Il processo a Joseph R. – #SurrealityShow

Ratzingerdi Andrea Frau

Una bambina con la maschera di Marcinkus è in piedi in un campo da golf. È lì da quaranta giorni e quaranta notti; il campo da golf è un deserto senza tentazioni.
Il caddy, stratega e supporto morale è Tarcisio Bertone: nella sacca nasconde uno scettro per ogni occasione, inediti vangeli apocrifi, il testamento biologico di Wojtyła, i documenti del Concilio Vaticano II e i baffi di Calvi.
La bimba colpisce con lo scettro fondi neri, indulgenze, debiti, preti pedofili, seminaristi omosessuali e feti abortiti murati nei conventi. Uno dopo l’altro, ognuno di questi scandali, finisce dentro una buca. È infallibile, non sbaglia un colpo. “Ci vuole tecnica e allenamento, non si va in buca con le Ave Maria”. Più che buche di un campo da golf sono fosse comuni. All’interno di ogni glory hole c’è un distruggi documenti che trita carte e persone.
La bambina attraversa il campo a bordo di una piccola papa-mobile, saluta dei broker, bacia dei piccoli derivati, ma all’improvviso uno sparo.
È stata colpita. La maschera è caduta. La piccola alza il capo e sorride, la chiave della cassetta di sicurezza che tiene al collo le ha salvato la vita. Leggi il resto dell’articolo

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Gl’emeriti sconosciuti van negl’Emirati – [3/3] Scherzi da prete (A me? Sì! Ah.)

C’è una storiella yiddish che fa così: c’è un cardinale che invita un rabbino a cena. Convenevoli, due chiacchiere, ci si siede a tavola. Il piatto forte della serata è un maialetto da latte cotto sulle braci. Il cardinale ne mangia grossi bocconi, il rabbino lo lascia tutto nel piatto. Cosa c’è, non gradisce rabbino?, chiede il cardinale. Vede, risponde il sacerdote ebraico, noi non mangiamo carne di maiale. Abbiamo una regola da seguire. Ed il cardinale: ah, rabbino! non sa cosa si perde, col grasso che gli cola dai lati della bocca.

Superato l’inconveniente, la cena continua. Arriva il momento dei commiati. Il rabbino e la moglie si avvicinano al cardinale, è stata davvero una serata memorabile, dice il rabbino al cardinale, faccia i complimenti alla cuoca, che devo ragionevolmente supporre trattarsi di sua moglie, sarà così indaffarata ai fornelli, forse è per questo che non l’abbiam vista per tutta la sera.

Il cardinale, stupito, arranca balbettante un ma rabbino, io non ho moglie: noi facciamo voto di castità, non possiamo sposarci. È una regola che dobbiamo seguire.

Ed il rabbino: ah, cardinale! Non sa cosa si perde.

Poi c’è un’altra storiella cattoromana che invece dice: finalmente, per la prima volta, portano il Papa allo Stadio Olimpico di Roma, si gioca il derby, il Papa prende posto nella tribuna d’onore e saluta col gesto del pantocrator il pubblico, dopodiché chiede al Gran Camerlengo Camerlengo, per chi dovrei tifare, insomma? Ed il Camerlengo gli risponde Santità, io tifo per la Lazio, con quei colori così angelici, il blu del cielo, il bianco della purezza…

Dalla tribuna retrostante il palco d’onore del Papa qualcuno urla Santitààààà, guarda ch’aaa Lazzie vince ogni morte de papa!

E allora il Papa, in piedi: Forza Roma alé!

E poi c’è una terza storiella, l’ultima, parla della Chiesa dell’Unificazione e fa così:

«Sarà stato il 1936, comprenderete se ho le idee confuse, dopotutto ho un’età: ecco, io a sedici anni ho visto Gesù. E sapete che m’ha detto? Tu sei più forte di me. Vediamo cosa sai fare, ti sfido». «A me?» «». «Ah».

Sun Myung di cognome (o di nome, non si capisce mai com’è che funziona, coi coreani) fa Moon, come la luna. Ma vuole mica la luna, lui: vuole di più. Da quel giorno del trentasei, aveva solo sedici anni, quel giorno in cui Gesù gli ha gettato il guanto di sfida, lui non ha fatto altro che perseguire la sua missione: essere il nuovo Messia. (Me? Sì. Ah!).

Perseguitato, picchiato, deportato, s’è costruito una casa di sassi e fango, una casa che ci pioveva dentro ogni volta. La mattina si svegliava all’alba, camminava fino ad un eremo solitario e pregava. Pregava e disegnava, Moon. Ritratti. C’era sempre la luna, in quei ritratti. E la luna aveva la sua faccia.

Moon, per intenderci, sicuro che la storia la sapete, è quello per seguire il quale Monsignor Milingo s’è tolto la tonaca porporata, che dopotutto gli donava pure, e s’è messo in testa di sposarsi con Maria Sung.

Moon, per intenderci, sicuro che questa invece non la sapete, è quello col quale Gianni Agnelli, nell’anno del Giubileo, ha firmato un accordo per la costruzione di uno stabilimento di produzione Fiat in Corea del Nord.

Moon, per intenderci, era uno di quei Presidenti Politicanti Potenti Grandissimi Imprenditori Che Si Credono Il Nuovo Messia.

Secondo Moon, per dire, sarebbe stato compito di Adamo ed Eva generare la protofamiglia: solo che poi le mele, i serpenti, il peccato, la cacciata: troppi fatti tutt’insieme, e nessuno c’ha pensato più, alla famiglia. Isacco che cerca d’ammazzare Giacobbe, Abele che tira le cuoia per mano di Caino, converrete con me che c’è una visione della famiglia un po’ così, dice Moon.

Invece guardate me, continua: io, che sono la rettitudine, mi sposo la bella Hak Ja Han, formiamo la prima vera famiglia originale e diventiamo in un modo o nell’altro padre e madre di tutta l’umanità. Va bene, figlioli?

Il padre, si sa, è quello che porta a casa la pagnotta: poi piglia il figlio da una parte, gli scompiglia i capelli e gli porge il guantone da baseball chiedendo ti va di fare due tiri col tuo vecchio? oppure mostrando il panorama dalla finestra ammicca vedi tutto questo, figlio? un giorno sarà tuo.

Moon è un padre del secondo tipo: possiede giornali, tipo il Washington Times, e poi un hotel a Manhattan, e ancora una fabbrica di auto, la Panda Motors. Una casa di produzione cinematografica che finanzia pellicole belliche con Laurence Olivier, Jacqueline Bisset e Ben Gazzara nel cast.

E poi: una squadra di calcio.

Vedi figliolo? Anche la squadra di calcio, un giorno, sarà tua.

La squadra di calcio del Reverendo Moon è il Seongnam Ilhwa Chunma, e come tutte le squadre dei Presidenti Politicanti Potenti Grandissimi Imprenditori Che Si Credono Il Nuovo Messia miete successi in patria e a livello continentale, un rullo compressore, sette volte campione di Corea negl’ultimi tredici anni, mica uno scherzo.

Come in ogni squadra proprietà di Messia veri o sedicenti tali, ci son giocatori, nel Seongnam, capaci di miracoli.

Il portiere, Jung Sung-Ryong, una volta ha fatto goal direttamente dalla sua area di rigore. Si giocava un Corea del Sud – Costa d’Avorio di dubbio spessore agonistico, s’era sul nulla di fatto, finché il portiere non lancia lunghissimo, la palla fa un rimbalzo, prende velocità, scavalca l’estremo difensore ivoriano e s’insacca: guardatevela, nel video, la faccia stupita del portiere, quello che ha fatto goal, ma pure dell’altro, e poi ditemi se non vi viene da sorridere, o da sbalordirvi.

La stella indiscussa è un centrocampista colombiano, si chiama Mauricio Molina ed è soprannominato Mao, e pure questo è un aspetto decisamente spiazzante: sentire tifosi sudcoreani inneggiare a Mao, poi ditemi se non vi viene da sorridere, o da sbalordirvi.

il Seongnam Ilhwa ha come simbolo un pegaso rosé, animale leggendario della mitologia coreana: giustappunto, il Chunma.

Chunma, che nella lingua del taekwondo si scrive 천마, vuol dire pure carruba, o barbabietola da zucchero, a giudicare dalle foto che scaturiscono guglando.

La forza maschia e la prolificità del cavallo, la leggerezza spirituale simboleggiata dalle ali, l’evidente fallicità della carruba: non sembrano pure a voi elementi puntuali per un’ottimale rappresentazione del Reverendo Moon nella sua personalissima cosmogonia?

Così non fosse, prendetela per quello che è: uno scherzo da preti.

A me?

Sì!

Ah.

Fabrizio Gabrielli

‘A STRAGGE D’A’MARANELLA

‘A STRAGGE D’A’MARANELLA

    – Buongiorno.

    – Prego!

    – Marlboro light e una ricarica Vodafone da 50.

    – Marlboro light le ho finite signorina, e la ricarica ce l’ho solo da 20.

    – Allora mi dia Camel light e due ricariche da 20.

    – Ho le Camel gialle e solo una ricarica da 20.

    – E le Pall Mall blu ci sono?

    – Solo da dieci.

    – Mi dia due pacchetti.

    – E la ricarica?

    – Me ne dia soltanto una da 20.

    – Ho anche quelle da 10.

    – Allora una da 20 e tre da 10, ne ha?

    – Soltanto due.

    – Va bene, mi dia solo quella da 20. Quant’è?

    – Con le sigarette, 23e70.

    – Ecco.

    – Non ne ha spicci?

    – Come scusi?

    – Non ho il resto.

    – Ho soltanto 100 euro, mi dispiace.

    – Aspetti che mando il ragazzo a cambiare, Mario vieni!

    – (…)

    – Mario? Mario? Ah Marioo!!

    – (…)

    – Scusi ma ho molta fretta non fa niente, devo andare.

    – Signorina aspetti ‘n attimo! Mario viè un po’ qua, vai a’ cambià i soldi de sta signorina da Oreste! Ah Mario ma che stai a’ fa’? Mariooo!!!

    – Grazie lo stesso, arrivederci.

    – Eccolo qua signorina, ah disgraziato ma che n’ce senti?

    – Aho ma che voi? stavo ‘n bagno!

    – Non posso più aspettare, devo andare, buon giorno.

    – Ma signorina è ‘n attimo!

    – Grazie lo stesso. Buongiorno.

    – Scusi tanto, arrivederci.

    – Ammazza che bionda!

    – Ah disgraziato, lo sai chi è quella?

    – Me sembra tanto ‘na battona!

    – Mortacci tua Mario! Nun scherzà, ‘o sai chi è?

    – Te dico de no, nun l’ho mai vista!

    – E te credo! S’è appena trasferita coi fiji e er marito. O sai chi è er marito, Mario?

    – Chi è, er sindaco?

    – Si, er papa! Ma che stai a’ di’? possibile che nun sai gnente? Oreste n’t’ha detto gnente?

    – Ma che me doveva dì? Se po’ sapè chi è sta bionda o stamo a fà i pacchi?

    – Che stamo a’ fa?

    – I pacchi, i ‘ndovinelli! Me dici chi è?

    – È a’ moje de uno, uno famoso.

    – Aridaje! A moje de Totti?

    – Si, de Bruno Conti!

    – È un calciatore?

    – Macché calciatore!

    – Uno d’a’ tv?

    – Manco ppegnente!

    – Un regista? ‘No scrittore? Un finanziere?

    – None, none none! Nun ce stai proprio!

    – Un politico?

    – Quasi.

    – Er sindaco?

    – Ah Mario ma n’ce senti? O me stai a cojonà?

    – Ah, io te starebbi a cojonà? A’ Cristià? Io? ma poi che me frega a me de sta stronza e del marito sua! Se n’è pure ita!

    – Ah Mario, co sta gente nun se scherza, stai ‘n campana! Statte attento!

    – Ma chi, co quella? Ma se n’c’avrà manco 20 anni?

    – E infatti che te sto’ a dì? Ar marito devi da sta attento!

    – Ma se po’ sapè chi cazzo è sto marito de sto cazzo? Eh? Chi è?

    – T’ho dico?

    – Ah Cristià e daje un po’!

    – Quant’anni c’hai Mario?

    – Si, tu sorella quant’anni c’ho!

    – Quant’anni c’avevi nell’80?

    – Lo dicevo io che stamo a’ fa i pacchi!

    – Dajè ma’, quant’anni c’avevi? ‘Na decina?

    – De meno. Famo cinque.

    – Se te dico Bologna e te dico due agosto e poi te dico

    – A Cristià e strigne un po’! Tu ‘na cosa me devi da dì!

    – A’ stragge de Bologna, Mario.

    – ‘Mbè?

    – Come ‘mbè?

    – Che vor dì?

    – Che vor dì? Er marito de quella c’entra ca’ stragge de Bologna!

    – Si, ‘n par de cazzi!

    – Eh, ‘n par de cazzi si!

    – Ma che stai a’ di! A’ cazzaro!

    – Cazzaro a me? A’ regazzì, n’te permette!

    – A stragge de Bologna, a’ Cristià? Ma che stai a’ dì?

    – A’ verità Mario, è a’ verità!

    – E chi tt’ha detto?

    – A parte che l’ho visto e se riconosce

    – Chi tt’ha detto, Oreste?

    – Che c’entra Oreste?

    – Tt’ha detto oreste?

    – Si vabbè ma che vor dì?

    – Ecco appunto capirai, Oreste! A stragge de sto cazzo, Cristià!

    – Mario sei proprio ‘n regazzino, comunque io t’ho avvisato, vedi che vuoi fa!

    – Me devo da sta attento Cristià’?

    – Te devi da sta attento si!

    – Sinnò poi arimette n’antra bomba vè? A Torpignattara Cristià? A’ stragge d’a’ Marannella, o magari a’ Policastro, a’ scola!

    – Scherza scherza, ma poi nun te lamentà! Co sta ggente nze sa mai, nun zo mica cambiati! Se so’ ripuliti ma so’ sempr’i’stessi! Ma che ne voi sapè tu, che ne sapete voi ggiovani d’e’ bombe e de sti zozzi che ‘e metteveno! Sai quanti ne pistavamo io e Oreste alla tua età? Erano artri tempi, e sai che te dico? Che se stava mejo allora, artro che!

    – Bella Cristià, se vedemo!

Pierluca D’Antuono, 16 marzo 2010

Face to Face! – Percival Everett (2)

Inseguire Everett. Questo ormai faccio da un po’ di tempo, da quando mi sono appassionato a questo straordinario scrittore americano pubblicato in Italia dalla Nutrimenti. Nel 2009 è arrivato negli Stati Uniti al suo venticinquesimo libro. Da noi è al suo quarto romanzo. Musicista, pittore, insegnante, ha tutte le caratteristiche di un uomo difficile da digerire eppure incontrarlo smentisce ogni presentimento negativo. Unico ostacolo, per ora insormontabile, le sue lapidarie risposte. Deserto americano è il nuovo lavoro per l’Italia.

Come nasce Deserto americano?

Non lo so, davvero. Per me è sempre difficile dire cosa ha scatenato un romanzo. I romanzi vengono fuori e basta. Qui per la verità ci sono di mezzo quei continui mal di testa che spesso mi rovinano le giornate. Sono così fastidiosi che ogni volta vorrei tagliarmi la testa. Non è un’idea così peregrina, in fondo.

Da quali stimoli interni o esterni ha preso spunto per il personaggio di Ted Everett?

Ted è di sicuro una miscellanea di persone che ho conosciuto e con cui ho avuto a che fare. Tra queste ci sono di mezzo anch’io. Per quanto ci provi non riesco ad alienarmi dai miei personaggi.

Lei ha un rapporto molto particolare nei suoi romanzi con gli animali, che tornano sempre anche solo come comparse a cosa è dovuto?

Ho imparato moltissimo dagli animali in quattordici anni di addestramento di cavalli, soprattutto che un cavallo non mi ha mai tradito oppure che un cane non mi ha mai mentito, al massimo qualche cornacchia mi ha rubato qualcosa.

Un romanzo diverso questo. Anche nella forma narrativa. Una volta messo il punto cosa ha fatto?

Sono sempre i romanzi a dettare e a imporre la forma. In più, io sono uno che si annoia facilmente. E proprio per questo lavoro molto sulla struttura e la forma in modo che ne venga fuori qualcosa di divertente per me che sto scrivendo. La forma è il modo più profondo per indagare la realtà.

In Glifo c’era il gioco letterario, in Ferito un linguaggio lirico- paesaggistico e ora qualcosa di più “pop” in un certo senso. Cos’è lo stile per lei?

Uno strumento al servizio di ciascun libro, a disposizione di ciascuna storia.

Cos’è la metafora?

Evito di cadere nel giogo della metafora perché so che mi fermerei a rielaborarla all’infinito, mentre invece tutta la mia propensione è verso la storia e la sua vita. Io creo delle storie e non veicolo messaggi personali in queste. La mia attenzione è tutta rivolta sul processo di creazione.

Morire e resuscitare, due verbi che si avvicinano più facilmente a Cristo. Lei è religioso? Crede nella resurrezione?

Non sono religioso. Per niente. Non lo sono mai stato e non lo sarò mai. Però morirei sarei disposto a bruciare sul rogo sapendo che il papa sull’aereo sta leggendo il mio romanzo

Essere morto e comunque vivere, come nel suo romanzo non è simile ad essere un fantasma? L’uomo secondo lei accetterebbe una condizione di questo tipo?

No, Ted non è un fantasma. Ted è vivo e morto. E da morto più vivo di quando era vivo. I lettori poi si faranno un’idea tutta loro sul suo stato. Per qualcuno sarà un morto vivente, per altri un fantasma per altri ancora semplicemente un uomo che non sa più se vuole essere vivo o morto.

Come definisce Ted? E cosa c’è di lei?

Direi che Ted è al 13 % Percival Everett. Il resto della composizione non è facile da analizzare. C’è un po’ di tutto, compresi alcuni scheletri nell’armadio.

Il protagonista nella prime pagine cerca la morte per cancellare le sue debolezze umane. La morte davvero cancella i debiti con la vita?

La morte cancella qualunque cosa ma non conferisce l’assoluzione. Direi che alla fine i conti non tornano.

Perché il cambio del titolo da Making Jesus a Deserto americano? Cosa ha pensato quando le è stato proposto?

Il mio editore americano è stato un codardo. All’inizio ho pensato Fuck You! E ho cercato di averla vinta. La seconda fase invece è stata più riflessiva e ragionandoci bene, ma da solo, ho creduto che il titolo avrebbe posto l’attenzione soltanto su un aspetto del romanzo.

Un aspetto interessante (e oramai anche troppo ovvio visto la nostra società) è l’accanimento mediatico: si può avere l’esclusiva sulla morte, sulla vita e lei pensa anche sulla risurrezione?

Sicuramente. È il loro mestiere. E forse siamo proprio noi a volere che sia così, ad agognare un tale grado di penetrazione nelle nostre vite. Un sistema di informazione di tale natura implica un analogo e compiacente sistema di ricezione.

Farebbero un reality per uno come Ted?

Strano che non ci abbiano già pensato. Che tristezza…

Cos’è per lei la privacy?

A questa domanda preferisco non rispondere.

Cos’è la normalità per lei?

Tutto.

Quanto è importante l’ironia nella sua vita? Che ruolo svolge?

Se c’è ironia in quello che dico o scrivo non me ne accorgo neppure. Senz’altro mi piacciono coloro che non si prendono troppo sul serio quando scrivono.

Se perdesse la testa e se la ritrovasse ricucita al suo funerale, quale sarebbe la prima cosa a cui penserebbe?

Morirei per la paura.

La morte fa ancora paura?

Veramente?!

Chi è il suo personaggio tipo?

Direi grasso, belloccio, sempre indaffarato e attratto dal gentil sesso. Oppure magrolino, ma sempre belloccio. Non so perché, è più forte di me.

Cosa legge?

Storia, filosofia, matematica e tutta la narrativa dei miei studenti, talmente tanta che evito di leggere quella contemporanea.

Come è stato il suo tour in Italia. Che rapporto ha con la nostra gente?

Voi italiani siete così vivi e pieni di energia. Siete animati da una curiosità sorprendente, genuina. Rimango stupefatto dalla vostra voglia di approfondire, sapere sempre di più e di immaginare nuovi sviluppi ed evoluzioni per qualsiasi cosa.

Perché dà risposte così brevi alle interviste?

Perché è così (ride).

Alex Pietrogiacomi