novembre 12, 2009
di scrittoriprecari
Ancora sulla psicologia e le pratiche spirituali.
Questo numero della nostra rubrica insiste ancora sul tema dell’uso della psicologia e della pratica spirituale: ognuno è libero di trarre da questa insistenza una sua personale considerazione sulla centralità di queste due branche del mercato nelle nostre esistenze.
Ed è proprio questa centralità che ci impone di scegliere bene, tra le tante offerte, quella migliore, la più adatta, dico, a praticare l’inutilità, ad essere inutili. Queste poche note varranno come un semplice e agile vademecum.
Diffidate gente (questo vale sempre) dalla complessità; la complessità ingolfa l’immaginazione, e quindi fa cultura; e la cultura gonfia, come dice San Paolo: e questo è peccato. E, allora, la prima cosa che dovrete fare nel diventare clienti di uno psicologo o di un maestro spirituale è che la sua dottrina operi innanzitutto su un candido semplificatore appiattimento della vostra compagine esistenziale. Qualcuno vorrebbe farvi cadere in mille lacci; qualcuno vi verrà prima o poi a raccontare che l’anima nessuno può dire che esista, ma nessuno può dire che non faccia per intero tutta la nostra vita. Quale astruseria! È più facile e chiaro dire che l’anima esiste punto e basta (come nella storia del rabbino che incontra un suo collega e gli dice che Dio gli ha parlato; il secondo rabbino non gli crede, gli chiede di dimostraglielo se non vuole passare per mendace. Ma il primo se la cava benone: Dio non parlerebbe mai a un bugiardo). Imponendoci che l’anima esiste punto e basta otteniamo un risultato importante (si chiama concretismo): l’unica domanda successiva possibile è: allora dov’è l’anima? La risposta più semplice che sia stata trovata è: dentro. Tagliare l’anima da dove è sempre stata, fuori, nel mondo (anima mundi) viene comodo alla nostra causa perché riporta tutto al privato, in greco idios, da cui idiota: e voglio vedere qualcuno dirmi che essere idioti e inutili non sia la stessa cosa. A quel punto noi abbiamo l’anima che è una cosa che abbiamo dentro, al buio, chiusa. E al buio, e poi col fatto che siamo idioti, non riusciamo più a distinguerla dallo spirito, non sappiamo vederla differenziata nei sui vari aspetti, nelle sue infinite anime (ci fanno pena i poveri neoplatonici con le loro demonologie).
Allora badate bene che il vostro psicologo o il vostro maestro vi dica che dentro avete qualcosa (spirito, anima, prana, energia, superpoteri) che non si capisce bene cosa sia, ma che, per essere tenuta stantia dentro, e poi dentro un idiota, è malata. E qui dobbiamo passare al secondo punto fondamentale: se uno è malato va curato. Così dobbiamo ragionare.
Una volta se uno era cieco lo mettevano a fare il poeta, tipo Omero, o, fino a sessant’anni fa in Giappone, lo sciamano (lo Stato totalitario nipponico si è efficientemente liberato da questo retrivo retaggio: ora i ciechi fanno i barboni). Uno che è malato va curato. Cosa otteniamo con questo? Che l’uomo, per dire, è all’ottanta per cento fatto di acqua, e il resto sono cattivi pensieri, sogni conturbanti, strane fantasie, ansie, manie, paranoie: ci curiamo, leviamo le ansie e le paranoie, e cosa otteniamo? Diventiamo delle bottiglie d’acqua.
E così la sera torniamo a casa, dopo esserci mondati dai peccati lì dallo psicologo o dal guru, nella nostra casa privata, come degli idioti; ci poggiamo sul nostro tavolino come una bottiglia, e possiamo constatare di essere puri e calmi, anche se questa casa non la pagherò mai, anche se non ho un lavoro fisso, anche se per me non ha un vero senso vivere e non mi fa neanche più effetto che stanno massacrando di botte sotto casa mia degli emigrati.
Tanto è sotto, è fuori, dove non ho più anima.
Pier Paolo Di Mino
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