Di notte
giugno 7, 2010 4 commenti
Dentro la stanza c’è poca luce, puzza di fumo e di calzini sepolti sotto cumuli di fogli sconclusionati, sono lì da una settimana, forse due. Credo nel concetto improvvisato dell’impossibilità, lo so è un difetto, ma credo che un giorno o l’altro si stancheranno di stare lì e se ne andranno per i cazzi loro dentro la lavatrice, vi sembra assurdo? Per me non lo è.
Ho imparato che tutto può succedere, che tutto è probabile, forse quest’opinione l’ho sviluppata da bambina quando credevo ancora in dio, lui esisteva e io dovevo crederci per forza, anche se era tutto INSPIEGABILE. È vero che credevo anche a babbo natale e la befana, ma quelle sono altre favole, poi col tempo ho capito che quella fiaba perversa di dio era solo una storia priva di qualunque fondamento logico, uno sciocco, stolto addomesticamento di anime, utile solo per confortare visionari devoti, decisamente più pazzi di me.
Il vicino ha il trapano acceso, sono le tre del mattino, non trova pace, riempie le pareti di buchi, forse ha visto un brutto film ed ora vuole evadere, ma delle sue elucubrazioni mentali me ne fotto, tiro qualche pugno alla parete e inizio a gridare come una pazza isterica “smettila, hai rotto i coglioni!”
Non ho mai visto quell’uomo, vive recluso, gli portano la spesa, la posta ed ogni bene necessario alla sua sopravvivenza.
Si sono fatte le quattro, scolo un’altra birra e mi metto in mutande davanti al televisore, uno schermo piatto da qualsiasi prospettiva, ma lo fisso soltanto in realtà. Sono stanca, è la terza notte in bianco e i miei occhi hanno uno strano colore tendente al viola mescolato allo scuro delle occhiaie.
Ora fisso il soffitto, è lì che ho sempre trovato le risposte migliori, ma le domande sono tutte sbagliate e le risposte tutte vere, che fare? Un’altra birra.
Il vicino ha spento il trapano e io mi sento sola, accendo la musica, ma non è la stessa cosa. Dalla finestra bussa un gatto rosso e grosso, ha freddo, lo faccio entrare, mi si struscia un po’, poi mi lecca con quella sua linguina ruvida, lo scanso col piede e lo uso come scaldasonno, peccato che io sia sempre sveglia.
Neanche la città ricoperta di calma apparente dorme, finge, ma tutto si muove, tutto è illuminato e sulla parete si muovono strane ombre distorte dalla luce o dalla birra, chi può dirlo?
Figure storpie danzano sul muro, le guardo e sorrido, la sveglia suona alle sei, non ho mai capito il perché, s’accende la musica e mi da il buongiorno mentre il vicino consacra il suo rito mattutino: mi spia dalla serratura e si masturba, lo capisco perché nel frenetico su e giù a volte batte sulla porta, lo lascio fare, sorrido, poi mi avvicino verso la porta con la mano dentro le mutande, la apro e lo vedo scappare con le braghe calate. Sorridere al sole che sorge dicono che allieti le giornate.
È il quinto bicchiere di rum e cola, sto per cedere, le ombre, il gatto, il soffitto, le domande, le risposte, la tv ancor accesa sul nulla. Tutto gira e rigira, si contorce su se stesso e io a quattro zampe arrivo in bagno.
Ci sono due scarafaggi che trombano silenziosamente dalla vasca ancora piena, l’acqua verdognola trabocca sul pavimento, si scivola, cado, impreco, vomito l’infinito e ve lo scrivo, buonanotte.
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