Madonne nere

Madonne nere (Nutrimenti, 2008)

di Simona Dolce

I libri si possono scrivere in tanti modi diversi, le storie possono durare poche pagine o una montagna di carta, ma il peso della scrittura non si conta in numeri. Il peso della scrittura, per quanto mi riguarda, è la forma che essa prende.

Il breve romanzo d’esordio di Simona Dolce  ha proprio questo di caratteristico: che la forma è il suo contenuto, ma non perché essa sia puro abbellimento o dimostrazione di tecnica fine a se stessa; al contrario, la forma è il suo peso specifico proprio perché questa storia non poteva essere raccontata altrimenti. Ed è così che funziona, è così che si attacca addosso, per via di un ritmo salmodico, ripetitivo e ossessivo, che entra nelle orecchie del lettore: a tratti, e più esplicitamente nell’ultima parte del romanzo, la scrittura di Simona Dolce prende la cadenza di una vera e propria litania, di una preghiera personale che la giovane Marina rivolge a se stessa per sfuggire al circolo vizioso che sembra averla catturata per sempre.

La storia scellerata e scandalosa di Rinulla, prigioniera delle brame paterne e dell’odio materno, sembra infatti destinata a ripetersi nella vita della figlia Marina, nata da un matrimonio di comodo, eppure miracolosamente generata da un amplesso impossibile. Quello che si configura come il naturale perpetrarsi di un destino già scritto – il ripetersi di una vita oggetto di scherno e di violenza fisica – verrà invece smentito da una scelta inaspettata della giovane protagonista, che sorprende il lettore, e con esso, si direbbe, anche se stessa.

Ma il ritmo impresso dallo stile non è l’unica peculiarità della scrittura di Simona Dolce, che ha l’invidiabile capacità di saper mescolare i punti di vista, al punto da comporre una visione che ha dell’allucinatorio, composta com’è dall’intrecciarsi delle diverse voci dei protagonisti, che si sovrappongono in un flusso continuo declinato alla seconda persona singolare. L’autrice si rivolge cioè ai propri personaggi dando loro del tu – anche se la sua posizione sembra essere più vicina a quella di Marina –, indicandoli, e attribuendo loro il giudizio degli altri, un giudizio allo stesso tempo umano e divino che sembra destinato a marchiare per sempre questa inusuale famiglia.

Quella di Madonne nere è insomma una lingua che è impasto di più voci, di più pensieri – il non detto protetto dalla nostra ipocrisia cattolica e benpensante – recitati come in una preghiera (e allora non sarà un caso che l’illuminazione, anche se non divina, si produca in una chiesa), come un rosario dal quale sgranare una frase alla volta, frasi che si distinguono per variazioni minime eppure essenziali.

Una lingua, quella di Simona Dolce, che non lascia certo indifferenti.

Una voce che, c’è da sperarlo, continuerà a chiedere ascolto.

Simone Ghelli

* Madonne nere di Simona Dolce sarà presentato questa sera, sabato 13 marzo, alle ore 19.00, all’interno della manifestazione “Femminile/Plurale”, presso Alphaville Cineclub, via del Pigneto 283 (Roma)

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