Confessioni qualunque – 12

[Ricordiamo ai lettori che Confessioni qualunque, la rubrica curata dai ragazzi di In Abiti Succinti, è aperta a chi voglia scrivere una confessione. Fatelo anche voi! Svisceratevi! E poi inviate i vostri racconti.]

#12 – Nino

di Nicola Feninno

Che resti tra noi.
I miei nonni erano fascisti, i miei genitori democristiani. Io faccio il pescatore e so che nessun partito ha mai moltiplicato il pesce.

Mio figlio questo deve ancora capirlo: vive a Roma, studia scienze politiche, non ha mai saputo nulla del mare; da piccolo gli veniva la nausea soltanto a stare al largo sul pedalò.

Frequentai le scuole a Praiano – elementari e medie – perché ad Arienzo le scuole non c’erano. Prendevamo la stessa corriera alle sette, io, Giggino, Daniele e Giulio, eravamo tutti e quattro di Arienzo, tutti e quattro figli di pescatori; ad Arienzo praticamente tutti gli uomini facevano i pescatori, tranne don Agostino e Pino, lu ricchione, che faceva il barbiere, che poi anche a quello – come diceva mio padre – ci piaceva comunque lu pesce. Alle medie ci siamo scelti un nome per il nostro gruppo: gli Scassacazz. L’ispirazione ce la diede il padre di Giggino: tornavamo dal cinema di Praiano, un sabato pomeriggio; viaggiavamo sulla sua Diana bianco panna – panna sporca – al cinema avevano dato Easy Rider. Leggi il resto dell’articolo

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Un default imperfetto

di Andrea Frau

Un utente Facebook ricarica ossessivamente la pagina, attende invano un segno, un poke di Dio.
Non esiste nulla. Può continuare a far coltivare il suo orto di Farmville a qualche utente marocchino. Rinuncia a caricare la nuova applicazione “coscienza”.
È stanco. Esce dalla sua stanza fatta di notebook, facebook, e film in streaming.
Dopo circa un’ora, la realtà, le macchine e la gente nei bar si bloccano.
Un F16 italiano in partenza per la Libia scrive nel cielo a caratteri cubitali: «Hai raggiunto il limite di 72 minuti fuori dalla tua stanza».
È scattato il coprifuoco.

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PAGA PAPA’

Ouzo, i manifestanti, bere posson mica berlo: glielo vietano i precetti coranici.

L’ouzo è quel liquore che lo trovi un po’ in tutto il Mediterraneo, paese che vai nome che cambia ma la sostanza è sostanzialmente la stessa: distillato di anice.

Il turco raki. La francese anisette. L’italica sambuca. Il greco ouzo. Una faccia un liquore una razza, le genti mediterranee.

Ora te ne racconto una sulla sambuca: il suo nome non deriva dal sambuco. O almeno non deriva dal sambuco nel modo che pensi tu.

Perché sambuco ce n’è mica, nella sambuca: anice, invece sì.

In arabo sammut, zammut, è il legno del sambuco. Con quel legno viene manufatto uno strumento musicale, lo zamr, in italiano si chiama sambuca ed è una specie di oboe col suono attutito, come il vocio delle genti quando sei ubriaco.

La sambuca, ubriacare ubriaca che è una bellezza.

Nel milleottocento-e-qualcosa capita che un certo Luigi Manzi, garibaldino della prima ora, dalle parti di Sapri veda i contadini lavorare per la strada, faticano e sudano e per dissetarsi attingono con una cazzuola da certi secchi di acqua ed anice che portano sulle spalle, in equilibrio su certe assi di legno di sambuco, dei tipi chiamati sambuceti.

Manzi impazzisce per quella miscela di sapori, un giorno sbarca a Civitavecchia e s’innamora di quella città, in Piazzetta Santa Maria apre un piccolo stabilimento di produzione di liquore di anice, sambuca la chiama, ha un grande successo: anche Garibaldi, passando per Civitavecchia, ne rimane folgorato.

Poi passano gli anni, c’è la guerra, le bombe distruggono la città e la piccola fabbrica che va sull’orlo del fallimento, se ne prende a cuore le sorti il commendator Molinari: nasce così, la sambuca Molinari. Quella chiara, extra, quoram.

Chiaro, no? Extra. Quoram. Che cosa significhi s’è mica mai capito, poi.

Zammut, sambuco, sai chi ci si chiama? Paul. Paul Zammut è il presidente di una squadra di calcio, il Birkirkara Football Club, son maltesi. Il Birkirkara nel duemila per la prima volta nella sua storia vince lo scudetto, e Zammut deve essere un tipetto peperino, pacioccone e con le manie di grandezza, lo spirito del provocateur e una certa insana passione per la sambuca, il raki, l’ouzo e tutti quei liquori che ti fan dire le cose che è bene non dire, se non vuoi sentirti dare del pazzo.

Giù un sorso, invece, e dàgli di proclamo: abbiamo ingaggiato per la prossima stagione Al-Saadi Al-Gaddafi, il terzogenito del Colonnello, del Padre della Rivoluzione, il leader libico, dice ai giornalisti. Mica è vero.

Al-Saadi, bisogna riconoscerlo, è una mezzaséga, calcisticamente parlando. Non è che significhi molto essere capitano dell’Al-Ahly Tripoli, della Nazionale, Presidente della Federcalcio: mica vale, se tuo padre si chiama Muhammar Gaddafi e di mestiere fa il dittatore. E comunque, col Birkirkara non c’ha mai giocato.

Luciano Gaucci, anche a Luciano Gaucci come al suo collega Zammut deve piacergli assai la sambuca, magari l’ha conosciuta quando andava a Civitavecchia a trattare l’acquisto di Emanuele Blasi. Giù un sorso e dàgli di proclamo: abbiamo ingaggiato per la prossima stagione Al-Saadi Al-Gaddafi, il terzogenito che già l’abbiam sentita, questa storia, solo che nel caso di Gaucci e del Perugia, ecco, era vero. Che c’è pure stato un mezzo caso diplomatico, ché il Governo di Tripoli era proprietario del sette per cento del pacchetto azionario della Juventus, mica puoi essere proprietario di una squadra e giocare per un’altra, bisogna mettere il pacchetto in standby, che papocchio!, ma anche quanta pubblicità, per Gaucci.

Saadi con la maglia dei grifoni gioca una sola partita, proprio contro la Juventus, pensaté, non è che brilli per classe cristallina, anzi. Si becca pure una squalifica per aver assunto degli steroidi.

Dopo due anni di Perugia va a fare il saltimbanco a Udine, una stagione e nessuna presenza, poi a Genova sponda Sampdoria, dove c’è Garrone che col petrolio ci sa trattare, coi figli dei leader libici un po’ meno, anche là zero presenze ma, in compenso, un conto di quasi quattrocentomila euro al Grand Hotel Excelsior di Rapallo lasciato così, insoluto. I calciatori, si sa, fanno la bella vita: suite imperiali, camerieri guardie del corpo ed addestratori di cani da combattimento al seguito, si tratta bene Al-Saadi, mica dorme nella tenda beduina, lui, astice e sciampagna prima di andarsene così, dicendo paga papà, solo che papà non paga, l’ambasciata fa le orecchie da mercante e al Grand Hotel Excelsior bisogna andare in tribunale, una storiaccia, insomma.

Al-Saadi con gli alberghi gli dice sempre malissimo: nell’Hotel Ouzo, a Bengasi, quell’albergo col nome di liquore proibito, è stato costretto a rimanersene asserragliato mentre fuori il popolo gridava il regime non lo vogliamo più. Non vogliono il regime, figurarsi Al-Saadi sindaco di Bengasi.

Nel duemila, prima che il Birkirkara annunciasse l’acquisto della brillante mezzala, l’Al-Ahly di Tripoli va a giocare in casa dell’omonima compagine di Bengasi. La squadra di Al-Saadi è sotto per una rete a zero, l’arbitro regala due reti agli ospiti e non serve a niente indignarsi, vince sempre chi comanda. Non foss’altro per il bene supremo della nazione.

Qualche settimana dopo l’Al-Ahly di Bengasi gioca contro l’Al-Bayada, che è la squadra per la quale fa il tifo la madre di Al-Saadi. Anche là, torti arbitrali. I tifosi non ci stanno, e a fine partita dan fuoco a tutto quello che gli passa sotto la rabbia, macchine cassonetti cartelli stradali; la polizia spara sulla folla per sedare il moto d’insurrezione. Il giorno seguente, i tifosi del Bengasi fanno sfilare per le strade un somarello con la scritta Al-Saadi sulla groppa.

La sede del club viene spazzata via con i bulldozer. Tre tifosi vengono arrestati per aver complottato contro la gloriosa rivoluzione libica e contro il suo leader. Bendati, vengono condotti davanti ad un plotone d’esecuzione. Pena di morte. Il plotone non arriverà, nessuno sparo risuonerà per le vie della città cirenaica.

Tortura psicologica. Il potere logora chi non ce l’ha.

Fuori dall’Hotel Ouzo i manifestanti urlano che il regime non lo vogliono più. Non sono ubriachi, posson mica berli certi liquori proibiti. Sono solo incazzati.

Al-Saadi sindaco di Bengasi lo diventerà mica mai. Costretto alla fuga, lascia il conto in sospeso.

Pagherà papà, dice.

Pagherà, eccome se pagherà, è il pensiero un po’ di tutti.

 

Fabrizio Gabrielli