LA FACCIA DELLA FATICA


Dici d’andar pazzo per le rotaie e le massicciate, per lo stridore dei freni e l’odore del ferro: e allora lascia stare Palermo, infischiatene della Recoleta, è al Caballito che te ne devi andare, quando sarai a Buenos Aires. Ti fai una passeggiata per Parque Centenario, ch’è tutto verde e poi non sei tu che dici che il verde ti piace perché t’ispira pace e serenità? E poi e poi. E poi scegli: puoi pigliare il tranvai storico, oppure farti un ferné all’Associazione Amici del Tranvìa; ricordi quando mi scrivesti ch’è romantico e triste come un tango di Troilo, guardare i treni che arrivano e quelli che partono?

Lo credo anch’io che certe locomotive hanno il muso aggressivo, la graticola di ferro triangolare come fosse un cipiglio incattivito che se lo guardi forte ti spaventa. Vai a vedere se non ti ricorda un po’ il muso di una locomotiva anche il triangolo nello stemma del Ferrocarril Oeste, che dirgli squadra di calcio del quartiere è una mezza bestemmia: il Ferro è un’istituzione, una società polisportiva con più di cento anni di storia alle spalle ed una magliettina verde, anzi verdissima, come verdissimo doveva essere il quartiere quando c’era solo la Quinta de Doña Anita, l’orto gigante in cui si raccoglievano le zucchine e le melanzane e i fiori per tutta l’Argentina. Tutto verde, molto verde, quel quartiere: verdolaga, come dicon da quelle parti. Solo ogni tanto: una locomotiva, tutta sgangherata, magari col macchinista, la campanella ed una bandiera, come quella che ha disegnato Mordillo, che tanto per cominciare se non lo sapevi è argentino, e poi anche se è di Villa Pueyrredòn e nella vita fa i disegnini molto famosi, è un tifoso accanito del Ferro.

Ci ho riflettuto a lungo, sul cipiglio incattivito delle locomotive, e ho capito che non è questione di malvagità: è che hanno il cuore grosso, le locomotive, non si fanno i problemi se c’è da spingere, pompano vapore e sbuffano un po’, ma poi si caricano il fardello sulle spalle e quella là è la faccia della fatica, amico.

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Al cuore, Ramòn, al cuore (parte 2)

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Il giorno prima della partita tra Argentina e Perù gli andini ricevono una visita. Negli spogliatoi si presenta Videla in persona, insieme al segretario di stato americano Henry Kissinger. Quiroga non li saluta nemmeno, continua ad allacciarsi le scarpe, finge un malessere, è distrutto dalle chiacchiere che girano intorno al suo nome, Quiroga l’argentino, Quiroga si venderà, Mettete Sartor!, incitano i giornali brasiliani.

Quiroga, durante quella visita, ha la faccia tosta di non stringere la mano a nessuno.

Sembra Matthias Sindelar quando, in un match celebrativo tra Germania ed Austria voluto da Hitler in occasione dell’Anschluss, si rifiuta di salutare romanamente il Fuhrer.

Ha coraggio da vendere, Quiroga.

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