La banda dello stivale, ovvero la Seconda Unità d’Italia – 20

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“Una biro… una penna biro!”, gridò qualcuno, e in quel grido si sentì tutta l’indignazione di un’epoca, che si credeva d’aver chiuso per sempre i conti col proprio passato. In un baleno sembrò che a niente fossero serviti anni di ricerca e d’investimenti nell’informatica e nelle telecomunicazioni, perché l’insondabilità del pensiero era ancora materia tutta da disquisire e per niente liquidata se si trovava ancora chi s’aggirava con certi attrezzi nelle tasche della giacca.

I cinque scribacchini, rimasti orfani di penna, ebbero la prontezza di riflessi adeguata per sfruttare quell’attimo di costernazione e darsi alla fuga, ma non senza aver prima bersagliato il Presidente d’una mitragliata di pallottole di carta piene d’ingiurie e di dileggio – contenuti che non posso ahimè trascrivervi, poiché secretati in qualità di prove schiaccianti che condannerebbero senz’appello l’ideologia malsana degl’imputati.

Lo stuolo dei consiglieri di varia natura – da quelli più strettamente politici a quelli estetici, fino ai più semplici portaborse – si prodigarono uniti nella corsa folle verso gli squinternati attentatori, che, muniti d’un navigatore satellitare con voce femminile, seppero però dileguarsi tra antenne e torracchioni. Alcuni testimoni nottambuli si sono divertiti a descrivere questa scorribanda notturna rimembrando le voci che si rincorrevano appresso all’eco della riproduzione meccanica dal timbro femminile, che a ogni svolta doveva pronunciare per ordine superiore – quello dei suoi circuiti elettrici – il nome della via imboccata, nonché il suggerimento per la prossima direzione: “Tra cento metri girare a sinistra”, “Alla rotatoria prendere la seconda a destra”, e via dicendo, tanto che se gl’inseguitori avessero avuto un po’ più di sale in zucca si sarebbero potuti organizzare per accerchiare il gruppo.

Il gioco a rimpiattino andò avanti per diverso tempo, e dopo pochi minuti si aggregarono anche le forze dell’ordine in pompa magna, ma, sembra incredibile a dirsi, i cinque scrittori – che per giustizia proporrei di definire d’ora in avanti anche ardimentosi – riuscirono a raggiungere indenni la propria auto e a sgommare sulla tangenziale.

Come fece un’utilitaria a combustione ecosostenibile a seminare i potenti cavalli dell’arma, questo resta un mistero insondabile a noi poveri esser umani, ma mentre i nostri guidavano verso Forlimpopoli – senz’altro ringalluzziti dalla bravata, e quindi rifocillati da una discreta dose d’adrenalina – in televisione si rincorrevano i comunicati allarmati del governo, e in tutti i telegiornali passava l’immagine del Presidente, costernato innanzi al sacrilego oggetto a punta, che gridava giustizia.

Gli scrittori precari, ignari del putiferio che si stava scatenando, ripararono in un rifugio imboscato tra i colli romagnoli, lontani dalle voci accalorate e sconcertate di tanti bravi connazionali che denunciavano una situazione politica ormai insostenibile, in cui l’opposizione cercava di ostacolare il governo con ogni mezzo, anche il più violento.

Tutti si chiesero chi fossero questi scribacchini dell’ultim’ora, e per informarsi presero d’assalto il loro blog, che fino ad allora aveva avuto più o meno lo stesso numero di frequentatori di un casolare abbandonato in campagna. Insomma, in un sol colpo essi avevano raggiunto ben due obiettivi, ma isolati com’erano non potettero godersene i frutti, se non tra i pochi loro compagni, che ancora credevano nella vita in comune e nella licenziosità dei costumi.

Simone Ghelli

La banda dello stivale, ovvero la Seconda Unità d’Italia continua il 15 marzo. Venite a scoprire cosa accadrà a questi scrittori precari che volevano rubare le parole al Presidente…