agosto 30, 2010
di scrittoriprecari
Telemaco comandògli recarla, e Ulisse l’ebbe.
Ei, prese in man l’arco famoso, il tese
Così e il tirò, che ambo le corna estreme
Si vennero ad unir: poi la saetta
Per fra tutti gli anei sospinse a volo.
Ciò fatto, stette in su la soglia, e i ratti
Strali versossi ai piedi, orrendamente
Guardando intorno. Antìnoo colse il primo,
E dopo lui, sempre di contra or l’uno
Tolto e or l’altro di mira, i sospirosi
Dardi scoccava, e cadea l’un su l’altro.
Certo un nume l’aitava. I suoi compagni,
Seguendo qua e là l’impeto suo,
A gara trucidavanci: lugùbri
Sorgean lamenti, rimbombar s’udìa
Delle teste percosse ogni parete;
E correa sangue il pavimento tutto.
La porta cigola. Continuamente. Una leggera corrente d’aria la sposta, in modo impercettibile, provocando un lento, disturbante, stridio.
Il tremore delle mani non si attenua. Cerco qualcosa, nell’infisso rotto della finestra.
Attorno sacchetti di plastica: pieni, rotti, vuoti, appesi.
Vestiti sporchi, puliti, da stirare, da stendere. Scarpe.
Mi alzo dalla sedia.
Guardo allo specchio le iridi arrossate, per il poco tempo passato a dormire. 30 cc di Delorazepam, insieme al caffè provano a migliorare lo stato.
Ho una casa, un lavoro sicuro e sono sano. Ho anche un figlio. Posseggo ciò che la maggior parte delle persone desiderano. Ho amato e sono stato ricambiato.
In effetti non vi è nulla di sbagliato. La desolazione, la solitudine, la depressione e perfino la disperazione non hanno nulla a che vedere con lo stato sociale di un qualunque borghese.
Ho fatto delle scelte, o almeno, mi è sembrato di farle. Alcune facili, altre dolorose.
Oggi ho finito le scelte.
Lo specchio mi restituisce un volto, come se dicesse: affari tuoi, non voglio saperne nulla.
Non vi è nulla di leggero: nulla che lasci vie di scampo.
Una doccia e mi preparo. Mi vesto: prima l’intimo, una camicia, pantaloni, ma leggeri, che fa caldo. Scarpe comode.
Dopo pochi minuti di guida entro in ufficio, dove non mi aspetta nulla da fare, se non una lunga giornata da far trascorrere. Non penso, non leggo il giornale, non telefono a nessuno: sono gesti che non compio più da tempo.
Il mio superiore ritmicamente mi consegna dei fogli, lavoro totalmente inutile, ma necessario all’andamento del regime.
Poi il momento del caffè. Non vorrei prenderlo: ma è un motivo per uscire.
Ancora il nulla fino alla pausa del pranzo: dove il nulla si trasferisce davanti a un qualsiasi piatto, che rimane quasi sempre pieno.
Il pomeriggio è breve, e già all’ora del tramonto sono di nuovo davanti all’infisso rotto.
Ho spostato alcuni sacchetti di plastica: certi vestiti dovevano essere lavati, e certi altri stirati.
Ho messo nell’immondizia un vecchio paio di scarpe rotte.
Da tempo non mi chiedo nulla.
Da tempo non cerco di cambiare nulla.
Non c’è nulla da cambiare.
Ho ciò che tutti cercano: la certezza del ritorno, la garanzia di uno stipendio.
È proprio per questo che oggi, prima di uscire dall’ufficio, mentre i miei colleghi concludevano gli straordinari quotidiani, ho aperto il mio armadio, ho cercato l’accendino che tengo sempre a disposizione, se qualche cliente vuole fumare in ufficio, anche se sarebbe proibito, e, dopo aver cosparso di benzina l’archivio delle pratiche di mutuo, ho acceso la fiamma.
Le vampe hanno avvolto in pochi minuti l’intero edificio, e probabilmente nessuno è riuscito a salvarsi. Io sono sceso dalle scale di sicurezza. Dopo aver bloccato dall’esterno l’uscita.
Ora sono intento alla raccolta differenziata.
L’ambiente è importante, e bisogna pensare al futuro.
Devo sbrigarmi, che anche qui in casa le fiamme crescono rapidamente: è tutto in parquet.
Suonano le sirene.
Luca Giudici
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