Un’eterna tonica
ottobre 25, 2010 1 commento
C’è un mio amico che suona il didjeridoo. Il didjeridoo si pronuncia digiridù, che è come lo scriveremo da ora in poi. Il digiridù è uno strumento a fiato australiano, credo sia lo strumento nazionale australiano. Il fatto che l’Australia sia anche in un certo senso un continente rende il digiridù lo strumento continentale australiano. Il fatto che “continentale” sia l’aggettivo con cui gli isolani sardi si riferiscono ai peninsulari italiani trasforma l’aggettivo “continentale” in un allegro paradosso che contiene un’isola, una penisola e un continente, tutti dentro al digiridù. Spazio ce n’è: il digiridù, l’avrete visto sicuramente, è un tubo di legno lungo un paio di metri, il legno viene da un albero australiano che probabilmente è l’eucalipto, ma non sempre (dice il mio amico che ci sono digiridù in vetroresina, per dire) (probabilmente un digiridù in vetroresina è una bestemmia, come un pianoforte di plastica o un piatto di maccheroni di plastica).
Il digiridù è uno strumento che fa una nota sola, bassa e continua. La nota bassa e continua si chiama bordone. Il digiridù si suona con la respirazione circolare, una tecnica che consiste nel soffiare continuamente. Come fai a soffiare continuamente? Prendi aria dal naso. Sì, ma come fai a prendere aria dal naso mentre contemporaneamente la stai soffiando fuori dalla bocca? È impossibile. No, non è vero: si fa. Il trucco è sfruttare l’elasticità delle guance: soffi fuori l’aria tenendo le guance a pesce palla e poi quando ti accorgi che il fiato ti sta per finire sgonfi piano le guance e fai in modo che l’aria dalla bocca ti esca per pressione, come un mantice, come un palloncino, come un pesce palloncino, e mentre la pressione delle tue guance elastiche ti sgonfia la bocca hai tutto il tempo di immagazzinare altra aria dal naso. È più facile da fare che da spiegare. Cioè, non è facilissimo da fare, ci vuole un po’ di pratica, ma si fa, questo mio amico la fa.
Questo mio amico che suona il digiridù una volta mi ha visto suonare il clarinetto e gli è venuta un’idea un po’ continentale: facciamo un duetto clarinetto e digiridù, mi ha detto. Una di quelle cose che fanno impazzire le ragazze, gli ho detto io. Ha riso. Va bene, gli ho detto, sarà uno spasso per noi e una noia mortale per gli ascoltatori, chi ce lo impedisce. Vai tranquillo, mi ha detto, secondo me ci divertiamo. No, ma quello di sicuro, ho detto io, è solo che non so fare tanto bene a suonare il clarinetto, io so già cosa succederà: noi ci mettiamo lì e tu suoni un bordone di un quarto d’ora e io devo improvvisare su un bordone e improvvisare su un bordone è difficilissimo.
Improvvisare su un bordone è una metafora di qualcosa che non ho ancora capito, ma sarà una metafora sicuramente: invece di averci un giro armonico con tutta la sua economia interna di tonica – allontanamento dalla tonica – ritorno alla tonica, il bordone rimane sempre lì, parte da lì e non si allontana mai da lì e alla fine è ancora lì. Un’eterna tonica. Come si fa? È come scrivere sul nero.
Allora il mio amico mi ha detto: fai finta che siamo in Australia. Siamo in Australia su un treno che parte da Sydney e arriva a Perth, coast to coast dall’Oceano Pacifico all’Oceano Indiano, parte da Sydney piano piano, uno di quei treni lenti che attraversano foreste e deserti e si fermano nei paesini in cui c’è solo la stazione e poi ripartono, piano piano, ogni tanto c’è un koala, un canguro, un cammello – sì, in Australia ci sono anche i cammelli – poi un altro paesino in cui c’è solo la stazione e un tizio senza denti che guarda passare i treni e poi il treno riparte, piano piano, e alla fine arriva a Perth, Oceano Indiano, i delfini, le balene. Capito? Capito. Ecco, adesso suona.
Poi il mio amico ha iniziato a soffiare nel digiridù e faceva tutti i giochini ritmici che puoi fare quando hai solo una nota a disposizione: note lunghe, note corte, staccati, ritmi pari, ritmi dispari, galleggiamenti, riprese, rumorini, ciuf ciuf, e io giuro che vedevo i cammelli e le montagne e le gengive del tizio che guarda passare i treni in mezzo all’Australia. Poi mi sono messo in bocca il clarinetto e ho suonato e mentre suonavo sapevo cosa stavo suonando, anche se non l’avevo mai suonato prima: si vede che il treno è più facile del bordone, che ne so. Certe cose se te le spiegano non le capisci mica, poi qualcuno te le suona e tu capisci. Mi sa che è una metafora anche questa.
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