giovanissimo Iacopo Barison.

Il 15 luglio saremo a Travagliato, in provincia di Brescia, alla festa de L’Unità, con lo spettacolo TRAUMA CRONICO. Appunti per un film in terra straniera di Dimitri Chimenti e Andrea Montagnani, con Scrittori precari.

Il 21 luglio, alle ore 18, saremo al Circolo degli Artisti dove, insieme a tanti altri  autori, leggeremo alcuni estratti da COMPAGNIA K di William March.

Il 18 settembre saremo a… ve lo diremo a settembre 😉

Buona estate

Scrittori precari

P.S. Per chi l’avesse persa, qui, la simpatica intervista di Daniela Primerano per la nuova rivista online Les Flaneurs.

P.P.S. Ah, per chi non lo sapesse, domani, questo blog compie un anno

Slovacchia-Italia

Slovacchia-Italia: una partita che sognavo dai tempi in cui giocavo a medico-infermiera con il mio compagno di banco delle elementari.

A tre minuti dal calcio d’inizio mi alzo dalla poltroncina (che tra parentesi (come avrete notato) avevo trovato vicino al secchio della differenziata una settimanella fa circa), sbadiglio sonoro come fossi Pavarotti nella tomba e mi dirigo in cucina per prendermi un bicchiere di the freddo Blues (Euro Spin 68 centesimi).

Ritorno in camera e noto con imbarazzo che la Slovacchia ha segnato due goal. Il primo su rigore, il secondo su calcio d’angolo dal campo avversario. Dopo circa venti minuti di calzoncini svolazzanti e cosce muscolose che corrono dietro ad un pallone di tela, opto per farmi una sigaretta fuori al balcone. Dal terrazzino di fronte lo sguardo di un vecchio mi scruta imperturbabile, forse il signore è deceduto ore prima, visto che non dà segni di vita nemmeno quando alzo il braccio per salutarlo educatamente. Pare il sosia di Napolitano anche se il suo sguardo fiero mi ricordo pure un po’ Pertini disegnato da Pazienza. Il suo sguardo attonito mi inquieta e mi lubrifica.

Jocelyn, Rabid, Tonino e Namir sono sul marciapiedi di sotto, li guardo dall’alto in preciso effetto plombe. Età media dei quattro giocatori: 10 anni, carnagione media dei quattro: mulatta, accento linguistico medio dei quattro: romano.

Jocelyn e Rabid sono neri, il primo in porta, il secondo in attacco/difesa, Namir è mulatto e difende la porta di sinistra, Tonino è di Aversa e sta in attacco/difesa. A delimitare le porte ci sono le sbarre di ferro rosse e bianche tra il marciapiedi e la strada. La partita è già iniziata da un pezzo ed i quattro sono sudati come stessero in spiaggia a Sabaudia a mezzogiorno, sebbene siano le nove e mezza di sera.

Tonino ha la palla e dribbla Rabid che tenta di recuperare il pallone ma con esito negativo.

Jocelyn assume la posizione da portiere e si prepara a ricevere il tiro che arriva fiondato verso il suo viso. Colpito in piena faccia dal pallone arancione, gli altri tre giocatori scoppiano in una risata isterica ed irrefrenabile. Le magliette di cotone sporche e bagnate coprono le pance secche che sghignazzano. Rabid corre a recuperare la palla finita in strada. Il portiere dolorante si massaggia il volto e si dirige verso la fontanella. Una volta lì Jocelyn mette la testa sotto il getto d’acqua gelata, ci rimane per qualche secondo per poi ritornare dai suoi amici che lo aspettano impazienti per continuare la partita.

Il troione nero in minigonna che batte a pochi metri dall’incrocio di via del Campo, pare essere l’unico a preoccuparsi di Jocelyn, gli va vicino e gli sorride premuroso come fosse sua madre, prende quel visino di bimbo timido tra le sue mani grandi e poi rassicuratosi che non è nulla di grave gli passa la mano sulla testa come a scapigliarlo, sebbene abbia i capelli rasati.

Il troione ritorna al suo posto di lavoro e si posiziona a culopizzo per attirare i clienti.

Il ragazzino intanto ha raggiunto l’improvvisato campo di calcio, come nulla fosse accaduto, nessuna pallonata in viso, nessun dolore, nessun fastidio. Il gioco può riprendere.

Io continuo a fumare, cicco la cenere sul balcone ed il vecchio di fronte continua a fissarmi. L’azione è incalzante: Tonino ha di nuovo il possesso della palla, è inarrestabile, indubbiamente il più forte dei quattro, spintona l’avversario che cade in terra ridendo.

“A quanto state?” chiedo dalla tribuna.

“Stamo a vince quattro a zero, je stamo a fa er culo bianco, a cinque se vince tutto” mi risponde Namir che stando in squadra con Tonino è il meno spompato dei quattro.

La sigaretta è quasi finita, mancano un paio di tiri, li consumo con calma.

Tonino silura il Super Santos verso la porta avversaria, un lancio potente e preciso che Jocelyn non riesce a trattenere. Inizialmente la palla gli finisce tra le mani, ma l’impatto è maestoso ed il pallone gli scivola tra le gambe. Ed è cinque a zero.

Un boato di vittoria ed esaltazione invade Alessandrino, le urla arrivano dalle finestre di fronte, dal piano di sopra, dalla famiglia del piano di sotto, dal baretto dell’angolo, clacson, botti, petardi e trombette. Il vecchio di fronte non si muove di una virgola, nemmeno un cenno di vita, nemmeno quando un giovane (che pare il vecchio con sessant’anni in meno, come fosse la sua morte ringiovanita) gli va vicino e gli sbraita posseduto: “Avemo segnato nonno! Avemo segnato!”.

Tonino e Namir esultano e si abbracciano per la vittoria. I due avversari sono seduti in terra, gambe piegate e spalle sul marciapiedi assaporandosi il meritato riposo della sconfitta. 

Rientro in stanza, la sigaretta è finita, la getto nel posacenere. La partita in tv continua, l’Italia non è ancora in vantaggio, ma noi ci si accontenta e le voci del quartiere Alessandrino ancora riecheggiano dalle pareti e da fuori il balcone.

Un ragazzo in Smart rallenta e si posiziona a pochi metri dall’incrocio di via del Campo, apre la portiera, il troione in minigonna sale in macchina. “Sono trenta euro di bocca coperto, oggi no culo, non sto bene. Paga prima tesoro”. La Smart si allontana. Il vecchio sputa catarro contrariato.

Almeno Napolitano è vivo.

Andrea Coffami

Lo stereotipato mondo delle tifose dei mondiali

Questo racconto è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone è puuuuuramente casuale.

“Che ne diresti di scrivere qualcosa sui Mondiali?”. Argh, i Mondiali, me ne ero dimenticata. Googlizzo furiosamente “Mondiali 2010” e mi aggiorno su date, orari delle partite e più o meno chi giocherà con la maglia azzurra. Doppio Argh, la prima partita è proprio stasera.

Oui, lo stereotipo delle donne che guardano i mondiali, c’est moi. Di quelle che durante il campionato oltre a non interessarsi di calcio tentano di evitarlo, senza riuscirci. Di quelle che guardano con curiosità antropologica gli interminabili pomeriggi di calcio su Seven Gold, svegliandosi di soprassalto dalla pennichella domenicale con gli urli di Corno. Di quelle che però inevitabilmente si trasformano in sfegatate tifose di Europei e Mondiali, quando cioè gioca la Nazionale.

Che poi non è che si abbia questo patriottismo senza confini, e anzi, essere felici perché almeno ci sono i Mondiali mi fa a lungo riflettere su quell’”almeno”. Ma è così che è andata l’ultima volta.

Nel 2006 ero appena rientrata in Italia dopo il mio lungo anno parigino ed ero ancora piuttosto stordita. Io e le mie amiche ci eravamo conquistate un lussuoso ghetto femminile dove poter sfogare la nostra fede calcistica improvvisata e a tempo determinato come meglio ci piaceva, un po’ per nostra scelta e un po’ perché eravamo state bandite da morosi e amici. “Non vogliamo donne con noi, vogliamo il rutto libero e poterci sfogare come meglio ci pare. Mentre con le femmine fra i piedi non ci si riesce”. Una serie di donzelle in abiti rosa, di pizzi e organza, sedute composte sul divano con le gambe accavallate, con una bandierina italiana in mano che si dicono “cara, quei gentiluomini hanno forse segnato?” a un tono di voce lieve, quasi impercettibile. Ecco l’immagine che gli uomini che conoscevamo sembravano avere di un gruppo di donne che guardano i mondiali. Ma dico, di donne come noi!

Suonai il campanello dell’appartamento-ghetto e mi trovai di fronte alla realtà. Simildonne in mutande e canottiere da camionista stavano aggrappate a birrone da 66 cl. Qualcuna ruggì un rutto da competizione, poi scoppiò un coro improvviso e spaventoso: “Minchia di Toni, vogliam la minchia di Toni, minchia di Toniii, vogliam la minchia di Toni!”. Erano terribili. Annuii convinta, ero tra le mie simili.

Durante la partita tutte sfoggiavano le loro vere o presunte conoscenze calcistiche, e io urlavo contro la televisione, seguendo a naso i “Nooooo” e i “Sìììììì!!!!” delle altre pulzelle indifese. Che poi non ho mai capito bene la regola del fuorigioco, ma non l’ho mai sottolineato.

Mentre seguivo le complesse vicissitudini di quella finale pensavo ai personaggi che avevo incontrato nei giorni precedenti e che volevano in qualche modo ostacolare il mio connubio con il calcio una tantum: L’Intellettuale: “Non trovi che tifare per i mondiali sia una mera sovrastruttura vuota di senso che serve solo a costruire l’illusione di un’unità nazionale?”. Il Fidanzato: “Non capisco quelle donne, come te, che si interessano del calcio solo quando ci sono i Mondiali. Se vuoi ti faccio io un riassunto”. Lo Scaramantico: “Visto che eri in Francia durante le altre partite saresti così cortese da prendere un volo prima della finale e tornartene là?”.

No, no e no. Io avevo solo una ragione per seguire i Mondiali: mi piaceva. Mi piacevano l’euforia leggera della folla, i colori, i sudori, quell’essere-insieme energico. Mi sembravano motivazioni più che sufficienti.

Alla fine quell’anno abbiamo vinto anche la finale, Campioni del Mondo. Noi ci siamo abbracciate, abbiamo bevuto, gridato, gioito, e ci piaceva un sacco. Mi piaceva quell’euforia, quell’effervescenza collettiva. E per me, in bilico tra la Francia e l’Italia, tra un mondo e l’altro, tra un periodo della vita e un altro, per me che non ero più e non ero ancora, quell’euforia diventava qualcos’altro, colmava gli interstizi della mia immaginazione e scatenava la mia fantasia. Tanto da volerci scrivere un libro.

Sofia Assirelli