Parlo col rap *

Ecco cos’era, uno skit.

Due minuti di fregnacce da piazzare qua e là tra un pezzo e l’altro, anche se spesso e volentieri i rappici album di quell’inizio di millennio avevano venti tracce e vedrai che, tolti intro e outro, dieci tracce erano skit.

Meglio ancora era quando riuscivi a portarti a casa la testimonianza che il rapper sulla cresta dell’onda o meglio il vate più underground della scena, endorsava te e il tuo demotape. Certi volavano pindaricamente, chiedendoti – prima di concederti l’onore di fissare le venerabili onde sonore vibrate dalle loro semidivine corde vocali – curriculum rappae e pedigree.

E che invidia provavamo quando Danno del Colle o Esa li sentivamo skittare su qualche compila comprata alla jam! Il massimo che potessimo vantare noialtri era Mistaman dei Centro13, con tutto il rispetto.

Eppure Mista c’aveva fatto fare un figurone con quello skit, anche se poi non sarebbe mai uscito quel demotape. Ma a Mista c’eravamo guardati bene dal farglielo notare. Nel pieno dello sproloquio aveva piazzato un rotondo “parlo col rap” del quale avrebbe fatto la brillante intuizione di un pezzo qualche tempo più in là.

Gionata, che in quelle incursioni deteneva l’invidiabile ruolo di protesi umana del registratore, mentre riavvolgeva la cassetta era rimasto folgorato dal fatto che “parlo col rap” se lo ascolti al contrario fa sempre “parlo col rap”. E se poi premi stop e spingi play, ecco “parlo col rap”, ed anche se poi fai rewind è ancora, nuovamente, insindacabilmente, “parlo col rap”.

Vaglielo a spiegare a Gionata, che si chiamava palindromo quella roba là e che quasi sempre strappava la stessa esclamazione che vedevamo dipinta sulle labbra di Gi, “matupènsa”, in quei frangenti là. Matupènsa.

Geniale!, continuava a ripetersi, geniale! e si rese necessario, con un colpo di reni ben assestato, strappargli dalle mani il portentoso attrezzo catturavoce per evitare che bruciasse il nastro ascoltandosi senza soluzione di continuità, play stop rewind stop play stop rewind e parapìm e parapàm, quei tredici secondi di skit.

Fu quella sera che prendemmo la decisione irrevocabile. “Noi gli skit li metteremo suonati al contrario”, ci dicemmo e la battezzammo mossa altamente bohemiènne con vaghi sentori di rocksatanismo. Se solo avessimo avuto dei pezzi da intervallare con gli skit, questo è chiaro.

Ma a questo non pensavamo quella sera, quella perversa inversa reversa satanica sera.

Parlo col rap, ci aveva confidato Mistaman e non volendolo ci aveva suggerito l’alchimia che teneva insieme noi tre, che ci faceva dimenticare di Iago, di Gè e dei varani di Komodo, di Kenneth Branagh e di Gwyneth Palthrow, di Parigi e di un esame di maturità che stronzamente faceva capolino dietro le colline del futuro prossimo.

Quando si parlava di rap, quando si parlava col rap, eravamo noi, fortemente noi.

Il meglio di noi. Ognuno col suo fottuto motivo per incastrarsi coi battiti selvaggi di quel suono egoista, di quel ritmo che aveva una risposta per tutte le domande e il più delle volte era la risposta giusta.

Parlo col rap era la formula che ci rendeva simili e fratelli nella cazzutitudine.

Io, Donnie, Gionata.

Potevi inquadrarci di fronte o di profilo, di spalle o sottosopra, poi premere stop e tornare sui tuoi passi per accorgerti, palindromicamente, che eravamo sempre noi, Gionata Donnie e io. Indistruttibili come i silos di cemento laggiù al porto, che mai sarebbero crollati, nemmeno con la dinamite, nemmeno se i topi avessero inscenato un’insurrezione popolare e rosicchiato le fondamenta. A quel nostro piccolo mondo baggy non avremmo rinunciato mai, per niente e niente al mondo. Credeteci, se ve lo dico io, che di mestiere faccio il pensatore e spesso e volentieri, ecco: parlo col rap.

Fabrizio Gabrielli

* Anteprima di Katacrash (Prospettiva editrice – collana BrainGnu)

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Precari all’erta! – Il buon vecchio caro proibizionismo

Il buon vecchio caro proibizionismo.
Di tanto in tanto ritorna, soprattutto in tempo di crisi, c’è poco da fare. La storia c’insegna che il proibizionismo non è un rimedio, ma pare funzioni ancor oggi parecchio per tener buono il popolino, soprattutto quando avvezzo a delegare ogni decisione ai propri governanti e a non controllarne l’effettivo operato (e in questo il nostro paese di evasori è senz’altro campione eccelso).
Con la nuova sensazionale campagna mediatica contro i minorenni alcolizzati, sembra che i nostri politici, e con essi le loro televisioni e giornali annessi, si siano improvvisamente accorti che i nostri ragazzi e le nostre ragazze non sono proprio casa e chiesa come si pensava (e voglio ben dire, visti i papponi che circolano sulle varie copertine patinate per gossippari).
I giovani si ubriacano, si drogano, sono senza valori!, ma la Milano da bere offre adesso il buon esempio, e dietro di lei già altri comuni si accodano: divieto assoluto di somministrare alcolici ai minori di sedici anni.
Dopo anni di menefreghismo, in un paese per vecchi come il nostro, tutti sembrano improvvisamente interessarsi alle giovani generazioni, preoccuparsi per il loro futuro. Inutile pretendere un’analisi delle cause, parlare ad esempio del vuoto culturale che come un crepaccio si è aperto e ci ha ingoiati in tanti nel bel paese. Improduttivo ragionare sul modello imprenditoriale che sembra prevalere ovunque, o del becero razzismo che ormai domina le più disparate rivendicazioni locali. Attendiamo fiduciosi che arrivi il vegliardo di turno, magari qualche luminare del cervello, a dirci che i giovani d’oggi son peggio di quelli di ieri. Tanto, se proprio bisogna affidarsi ai luoghi comuni, è meglio non risparmiarsi, e allora ben vengano le interviste agli adolescenti strafatti fuori dei locali (perché se certi filmati ci scandalizzano su youtube, non altrettanto vale per la televisione), o magari qualche servizio su film o videogiochi rei di aver dato il cattivo esempio. Il sottoscritto, ad esempio, ha visto tanti di quegli horror da rischiare di svegliarsi un bel giorno con i canini grandi come zanne, o con la malsana idea di andare in giro munito di una collezione di coltelli da macellaio, chi lo può sapere…

Io però non vi consiglio di seguire il mio esempio, perché a leggere tanti libri e a vedere tanti film si produce e si consuma poco, e magari avanza pure il tempo per un buon bicchiere di vino. Se proprio vi dovete scaricare, cari i miei giovincelli, la pubblica opinione consiglia invece le ronde che stanno istituendo un po’ ovunque e, udite udite, ci sarà presto posto anche per voi, perché corre voce che l’età per potersi arruolare verrà abbassata a 18 anni . Insomma, rimettetevi in forma, e che caspita! Volete mettere la sana ginnastica di una volta anziché il fegato appesantito e la mente obnubilata?

Simone Ghelli