Appunti per un racconto di (max.) cinquemila battute

Mi hanno dato cinquemila battute per scrivere un racconto e quindi ho cinquemila battute – massimo! – per parlare di una donna che si chiama Ludovica, trentadue anni, scrittrice e giornalista di Marie Claire – “una rivista che parla di tutto, anche di te”, come recita lo slogan dell’imponente campagna pubblicitaria, quella campagna che ha puntato sulla donna media e sulla precaria sicurezza interiore della donna media, una donna che Aristotele definirebbe “astratta” – e questa Ludovica, in effetti, oltre che essere astratta, oltre che essere giornalista, dev’essere una scrittrice che non si prende (mai) troppo sul serio, perché il giornalismo è un affare impegnativo, dice, ma la scrittura, no, così ha scritto un libro la cui stesura è durata un mese – ventisette giorni, come testimoniano le croci sul calendario della Cassa di Risparmio SpA – e il suddetto libro (357 pag., rilegato) è riuscito ad aggiudicarsi un importante premio nazionale – tra l’altro, è in corsa per vincerne degli altri: ennesimi riconoscimenti che fanno curriculum, altre premiazioni dove guardi la prima fila e ti chiedi chi siano, questi vecchi col catetere che votano e, intanto, si proteggono dal sole romano con cappelli che aderiscono a vecchie mode recessive – ma il premio più importante, appunto, Ludovica l’ha già vinto e Rosalba, la madre cinquantacinquenne, è stata contentissima, tanto che ha organizzato una festa a casa sua (sua, della madre) e ha invitato tutte le sue amiche (sue, della madre) per pubblicizzare la notizia e prendersi quei meriti cromosomici (fonte d’ispirazione: la tara ereditaria di Zola) che son riusciti a impressionare le amiche e le amiche delle amiche, rendendole gelose e un poco ciniche, caustiche al punto da sottolineare, con tono polemico, che alla festa della figlia mancava qualcuno d’importante, ossia la figlia, e la madre, allora, non sapendo quale scusa inventare, aveva elaborato una tragedia in due atti che, nel primo atto, introduceva Ludovica e un treno Eurostar Frecciarossa, e poi, nel secondo atto, si focalizzava sull’educata rabbia di Ludovica e sulla rottura del treno, che giaceva immobile nel mezzo della campagna senese – “Siena è una città stupenda, piena di monumenti”, aveva detto alle amiche – e questa divagazione le aveva permesso di narrare una considerevole porzione del suo viaggio di nozze, aneddoti matrimoniali che, grazie a una certa abilità espositiva, erano riusciti a oscurare il precedente filone narrativo, facendolo scivolare nell’oblio (possibile domanda: la tara ereditaria esiste davvero?) e insomma, durante la festa, Ludovica era uscita con un letterato che aveva apprezzato il suo libro (possibile sviluppo: definire le caratteristiche di un letterato) e adesso, a distanza di qualche giorno, il letterato le scrive lunghe e-mail in cui profetizza il ruolo che Ludovica [correzione: “l’incredibile libro di Ludovica”] potrebbe ritagliarsi nel panorama letterario italiano, e ognuna di queste e-mail si chiude con un saluto d’amor cortese che potrebbe fare colpo, chissà, magari il letterato riuscirà a sedurre Ludovica, portandosela a letto, sfoderando certi addominali da modello-d’intimo-maschile, o forse no, chissà, comunque, dato che i soli appunti stanno per raggiungere le cinquemila battute, son costretto a fermarmi qui.

Iacopo Barison

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