Nepente – #TUS2

nepenteIniziamo a pubblicare alcuni dei testi letti in occasione di Torino Una Sega 2. Cominciamo da Matteo Pascoletti, che a Firenze ha letto un estratto da La Peste di Camus e il seguente brano tratto dall’incipit del suo romanzo inedito Nepente.

Quando il Profeta inizia il vaticinio è davanti ai turisti seduti sui gradini della cattedrale di San Lorenzo, di fronte alla Fontana Maggiore in piazza IV Novembre.
Chiunque frequenti il centro storico di Perugia conosce l’uomo chiamato “Profeta”, dai concittadini stimato pazzo: un uomo magrissimo, il volto consumato dagli stenti, i capelli anzitempo canuti, lunghi e scarmigliati, lo sguardo coperto da ingombranti occhiali da non vedente; indossa una giacca di panno più larga di almeno due taglie, che spesso lo fa sudare come un febbricitante. Sotto la giacca indossa una maglietta bianca, sporca e consumata, e le gambe sono fasciate da jeans rattoppati alla bell’è meglio. Cammina senza esitare, a piedi nudi, mappe di carne su cui sono impresse distese di escoriazioni; è come se vedesse, eppure talvolta un passante è costretto a spostarsi per non urtarlo, compensando così la traiettoria del Profeta.
A giudicare da numero e qualità di aneddoti a riguardo, la presenza dei pazzi o presunti tali nel centro storico è un aspetto caratteristico di Perugia. Meriterebbe di essere narrata con dovizia di particolari la storia di quell’uomo che era solito percorrere le vie del centro storico a bordo di un letto a motore (sì, un letto a motore) e altre diavolerie che costruiva ispirato da chissà quale genio. In parte la città sta rimediando alle proprie lacune. All’uomo del letto a motore, per esempio, sono ora dedicati un premio per le invenzioni, un festival e un’associazione che cura il recupero di un patrimonio culturale altrimenti destinato all’oblio. Di recente una guida per turisti e studenti stranieri, diffusa nei locali del centro, ha dedicato un capitolo intero alle figure caratteristiche Leggi il resto dell’articolo

Pubblicità

La società dello spettacaaargh! – 14

[La società dello spettacaaargh! 1 – 2 – 3 – 4 – 5 – 6 – 7 – 8 – 9 – 10 – 11 – 12 – 13]

Caro Jacopo,

grazie per il tuo ultimo articolo, ho avvertito nelle tue parole uno spirito e una profondità inedita, rispetto agli altri. Non che negli altri non fossero presenti spirito e profondità. Solo che ho avvertito più Jacopo, qualcosa che muoveva maggiormente verso l’espressione della tua totalità. Forse dipende dal fatto che hai parlato sì di linguaggi, dinamiche eccetera, ma ne hai parlato unendo il piano linguistico a quello empirico, muovendo dalla tua esperienza diretta, molto aaargh! delle parole della FDN, restituendo la complessità di una gestalt che comprende il piano semantico di quelle parole e le possibilità insite nell’esperienza di quelle parole. Una gestalt che non mi piace particolarmente per tutta una serie di ragioni, molte delle quali convergono con le tue analisi; sarebbe inutile da parte mia aggiungere uno o due dettagli in più alle tue considerazioni. Leggi il resto dell’articolo

PAGA PAPA’

Ouzo, i manifestanti, bere posson mica berlo: glielo vietano i precetti coranici.

L’ouzo è quel liquore che lo trovi un po’ in tutto il Mediterraneo, paese che vai nome che cambia ma la sostanza è sostanzialmente la stessa: distillato di anice.

Il turco raki. La francese anisette. L’italica sambuca. Il greco ouzo. Una faccia un liquore una razza, le genti mediterranee.

Ora te ne racconto una sulla sambuca: il suo nome non deriva dal sambuco. O almeno non deriva dal sambuco nel modo che pensi tu.

Perché sambuco ce n’è mica, nella sambuca: anice, invece sì.

In arabo sammut, zammut, è il legno del sambuco. Con quel legno viene manufatto uno strumento musicale, lo zamr, in italiano si chiama sambuca ed è una specie di oboe col suono attutito, come il vocio delle genti quando sei ubriaco.

La sambuca, ubriacare ubriaca che è una bellezza.

Nel milleottocento-e-qualcosa capita che un certo Luigi Manzi, garibaldino della prima ora, dalle parti di Sapri veda i contadini lavorare per la strada, faticano e sudano e per dissetarsi attingono con una cazzuola da certi secchi di acqua ed anice che portano sulle spalle, in equilibrio su certe assi di legno di sambuco, dei tipi chiamati sambuceti.

Manzi impazzisce per quella miscela di sapori, un giorno sbarca a Civitavecchia e s’innamora di quella città, in Piazzetta Santa Maria apre un piccolo stabilimento di produzione di liquore di anice, sambuca la chiama, ha un grande successo: anche Garibaldi, passando per Civitavecchia, ne rimane folgorato.

Poi passano gli anni, c’è la guerra, le bombe distruggono la città e la piccola fabbrica che va sull’orlo del fallimento, se ne prende a cuore le sorti il commendator Molinari: nasce così, la sambuca Molinari. Quella chiara, extra, quoram.

Chiaro, no? Extra. Quoram. Che cosa significhi s’è mica mai capito, poi.

Zammut, sambuco, sai chi ci si chiama? Paul. Paul Zammut è il presidente di una squadra di calcio, il Birkirkara Football Club, son maltesi. Il Birkirkara nel duemila per la prima volta nella sua storia vince lo scudetto, e Zammut deve essere un tipetto peperino, pacioccone e con le manie di grandezza, lo spirito del provocateur e una certa insana passione per la sambuca, il raki, l’ouzo e tutti quei liquori che ti fan dire le cose che è bene non dire, se non vuoi sentirti dare del pazzo.

Giù un sorso, invece, e dàgli di proclamo: abbiamo ingaggiato per la prossima stagione Al-Saadi Al-Gaddafi, il terzogenito del Colonnello, del Padre della Rivoluzione, il leader libico, dice ai giornalisti. Mica è vero.

Al-Saadi, bisogna riconoscerlo, è una mezzaséga, calcisticamente parlando. Non è che significhi molto essere capitano dell’Al-Ahly Tripoli, della Nazionale, Presidente della Federcalcio: mica vale, se tuo padre si chiama Muhammar Gaddafi e di mestiere fa il dittatore. E comunque, col Birkirkara non c’ha mai giocato.

Luciano Gaucci, anche a Luciano Gaucci come al suo collega Zammut deve piacergli assai la sambuca, magari l’ha conosciuta quando andava a Civitavecchia a trattare l’acquisto di Emanuele Blasi. Giù un sorso e dàgli di proclamo: abbiamo ingaggiato per la prossima stagione Al-Saadi Al-Gaddafi, il terzogenito che già l’abbiam sentita, questa storia, solo che nel caso di Gaucci e del Perugia, ecco, era vero. Che c’è pure stato un mezzo caso diplomatico, ché il Governo di Tripoli era proprietario del sette per cento del pacchetto azionario della Juventus, mica puoi essere proprietario di una squadra e giocare per un’altra, bisogna mettere il pacchetto in standby, che papocchio!, ma anche quanta pubblicità, per Gaucci.

Saadi con la maglia dei grifoni gioca una sola partita, proprio contro la Juventus, pensaté, non è che brilli per classe cristallina, anzi. Si becca pure una squalifica per aver assunto degli steroidi.

Dopo due anni di Perugia va a fare il saltimbanco a Udine, una stagione e nessuna presenza, poi a Genova sponda Sampdoria, dove c’è Garrone che col petrolio ci sa trattare, coi figli dei leader libici un po’ meno, anche là zero presenze ma, in compenso, un conto di quasi quattrocentomila euro al Grand Hotel Excelsior di Rapallo lasciato così, insoluto. I calciatori, si sa, fanno la bella vita: suite imperiali, camerieri guardie del corpo ed addestratori di cani da combattimento al seguito, si tratta bene Al-Saadi, mica dorme nella tenda beduina, lui, astice e sciampagna prima di andarsene così, dicendo paga papà, solo che papà non paga, l’ambasciata fa le orecchie da mercante e al Grand Hotel Excelsior bisogna andare in tribunale, una storiaccia, insomma.

Al-Saadi con gli alberghi gli dice sempre malissimo: nell’Hotel Ouzo, a Bengasi, quell’albergo col nome di liquore proibito, è stato costretto a rimanersene asserragliato mentre fuori il popolo gridava il regime non lo vogliamo più. Non vogliono il regime, figurarsi Al-Saadi sindaco di Bengasi.

Nel duemila, prima che il Birkirkara annunciasse l’acquisto della brillante mezzala, l’Al-Ahly di Tripoli va a giocare in casa dell’omonima compagine di Bengasi. La squadra di Al-Saadi è sotto per una rete a zero, l’arbitro regala due reti agli ospiti e non serve a niente indignarsi, vince sempre chi comanda. Non foss’altro per il bene supremo della nazione.

Qualche settimana dopo l’Al-Ahly di Bengasi gioca contro l’Al-Bayada, che è la squadra per la quale fa il tifo la madre di Al-Saadi. Anche là, torti arbitrali. I tifosi non ci stanno, e a fine partita dan fuoco a tutto quello che gli passa sotto la rabbia, macchine cassonetti cartelli stradali; la polizia spara sulla folla per sedare il moto d’insurrezione. Il giorno seguente, i tifosi del Bengasi fanno sfilare per le strade un somarello con la scritta Al-Saadi sulla groppa.

La sede del club viene spazzata via con i bulldozer. Tre tifosi vengono arrestati per aver complottato contro la gloriosa rivoluzione libica e contro il suo leader. Bendati, vengono condotti davanti ad un plotone d’esecuzione. Pena di morte. Il plotone non arriverà, nessuno sparo risuonerà per le vie della città cirenaica.

Tortura psicologica. Il potere logora chi non ce l’ha.

Fuori dall’Hotel Ouzo i manifestanti urlano che il regime non lo vogliono più. Non sono ubriachi, posson mica berli certi liquori proibiti. Sono solo incazzati.

Al-Saadi sindaco di Bengasi lo diventerà mica mai. Costretto alla fuga, lascia il conto in sospeso.

Pagherà papà, dice.

Pagherà, eccome se pagherà, è il pensiero un po’ di tutti.

 

Fabrizio Gabrielli

Poesia precaria (selezionata da L. Piccolino) – 14

Il tour che ha portato il collettivo Scrittori precari in giro per l’Italia è stato tutto un incontrare e conoscere.

Con Andy Q. ci siamo visti durante l’ultima data, nella Repubblica di Frigolandia, in provincia di Perugia.

Il Caro Andy, parlando parlando, mi disse di avere la passione del verso ed io, da parte mia, gli chiesi di spedirmi qualcosa per la rubrica del lunedì.

Ci è voluto un po’. Io e lui abbiamo scoperto di non essere molto coordinati.

Mi ha scritto su myspace e io ho letto dopo un mese. Mi ha mandato una mail, ma si è persa nei meandri di una bufera subtropicale che ha tagliato le comunicazioni per qualche ora.

Colpa mia e colpa sua, dunque. Nel caso della bufera colpa di qualcuno più in alto, forse. Ma andiamo avanti parlando di cose serie.

La poesia di Andy appare potente e senza fronzoli. Comunque non mi permetterei di considerarla essenziale.

La padronanza e la consapevolezza che questo autore innegabilmente possiede, fanno sì che egli possa scalare senza remore o tentennamenti le chine poetiche che gli si parano innanzi.

Musicalità, immagini forti e soprattutto sensazioni forti. Poesie fatte di materia, carne, sangue, lacrime, cuore e molto altro.

La realtà presente sembra avere i toni del grottesco e va ad incastonarsi come una gemma difettosa su un anello di finto oro.

Palese è la letteratura di riferimento a cui Andy evidentemente si ispira. Ma il suo personale modo di interpretarla e rinnovarla fanno pensare a un percorso evolutivo tutt’altro che finito.

Staremo a vedere.

Buona lettura.

Luca Piccolino

ORE MASTICATE

il cibo tra i denti

le ore masticate

l’armonia della quiete nel ferro congelato

nessun tramonto nella notte delle stelle indifferenti

calici di ulivo vivo non ancora colto

fiori ingenui si colorano d’inverno

vapore nel nostro respiro

che aspira linfa nello splendore

un’ erezione improvvisa toccando erba di campo

e le ciminiere fumano più di noi

ma in lontananza sono sole

travestite da formichieri della quotidianità

mai sazi di disperazione

gocce di birra sul corriere regionale

gocce di birra sugli annunci delle troie private di provincia

numeri su numeri

calcoli su calcoli dentro tumori morali in via di putrefazione

il vescovo non vuole il sexyshop

la città se ne fotte

treni in ritardo dentro valigie vuote

cani affamati alle discariche dei ristornanti di lusso

la luna nasconde il proprio sesso e non ci degna di Luce

e la notte finisce con l’ultimo sorso

aborto dell’addio

frutto malato di arcobalenica muffa

ruggine nel terzo occhio

pittura su odio nella pupilla del terzo occhio

guanti anti-omicidio

san valentino nell’aorta strappata

sputeremo sangue alla parata degli attimi fuggenti

cibo tra i denti

ore masticate

sangue coaugulato nel dna della miseria

fazzoletti con sborra incollata

catarro che galleggia nel cesso

siamo i soliti esseri perfetti in una realtà decadente

Andy Q.