Let. In. 1

Let. In.
Antologia di letteratura inesistente a cura di Carlo Sperduti

Le intenzioni di Let. In. sono quelle di “fare entrare” (to let in) nella letteratura anche la letteratura che non esisterà mai; di “ammettere” (to let in) che ciò che non esiste è cosa interessante: da evocare, da valorizzare e da far rimanere rigorosamente inesistente; di “imbarcarsi in” (to let in) un’impresa del tutto gratuita per il solo piacere di giocare con la letteratura, atteggiamento purtroppo sempre più raro. Il funzionamento di Let. In. è molto semplice e accessibile a tutti:
1) Si prenda come bersaglio un’opera letteraria e se ne modifichi il titolo attraverso sottrazioni, aggiunte o sostituzioni di lettere, anagrammi, giochi di parole o anche per semplice assonanza. Si faccia in poche parole quel che si vuole col titolo d’origine, a patto che esso rimanga riconoscibile nel titolo ottenuto.
2) Si proceda allo stesso modo con i nomi dell’autore e/o dell’editore (operazioni facoltative).
3) Dati i risultati delle due operazioni precedenti (o solamente della prima), si spieghi attraverso una recensione, una sinossi, un saggio, un riassunto, un’intervista, una lettera, un commento o quant’altro il contenuto del nuovo libro inesistente.
Si sarà così scritto intorno a un libro, evitando il fastidio di farlo esistere.

BEST-SELLERS

R
di Luther Blisset

Prima edizione con refuso di copertina del best-seller Q di Luther Blisset.

Angelo Zabaglio a.k.a Andrea Coffami

Prima che tu dica “stronzo”
di Italo Calmino

A volte i libri in cui ci s’imbatte per caso e di cui non si conosce l’autore neanche per sentito dire (l’ignoranza di chi scrive non è mai poca) ci riservano delle sorprese graditissime. È questo il caso di un piccolo capolavoro firmato Italo Calmino, scovato in una vecchia cantina di un amico durante un trasloco. Lo snello e agile volume cui ci riferiamo, indirizzato ai soli maschietti, s’intitola Prima che tu dica “stronzo”, ovvero 101 modi di mettere le mani avanti con la propria donna prima di affrontare un argomento scomodo.
Il titolo la dice lunga: se volete a tutti i costi evitare scenate e insulti, questo libro vi guiderà passo dopo passo verso la saggezza.
Dalla stessa arguta penna: Se una notte m’inforno un viaggiatore (horror), Il castello dei festini incrociati (erotico), Il barone arrapante (porno).
Una stupefacente dimostrazione di come si possa far passare per sacrificio la propria bassezza morale: da non perdere (Men’s Shame)

Carlo Sperduti

Gli interessi in provincia
di Giovanni Fantoni

Giacomo, il Milla, il Dumpe, il Felpa: quattro giovani disoccupati decidono di candidarsi alle elezioni provinciali per coronare il loro sogno: aprirsi un bar. I quattro riescono miracolosamente a essere eletti, soprattutto grazie ai voti dei giovani che premiano l’originale campagna elettorale dei quattro: regalano le droghe più svariate in cambio della preferenza. Una volta consiglieri provinciali, questi ragazzi riescono addirittura a far diventare il Milla assessore che, grazia ai soldi delle tangenti per gli appalti, riesce a trovare i fondi per coronare il sogno suo e dei suoi tre amici, un bar frequentatissimo che diventa il più importante snodo di spaccio di tutta la regione, anche grazie alla copertura delle forze dell’ordine che non mettono il naso negli affari dei politici.
Splendido romanzo di Giovanni Fantoni che dipinge magistralmente sogni e speranze di una generazione che non vuole perdere tempo.

Gianluca Liguori

L’uomo che scambiò sua moglie per un Campiello

Oliviero Oboe ha tutto per essere felice: un matrimonio d’amore, un lavoro gratificante, un male incurabile. Cosa si può desiderare di più, infatti, di una moglie muta, della soddisfazione di comminare contravvenzioni, della libertà di autocompatirsi senza freni con colleghi, amici e parenti? Un premio. Oliviero Oboe non si capacita del perché al suo settimo romanzo non è ancora riuscito a ottenere un premio da uno qualsiasi dei principali concorsi letterari nazionali. Eppure ha un talento indiscutibile: sua moglie non manca di commuoversi copiosamente sulle sue pagine, colleghi, amici e parenti si sperticano in complimenti, confessano la propria invidia, lo implorano di non smettere mai di scrivere. Una sola può essere la spiegazione: la mafia delle case editrici.
Questo romanzo racconta l’epopea di un gruppo di coraggiosi (Oboe, sua moglie Cloris, e i due colleghi pizzardoni di Oboe, Borghetti e Averna) che sfidano l’impero editoriale italiano per dare voce a un romanzo in cui credono più che in se stessi.
L’idea viene al Borghetti quando scopre che il presidente della giuria del Premio Campiello per l’anno successivo sarebbe stato Alberto Albertinis, un usuraio salito agli onori della cronaca per aver fondato una banca di lusso per correntisti vip ma soprattutto, elemento fondamentale in questa storia, concittadino. Il piano è semplicissimo: seppellire di contravvenzioni l’Albertinis fino a ottenere la vittoria per l’ultimo romanzo di Oboe, un tomo di ottocento pagine dal titolo: Non solo fregnacce. Ma la via della gloria non può che essere costellata di ostacoli che mettano alla prova il valore di chi osi tentare di ottenerla: l’Albertinis, essendo schifosamente ricco, naturalmente dispone di un box privato per la sua Ferrari giallo canarino. Dopo momenti di indicibile scoramento in cui i protagonisti non risparmiano cazzotti al muro e bestemmie al cielo, Cloris, che fino a quel momento è rimasta in silenzio, ha un’idea. E così, nel cuore di quella stessa notte, travestita da prostituta per non dare nell’occhio, la signora Oboe si avvicina di soppiatto al box dell’Albertinis per sabotare cellule fotoelettriche in nome della letteratura. Ma proprio quando niente sembra perduto, sotto gli occhi di Oboe e dei colleghi appostati dietro un parchimetro, ecco accadere l’imprevedibile: la Ferrari, da 100 a zero in 3,27 secondi, si ferma davanti al palazzo, davanti al box, davanti a Cloris. L’Albertinis scende dalla macchina, s’incapriccia da zero a 100 in 2,23 secondi della donna, e se la porta in casa.
Ecco il testo dello struggente biglietto con il quale, alcune settimane dopo un lungo silenzio, Cloris comunica al marito il suo estremo dono d’amore: «Mi ama. Non lo amo. Il premio è tuo. Addio.»
Oboe, distrutto dal dolore, maledice il premio, si ricorda di essere affetto da un male incurabile e muore. Il premio viene assegnato postumo. Non solo fregnacce vende un milione di copie in sei mesi. Il piccolo editore, al quale l’Oboe pochi mesi prima aveva versato 2.500 euro (di cui 2.000 al nero) per pubblicare il proprio manoscritto, diventa il maggior editore librario nato in Italia almeno nell’ultimo quarto di secolo.

 Carolina Cutolo

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Il senso del piombo – Liguori intervista Luca Moretti

Luca Moretti, scrittore e papà di TerraNullius, nel suo nuovo romanzo, Il senso del piombo, nelle librerie da metà maggio per i tipi di Castelvecchi, affronta una materia difficile e insidiosa: la destra eversiva degli anni Settanta e Ottanta. L’autore ci parla, attraverso una scrittura lineare e scorrevole, di quegli anni bui di attacco frontale alla borghesia e al potere, della storia romanzata del Tenente, alias Carlos Reutemann, la sigla che nel romanzo è il nome multiplo usato per rivendicare le azioni della Gioventù Nazional-Rivoluzionaria, ovvero i Nar di Giusva Fioravanti, alias Carlos Reutemann.

Moretti indossa i panni del terrorista nero e immagina di raccontare a suo figlio la storia di quegli anni, di quella guerra, spiegargli il senso di tutti quei morti ammazzati, il senso di tutto quel piombo. Facciamo quattro chiacchiere con lui.

Perché hai deciso di raccontare la storia del terrorista Giusva Fioravanti? Leggi il resto dell’articolo

Precari all’erta! – Internet e letteratura

Per continuare coi rapporti tra internet e carta stampata, oggi vorrei focalizzarmi su un articolo uscito sul Corriere della Sera di giovedì primo ottobre, che riflette sull’influenza di internet sulla letteratura contemporanea, ricollegandosi in parte anche a un precedente articolo dello stesso Giuseppe Genna uscito il primo agosto su Milano Finanza.
Riassumendo, si può dire che in questo pezzo emergono due posizioni affatto nuove e apparentemente agli antipodi: da una parte quella che viene definita la vulgata degli “integrati”, rappresentata per l’occasione da Genna, e dall’altra quella degli “apocalittici” come Antonio Moresco. I primi sarebbero quelli che ripongono molta fiducia nel mezzo, nelle sue possibilità di rivoluzionare il linguaggio ed i suoi modi di fruizione, mentre i secondi apparterrebbero invece alla specie degli scettici che non si fidano della democrazia del web, che anziché rivoluzionare i linguaggi tenderebbe piuttosto a favorire il riciclaggio e la clonazione di quelli già esistenti.
La mia opinione è che entrambi i punti di vista siano condivisibili e che la loro inconciliabilità dipenda dal fatto che tendono a rimarcare, estremizzandoli, i possibili effetti (ancora tutti da dimostrare) del web sulle forme di scrittura (e non mi limiterei a considerare la sola letteratura).
Forse l’inconciliabilità di fondo tra le due visioni è piuttosto il risultato di un problema di metodo, poiché nell’articolo in oggetto mi sembra che si tenda a sovrapporre piani tra loro diversi: insomma, la letteratura e il panorama letterario sono due cose diverse, così come bisognerebbe chiarirsi sul significato specifico da dare alla parola linguaggio, che mi pare tenda qui a confondersi con la lingua e lo stile. Ecco perché i due discorsi apparentemente antitetici potrebbero in qualche modo ritrovarsi su un piano comune: Genna parla di spazi di discussione alternativi, mentre quello di Moresco è un discorso sulle forme; si discute sempre di web e scrittura, ma in due accezioni completamente diverse.
Il minimo comun denominatore delle due posizioni sta a mio parere nella stretta interdipendenza tra natura del mezzo e produzione di linguaggi, poiché se da una parte il web dà la possibilità di moltiplicare gli spazi di discussione, e dunque di allargare potenzialmente la sfera del sapere e il numero delle persone che vi possono partecipare attivamente (permettendo anche la nascita di quella nuova critica militante di cui parla Dario Voltolini alla fine dell’articolo), dall’altra esso può effettivamente favorire la diffusione di forme di scrittura più facilmente “normalizzabili”.
Per questo io sarei più portato a usare il termine scrittura (o ancor meglio scritture) in luogo di letteratura. Da un punto di vista strettamente stilistico il web può infatti essere un’ottima palestra di scrittura, di confronto (laddove vi sia però sempre un’adeguata attività “promozionale”, che permetta al blogger di turno di avere visibilità e dunque feedback), ma la sua influenza sulla letteratura (intesa come corpus di opere riconosciute da critica e pubblico) mi sembra si limiti per adesso ad alcuni sporadici casi “di tendenza”. Sicuramente il web influirà sulla velocità di scrittura, così come accade con gli sms dei telefonini, ma bisognerà capire quali sono gli effetti di queste modalità (che per molti è barbarie e perdita della lingua) quando precipitano fuori della rete (del mezzo specifico).
Mi sembrerebbe invece più prolifico un discorso sulle dinamiche della scrittura collettiva (le scritture – penso ad esempio all’esperimento del SIC o ai collettivi come Luther Blisset e Wu Ming), dove il mezzo in-forma realmente un modo di fare letteratura autonoma e originale, a differenza dell’esempio del blog che si riversa sulla pagina, che per quanto rappresenti una forma di letteratura direttamente derivata da internet, si presenta molto simile per dinamiche e struttura alla precedente produzione diaristica.