Monumento al calciatore non ignoto
giugno 28, 2010 1 commento
Nel 1990 i mondiali giocati in Italia erano un po’ come dire Totò Schillaci, ruolo di attaccante, maglia numero 19. Il Totò Schillaci capace di passare da una posizione iniziale di panchinaro a quella di capocannoniere del torneo e di miglior calciatore della manifestazione. Il Totò Schillaci che quando esultava – occhi spiritati, corsa folle, pugni chiusi – esultava anche il quartiere CEP di Palermo in cui era nato e poi esultava anche la Penisola. Il Totò Schillaci paragonato al Paolo Rossi dei mondiali del 1982. Quando ti viene eretto un monumento da vivo vieni messo nelle condizioni di non dover mai sgarrare. E Totò Schillaci lo fa. Sgarra. Il 3 luglio allo stadio San Paolo di Napoli si consuma la semifinale fra l’Argentina e l’Italia – fra i due monumenti animati: Maradona e Schillaci – con un assurdo pubblico napoletano combattuto fra l’acclamare Maradona e il sostenere la Nazionale; con un’Argentina che, ad un certo momento, vuole arrivare ai rigori e un’Italia che dei rigori ne farebbe anche a meno. E più di tutti proprio Totò Schillaci che, scrollandosi il marmo di dosso, rifiuta di far parte della cinquina dei rigoristi. Ne nascono polemiche.
La scena è una scena classica: un cortile desolato, un muro pieno di crepe, tre ragazzini, un pallone. Bisogna immaginare anche un odore che è l’odore del sudore estivo. Uno dei tre ragazzini, mani poggiate sulle ginocchia già piegate, è fermo davanti al muro come a difenderlo e sul muro col gessetto è stata tracciata una parvenza di porta; gli altri due circondano il pallone, il piede di uno dei due tiene fermo il pallone.
Il ragazzino che difende il muro dice: “Io sono Walter Zenga”
Il ragazzino che blocca il pallone dice: “E io sono Totò Schillaci”
L’altro ragazzino dice: “No, sono io Totò Schillaci”.
Estorsioni e traffico di stupefacenti è un po’ come dire mafia. In questo caso, il clan della Noce che distendeva i propri tentacoli dal centro di Palermo fino ai sobborghi. Nel pieno degli anni zero, grazie ad intercettazioni ambientali e telefoniche, gli inquirenti riescono a ricostruire le attività criminali del clan e la polizia a notificare 18 ordini di custodia cautelare in carcere. Poi, il processo. Viene chiamato a testimoniare Totò Schillaci perché, anche se non è tra gli indagati, in una di queste intercettazioni, lo si sente parlare con Eugenio Rizzuto, uno dei 18 arrestati: Schillaci gestisce a Palermo la scuola calcio ‘Louis Ribolla’, un ragazzo del quartiere di Passo di Rigano ha derubato soldi e orologi ad alcuni clienti, Rizzuto dice di non conoscere l’abitazione di questo ragazzo, gli dà il numero del fratello Aurelio, se il fratello non conosce il ragazzo allora l’indomani ci pensa lui di persona. Questo, il contenuto della telefonata registrata.
“Sono tranquillo. Non ho commesso niente di grave. Il signor Rizzuto in un primo momento era socio della scuola calcio ed è normale che, tra soci di uno stesso organismo, si parli anche di queste cose, anche se sono cose spiacevoli” dice Totò Schillaci ai giornalisti, ma il giorno in cui dovrebbe deporre come testimone dell’accusa non si presenta. Poi viene chiamato a testimoniare nel maggio del 2008 e per la seconda volta Totò Schillaci – il monumento da vivo di Italia ‘90 che continua a stupire essendo stato, in seguito, il primo calciatore italiano a giocare nel campionato giapponese – non si presenta. Ammenda di duecento euro, ingiunzione di accompagnamento coattivo alla seguente udienza.
Il 3 luglio del 1990, allo stadio San Paolo di Napoli, i rigori vengono battuti: tic, tac: l’Argentina vince, l’Italia perde.
“C’eravamo illusi di poter galleggiare ancora una volta sulla prodezza personale di Totò Schillaci” dice al microfono un amareggiato Bruno Pizzul.
fonti:
– http://it.wikipedia.org/wiki/Salvatore_Schillaci
– http://www.youtube.com/watch?v=8kmWl50zA0A
– http://www.guidasicilia.it/ita/main/news/index.jsp?IDNews=24910
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