Fa un freddo abominevole

Fa un freddo abominevole.
Persino la leggera striscia di urina lasciata da Toni il Barbone lungo quella crepa del muro, vicino a uno dei vecchi tubi, è diventata solida. Un pezzo di ghiaccio ocra illuminato dalla luce debole di questo sole che non scalda.

Mi chiedo sempre come cazzo faccia Toni a pisciare all’aperto con queste temperature, tirarselo fuori a dieci gradi sotto zero. Non ha paura che gli diventi solido come quella strisciolina sul muro, e gli si spezzi in due, come capita ai surgelati nel freezer? Bah… Leggi il resto dell’articolo

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Mekmetal Spa

La rubrica Interlinea ƒ64 nasce dalla collaborazione tra La Rotta per Itaca e Scrittori precari: una volta al mese, uno scrittore, leggendo tra le righe di una fotografia, ci ha raccontato una storia in profondità di campo.

Quello che segue è il quarto e (per adesso) ultimo racconto in vista della pausa estiva.

di Nadia Turrin da una foto di Andrea Pozzato

I muri esterni della Mekmetal Spa sono gli stessi da decenni. Scrostati, incolori, con crepe profonde attorno alle finestrelle, e le centraline della corrente elettrica circondate da inquietanti cavi scoperti e tubi marci di umidità.

«Perché cazzo il sig. Weiner non mette a posto quei cavi, con tutti i soldi che ha?» si chiedono da anni in molti, passando davanti a quei muri.

E da anni c’è sempre qualcuno che replica : «È da tanto che il sig. Weiner vuole rifare tutto, ma poverino, ne ha sempre una. Prima ha dovuto investire nello stabilimento in Romania, che se no non ce l’avrebbe più fatta coi costi di produzione di Bolzano. Poi sono arrivati i cinesi a fare concorrenza. Adesso c’è la CRISI. Poverino!» In ogni caso, ad ogni tornata di licenziamento di massa qualche operaio si è suicidato, mentre il sig. Weiner è sempre vivo. Sarà. Leggi il resto dell’articolo

La Donna Bella

In una Città senza Tempo né Spazio, Angel-a si aggira per la strada, il corpo lungo e sottile ondula sotto il peso del cappotto di raso.

Angel-a porta sotto il braccio la cartellina di pelle con dentro il suo tesoro, le mille immagini scattate dal Fotografo.

«Brava, così, girati! Ora aggressiva adesso fa la maliziosa Bravissima!!»

Mille pose diverse, con mille espressioni diverse si direbbero mille diverse Angel-e imprigionate in quella cartellina, ma non importa.

Ciò che importa è che lei fra qualche minuto ha l’appuntamento con il Pubblicitario, con il re della jungla, colui che per qualche spasmodico secondo terrà il suo destino schiacciato fra pollice e indice.

Il Pubblicitario è vecchio e bavoso, e disgustoso e repellente, l’antitesi dell’incarnato immacolato di Angel-a, paralizzato dal botox, accarezzato dai capelli acconciati perfettamente, sopra le tette di plastica pompate dal wonderbra .

«Signorina, le foto non sono male, ma deve capire Lei non è la sola Donna Bella che passa per la mia agenzia Ne passano a centinaia, tutti i giorni, anche molto più belle di lei. Mi dovrebbe dare un motivo per cui scegliere PROPRIO LEI»

Angel-a comincia a slacciarsi il reggiseno, le tette al lattice schizzano come spinte da una forza propulsiva.

«Sicuramente un bel lavoro signorina, un’opera d’arte, ma a me interessa altro Scenda un po’, qui, sotto la mia scrivania, piano piano»

Angel-a scivola ai piedi del Pubblicitario Si immagina un enorme cetriolo che le riempie la bocca, solo per pochi istanti, il sapore è acre, la scorza è amara, e tanto pure, ma già assapora la dolcezza delle sue foto sul cartellone pubblicitario.

La Città senza Spazio ora è coperta dal viso di Angel-a con i labbroni gonfiati che, sporgenti dal cartellone, assaporano un cocktail; Angela conta i giorni che passano a seconda di quanto il rossetto “Rouge Fauve” sbiadisce nella foto.

Eppure non è solo il cartellone che si sgualcisce: Angel-a stessa comincia a notare che il pallore candido della sua pelle assume sempre più un colore atono, sembra quasi che la luce la trapassi, filtra come attraverso la superficie di un rigagnolo di montagna.

Angel-a corre dal Visagista, spaventata.

«Ma non ti preoccupare chéri, la bellezza eterea ed evanescente va molto di moda aujourd’hui! Anzi, sai che faccio? Ti disegno meglio le occhiaie e le guance incavate, ecco, così, perfetto, fashion!»

Oltre alla pelle, Angel-a si accorge gradualmente di altre stranezze I capelli si staccano dalla sua testa a ciocche, e ben presto non riesce più a coprire le chiazze che si sono formate.

Il Parrucchiere più Bravo della Città la tranquillizza: «Bambolina adorata, mi sto facendo arrivare una parrucca meravigliosa, di capelli veri, uguali ai tuoi, ti rimetto io a nuovo!»

Come i capelli, anche i denti diventano sempre più grigi e cominciano a traballare, sulle radici così fragili

Mentre la visita, il Dentista sentenzia: «Si tratta di una rara forma di parodontite forse legata allo stress Le facciamo un bell’impianto osseo e il suo sorriso sarà meglio di prima, il suo lavoro non è in pericolo, per fortuna!»

Angel-a ora non sa più se è il lavoro ad essere in pericolo o se è lei Quando passa davanti al cartellone, vede le sue labbra ormai rosa tenue, e il colore degli occhi quasi cancellato dal tempo

Si guarda le ossa sporgenti del bacino, le costole in rilievo come lische di pesce, la spina dorsale che le segna profondamente la pelle della schiena.

Eppure il Dietologo aveva detto: «Sì, lei è un po’ sottopeso, ma per il suo lavoro è meglio così! Anzi, i giornali non faranno che parlare della sua presunta anoressia! Lei è PROPRIO FORTUNATA!»

Gli operai stanno staccando dai muri della Città senza Tempo gli infinitesimali frammenti dei cartelloni di Angel-a.

Al loro posto andranno quelli della Nuova Scoperta del Pubblicitario, con i labbroni e le tette artificiali come le sue, solo un po’ più alta.

Sì, perché Angel-a non c’è più, È SPARITA.

Si è come volatilizzata, poco a poco, consumata dallo sguardo dei Passanti, dalle mani di tutti i Truccatori, Estetisti, Massaggiatori, Medici, Registi, Personal Trainers, Giornalisti in cui è finita in questi mesi, dall’invidia di tutte le Aspiranti Angel-e che ogni giorno fanno il tour delle Agenzie Pubblicitarie, dalle maledizioni di Mogli grassocce e basse che l’hanno guardata in televisione.

È proprio svanita nel nulla, nessuno l’ha più vista né ha sentito la sua voce, non ha lasciato alcuna traccia della sua esistenza, se non quegli ultimi ritagli di carta che ora gli operai stanno buttando nella spazzatura.

«Però a me piaceva di più quella di prima, non so Aveva degli occhi così luminosi! Ma che fine ha fatto?

È scomparsa?»

Nadia Turrin

Nadia Turrin

Cinema e Buchi

È cominciato tutto da Fino all’ultimo respiro.

Io mi ero appena trasferita a Roma, in un quartiere brulicante di fermenti giovanili, sconquassato da notti alcoliche e albe rissose, inconsapevole raccoglitore di cocci di vetro e vomito notturno. Non conoscevo nessuno e mi sentivo come una maschera al Carnevale di Venezia: vedi attorno a te migliaia di persone ebbre, ipnotizzate da febbrili danze convulse, le puoi osservare attraverso le fessure del tuo travestimento, ma rimani sempre una cornice della città. Ti potresti mettere di fronte ad un negozio di artigianato locale, immobile, a farti immortalare dagli scatti dei turisti.

La soluzione alla malinconia di quelle serate solitarie mi era sembrata uno sparuto videonoleggio, proprio di fronte al mio palazzo, che cercava di farsi largo tra un salone di bellezza e un’officina; ero stata sedotta dal viso di Robert Redford de La stangata, dalle fattezze stilizzate, inedito Diabolik del cinema, stampato sulla vetrina del negozio.

Appena entrata, mi ritrovai in una magico Eden cinematografico: tutti, ma proprio tutti i film, anche quelli più inimmaginabili, quelli cercati inutilmente nelle videoteche di tutta Italia, quelli provati a scaricare da internet con tutti i tipi di mezzi, leciti ed illeciti e “che cazzo, il download si interrompe sempre al 78%!”… beh, insomma, TUTTI, stavano in quel buco di negozio, ordinati per categoria, bramosi di essere guardati.

Io, come una drogata in crisi d’astinenza, mi ero precitata nella sezione cinema francese, leggendo con cupidigia il retro di A bout de souffle, quando, dietro alla schiena, sentii una strana presenza. Eri tu, sbucato silenziosamente alle mie spalle, mi stavi dicendo che quello era il tuo film preferito. Forse perché ti sentivi come Michel, anarchico personaggio, mito di se stesso, a caccia di un’ingenua Patricia da abbindolare. Mentre parlavi mi accarezzavi con l’indice la cintura dei pantaloni, infastidendomi. Scappai velocemente, mi sembravi un personaggio dei fumetti in cerca di rapide avventure sessuali.

Purtroppo l’amore per il cinema, qualche giorno più tardi, mi spinse di nuovo verso quel buco, e verso te, incastonato tra i dvd, vicino alla cassa. Con L’erba di Grace abbiamo sorriso ripensando ai nostri viaggi ad Amsterdam, tra biciclette, funghi allucinogeni e le pazzie di Van Gogh; Control mi ha svelato che sei anche un musicista, convinto detrattore di tutta la New Wave… Sì, perché tu oscilli tra lo psichedelico e il glam, come David Bowie degli anni Settanta tante volte aleggiante nel negozio, e potresti benissimo far parte delle guerre tra spacciatori di City of Joy, in giubbino di pelle, camicia con il bavero a punta e jeans a zampa di elefante. L’insaziabile appetito che ci aveva provocato Primo amore era dettato dall’ansia dell’annientamento per l’altro, talmente potente da non farti nemmeno finire di leggere Il cacciatore di anoressiche.

Così, grazie all’amore selvaggio e distruttivo de La sposa turca, quella sera, dopo la chiusura del negozio, mi ritrovai scaraventata contro uno dei muri di dvd. Mentre la tua lingua procedeva lenta ma inesorabile dall’attaccatura della mia spalla fin dietro il mio orecchio, io vedevo precipitare vertiginosamente da sopra la testa e dai lati del mio corpo, uno ad uno, I quattrocento colpi, Il cielo sopra Berlino, Roma città aperta, Donne sull’orlo di una crisi di nervi….

Ad un certo punto chiusi gli occhi; non capivo più in quale film eravamo finiti, sentivo solo la tua voce che mi sussurrava qualcosa, e i nostri corpi attanagliati in un insieme di sussulti meccanici, la mia schiena premuta sui dvd che, cadendo, emettevano un ticchettio metallico.

“Ora toccami.. Così…sì…Tira fuori la lingua.. Brava…Tira fuori la lingua ho detto!”.

Sempre più furioso, sempre più ansimante… Ormai seminuda, immaginavo la penetrazione del cinema dentro di me, l’orgasmo che mi avrebbe provocato la mia più grande passione facendosi strada fra le mie gambe, rabbiosa, divoratrice. La mia vagina molle era come un bocciolo al mattino, in attesa famelica di nutrimento, linfa, sole, calore…

“Oh cazzo!”.

Silenzio.

Più nessun fremito, nessuno spasimo. I dvd immobili ai loro posti. Dopo qualche secondo riaprii gli occhi.

“Scusa!”.

Come scusa?????!! Non ci potevo credere, il film non era stato interrotto, non era nemmeno iniziato…

Tu tenevi gli occhi bassi, mortificato, tirandoti su i pantaloni.

“Non so che mi è preso… un quindicenne!”.

Io non sapevo che dire, non avevo nemmeno visto il trailer del film per poter dare un giudizio…

“Sono cose che succedono a tutti, magari la prossima volta…”.

Sul pavimento spiccava fra tutti i dvd un doloroso Requiem for a dream

Non c’è più stata una prossima volta.

Probabilmente la cinepresa aveva subito un danno irreparabile, o forse nessuno dei due ha più cercato di farla sistemare… Di tanto in tanto torno a noleggiare dvd, tu sei sempre lì, ma non sei più una sceneggiatura da scrivere, sei unicamente un imbarazzante flop.

È come quando passo davanti al negozio… Non è più il Paradiso dei cinefili, ma semplicemente una triste eiaculazione precoce.

Nadia Turrin