Amianto – una recensione poco ortodossa

67Aamianto Amianto. Una storia operaia (Agenzia X)
di Alberto Prunetti

Alberto Prunetti l’ho conosciuto quando, negli anni Novanta, si andava alle riunioni un po’ clandestine nella sede piombinese della Federazione Anarchica Elbano Maremmana. Al contrario del sottoscritto, mingherlino e un po’ intimorito, lui era grande e grosso, a dir poco dirompente, proprio come lo ritrovo nelle prime pagine di Amianto. Una storia operaia (Agenzia X, 2012), quando si avventura nei campetti per calciatori forgiati nel metallo, dove il gol non serve tanto a vincere quanto piuttosto per sopravvivere (per non cadere spintonato nel cemento a grattugiarsi le ginocchia con chissà quali scorie). Leggi il resto dell’articolo

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Luciano Bianciardi o il lavoro culturale dal Boom alla crisi, conversazione tra uno scrittore precario e un critico impuro.

di Sonia Caporossi e Simone Ghelli

Sonia: Luciano Bianciardi a me è sempre sembrato un autore in qualche modo esemplare, meritevole di fregiarsi del titolo di “maestro” all’interno del panorama letterario italiano per gli scrittori della nuova generazione. In particolare, la sua opera ha espresso la reazione del giovane intellettuale di provincia di fronte al difficile momento di trapasso dalla letteratura ufficiale ed altisonante del fascismo propagandistico al neorealismo e poi al Boom economico degli Anni Sessanta. Questo perché con la sua stessa vita ha esemplificato la figura di ciò che può essere definito “l’intellettuale disintegrato”.

Simone: Sì, ed oggi sembra che rappresenti, con ritardo (e quindi anticipandola), la condizione di molti…

Sonia: Nel senso della disintegrazione sociale e intellettuale di molti giovani lavoratori culturali?

Simone: Penso più all’aspetto lavorativo, quindi alla disintegrazione, sì… Alla disgregazione. Oltretutto la sto vivendo sulla mia pelle, questa cosa, anche dal punto di vista degli affetti. Fino ad oggi non avrei mai pensato che la mia condizione di intellettuale precario, o di precario tout court, potesse costituire un problema, ma di fatto è così; e Bianciardi, come Piero Ciampi, questa strada piena di scosse e buche l’ha percorsa tutta. Era uno sradicato, in un certo senso, anzi, in tutti i sensi. Leggi il resto dell’articolo

L’ascensione di Roberto Baggio

A me a un certo punto il calcio cominciò a fare schifo: ci giravano troppi soldi, soprattutto troppe chiacchiere. Tutte quelle trasmissioni che parlavano sempre delle solite squadre, quelle che contavano, mi disgustavano: non c’entravano niente con la gioia che provavo da bambino nel comprare le figurine Panini, nell’ammirare i volti dei gregari o degli attaccanti che con i loro gol salvavano le squadre di provincia; perché io ho sempre tifato per quelle, con una breve parentesi interista (guarda caso quando l’Inter non vinceva mai e ne buscava sempre al Santiago Bernabeu). Poi, un giorno, successe qualcosa: stavo tornando da Siena verso Roma, quando alla radio arrivò il pareggio del Como contro il Livorno. Era il 2004 e ancora una volta venivamo beffati sul più bello: 3-3 all’88’ e tutti a casa a sognare la serie A in televisione. Spensi la radio con rabbia e imprecai tra le curve della Cassia, stonando con quel paesaggio idilliaco di cipressi e terra grossa. Dopo poco, quasi per forza d’inerzia, la riaccesi, e quello che sentii fu roba d’altri tempi, degna d’un’epica che il calcio sembrava aver smarrito in mezzo alla fiumana di vaini (i labronici li chiamano così, i quattrini): il Livorno aveva vinto con gol di Vigiani al 91′ e di Cristiano Lucarelli al 93′! Cristiano Lucarelli: quanto tempo l’avevamo atteso, e le gioie e i dolori che ci ha dato con la maglia amaranto son bastati a ripagarmi di tutto lo schifo di quel calcio che non mi garbava più (penso che ci vivrò di rendita, e che continuerò ogni tanto a rivedermi i suoi gol e il suo modo di festeggiare col pugno alzato, e quell’onda d’urto che era il Picchi, con tutta la simbolica e la mistica comunista esposta in curva).
Tutto questo giro di parole per dire che la stessa sensazione, lo stesso magone, m’è venuto a leggere questo libro scritto a quattro mani da Salimbeni e Santoni: dietro la storia di Roberto Baggio, eterno eroe mancato, si respira un’epica che ricorda il calcio d’altri tempi, anche se di anni ne son passati pochini. Inutile dire che per come son fatto io, mi sono particolarmente innamorato delle pagine sul Brescia di Carletto Mazzone, perché in quella squadra di gregari che giravano intorno al loro condottiero, prima disonorato e poi risorto in provincia, non potevo non leggerci in controluce anche la storia d’amore tra Cristiano Lucarelli e la maglia amaranto.
E allora godetevi questo incipit, e poi leggetevi il libro, che è una poesia per i piedi e per le mani: e non pensate che non c’entri niente il calcio con la letteratura – o vi siete già dimenticati di Ezio Vendrame che in pieno fuorigioco lancia a Piero Ciampi i suoi versi? Leggi il resto dell’articolo

Filmare dal basso

I ragazzi di TodoModo li conosco ormai da anni, ho apprezzato i loro lavori (soprattutto il documentario su Piero Ciampi), e per questo rilancio con entusiasmo questa loro nuova iniziativa “dal basso”: la realizzazione di Bimba col pugno chiuso, che sarà in lavorazione fino al primo febbraio 2012. Il documentario verrà finanziato attraverso l’acquisto di quote, per un valore minimo di 10 euro, in cambio delle quali si riceverà, nel maggio 2012, il DVD che avremo così contribuito a produrre. Leggi il resto dell’articolo

Diario di bordo – Casa del Cuculo

Grazie. Grazie. Grazie.

Non ho dormito abbastanza, ma questo malditesta è il più bello di tutto settembre. Il reading degli Scrittori Precari nel salone del Cuculo, il salone in cui suono e dormo e Gianluca impara a camminare e alle pareti le facce e i piedi e i culi dei quadri di Marcello, Marcello babbo di Gianluca pittore violinista muratore elettricista, capomastro che mi manda a prendere mattoni con la carriola per costruire panche con le travi di legno avanzate, e poi le lampadine che pendono dagli alberi e Finzioni che pende dagli alberi e il vino e la pasta al forno, Roberto Bartoli che a un certo punto azzoppa il contrabbasso e Giacomo Toni che mannaggia a lui si conferma il più grande cantautore che Forlimpopoli abbia mai partorito. Forlimpopoli sembra Paperopoli. “Da Forlimpopoli a Frigolandia” sarebbe un titolo bellissimo, dice Simone Ghelli. Anche I nudi del cuculo è un titolo bellissimo.

I vicini dicono che alla Casa del Cuculo facciamo le orge. Mia mamma dice che alla Casa del Cuculo se non c’era il babbo della Sara col cavolo che finivamo di costruire la stanza della Sara e di Bicio, la stanza che in questi giorni è un bar. I baristi non li paghiamo, i parcheggiatori nemmeno, abbiamo una rete di volontari che si accontenta di un piatto di pasta al forno. Gli artisti li paghiamo. Poco, ma li paghiamo. Perché alla Casa del Cuculo diciamo che siamo artisti, ma non ci crede nessuno. Non ci paga nessuno, soprattutto. Andate a lavorare. Fosse un lavoro, organizzare festival in cui la gente dorme in salone e scopre Giacomo Toni e gli Scrittori Precari e Fuochi e Roberto Bartoli, io mi farei assumere abbastanza subito. Ci piange il cuore a farvi pagare 10 euro, ci piange il cuore a parlare di soldi, ci piange il cuore a finire nel mirino del fucile del vicino. Poi parte la musica, e la smettiamo di parlare.

Gli altri, non lo so. Io ho fatto questo festival perché volevo – adesso uso un verbo evangelico – condividere. Ecco, l’ho detto. Condividere. Gianluca e Angelo e Simone e Luca, e poi Roberto e Giacomo e un altro Roberto e Daniele e Giuseppe e Alexa e Thea e Michele ed Enrica, Alice e Camilla e Jacopo e Charlie, io vi metterei tutti intorno a un tavolo, poi toglierei il tavolo e vi abbraccerei. Poi chiamerei tutta la gente che posso e direi:  Sentite come suonano i miei amici, guardate cosa fanno e rendetevi conto di quanto talento c’è nei loro corpi, vorrei spogliarli per farveli vedere meglio, e allora nudi, al Cuculo, I Nudi del Cuculo. Una mia amica esce dal concerto di Giacomo Toni e mi dice che ha appena scoperto il suo cantautore preferito. Ecco.

C’è il solito Tom Waits: ovunque appoggerò la testa/quella è casa mia. Casa mia è un posto dove i piedi si induriscono e un piatto di pasta si trova sempre, rimanere soli è un’impresa, nascondersi è impossibile e  sono rimaste due dita di caffè nella moka. Casa mia è casa nostra, e a casa nostra questo fine settimana c’è tanta di quella gente che non sappiamo dove metterla, e io sto davvero bene. E’ per questo che scrivo cazzate. Lunedì mattina scenderò dal letto e sarà terribile, sicuro che piove e i mattoni mi tocca rimetterli a posto nel fango. Poi dovrò inventarmi un articolo plausibile per il giornale, e scrivere di Addis Abeba per Finzioni e recensire un libro per Finzioni e il libro non solo non l’ho letto, non l’ho proprio scelto. Di cosa parlerà la prossima puntata della mia rubrica su Finzioni? Ecco, magari non ve ne frega nulla, son problemi miei. E infatti la smetto.

E’ mezzogiorno e mezza, tra dieci ore un mio amico leggerà l’Odissea in mezzo agli alberi, gli alberi che vedo tutte le mattine da due mesi, e questa mi sembra proprio una fortuna. Verrà mia mamma stasera, e mio babbo, e i miei zii, vedranno Angolo T e non capiranno nulla, mi chiederanno di andare in bagno e io dovrò a spiegare a mia zia – 60 anni, milanese, professoressa di Scienze in pensione – che il bagno del Cuculo, ecco, è meglio di no. Vai tra gli alberi, zia. Laggiù, dietro la lampadina. Se è un bisognino lungo, puoi leggerti nel frattempo una copia di Finzioni. Ecco, mia zia che si pulisce il culo con Finzioni è una di quelle turbe para-edipiche che non mi faranno dormire stanotte, e avrò malditesta pure domattina.

E’ mezzogiorno e trentacinque e gli Scrittori Precari sono di sotto ad aspettare il mio contributo alla faccenda, perché poi partono per Frigolandia. Dal Cuculo a Frigolandia. Un bel titolo. L’ho già detto Grazie? Sì, all’inizio. Tre volte. Lo dico anche alla fine. Grazie.

Simone Rossi

Casa del Cuculo, 25 settembre

Le metropoli alle spalle, ci si rigenera e si prende un po’ d’aria buona nei polmoni. Il paesaggio intorno è bellissimo e noi siamo stanchi ed esauriti, ma carichi. Sono troppi giorni che stiamo insieme, a stretto contatto. Avremmo tutti bisogno di un po’ di solitudine, di un po’ di spazio e di tempo. Mancano le ultime due serate da fare, ma possiamo cominciare a tirare le somme.

Il nostro tour è andato benissimo, un gran successo. Abbiamo portato in giro il nostro progetto, la nostra letteratura. È stata proprio una bella avventura, e non è ancora finita.

Arriviamo con un po’ di fatica alla Casa del Cuculo, tra il tom tom impazzito e Luca Piccolino che credono di conoscere la strada ma ci portano ad attraversare decine di rotonde, senza mai farci trovare la nostra. Fortunatamente chiedendo in giro alle persone, riusciamo a raggiungere la strada giusta, dove per caso incontriamo Enrica in macchina che ci scorta fino in casa dove ritrovo il mio caro amico Simone Rossi. Baci e abbracci quando ci rincontriamo. Ci raccontiamo un po’ di cose, ci organizziamo, si mangia, si beve vino e poi finalmente giù nella sala del reading. Pubblico numeroso, una quarantina di persone, attentissime. Zab non è in forma, sembra preoccupato, non legge come al solito, ma conquista come sempre il pubblico. La serata continua con un doppio concerto, Roberto Bartoli, un contrabbassista eccezionale, e lo spettacolare cantautore Giacomo Toni. Una splendida serata.

Dopo il concerto, una decina di musici improvvisano una jam session. Ma io avevo bevuto troppo vino, che accumulato alla stanchezza ed al freddo, mi avevano fatto addormentare. E sono andato a letto. Contento. Contentissimo.

Prossima tappa, l’ultima, a Frigolandia, da Vincenzo Sparagna, uno degli ultimi intellettuali italiani veri che ci sono rimasti.

Curiosità, abbiamo conosciuto una ragazza che era sia qui che a Bologna, allo Zammù. Una fan? Ma che! Non è purtroppo riuscita a sentirci nemmanco una volta…

Gianluca Liguori

La provincia e i piccoli centri in genere mi hanno sempre dato migliori emozioni.

La mia esperienza letteraria si è sempre svolta per la maggiore nella mia città e, al massimo, in altre città, come quelle che abbiamo visitato in questo nostro primo tour insieme. Ma, a volte, i grandi agglomerati urbani disperdono l’interesse delle persone ed è normale. Ci sono tante di quelle cose in giro che è anche difficile sapere che ci sono, chiedo venia per il miserevole gioco di parole.

Penultima data dunque.

Il posto dove leggeremo si chiama Casa del Cuculo e non è un locale. E’ uno splendido casale nel cuore della Romagna, dove un gruppo di operosi promuove iniziative e progetti.

Siamo accolti da volti sorridenti e modi gentili. Da lasagne e Sangiovese

Il luogo del reading è uno stanzone grande con tappeti a terra e uno splendido camino. L’acustica è perfetta così, non occorre microfono.

C’è un bel po’ di gente. Iniziamo a leggere. Il buon Simone Rossi ci accompagna con la sua chitarra e quello che vien fuori, a parer mio, è una bella lettura. Mi è sembrato di capire che i presenti fossero dello stesso avviso.

Poi, dentro e intorno al casale, ancora musica, spettacoli, ancora un po’ di vino e chiacchiere.
Il subcomandante Liguori, mentre eravamo in viaggio aveva detto: “Sono troppi giorni che stiamo insieme, siamo scrittori e succede che ci manca quell’isolamento che ci è necessario!”. Aveva parlato così perché io e il Ghelli continuavamo litigare (chiaramente non sul serio).

Però quelle sue parole un fondo di verità lo avevano.

Stiamo da dio insieme. Non solo ci divertiamo, cresciamo giorno dopo giorno come collettivo. Ci uniscono gli intenti, l’attitudine, il cuore e l’amicizia. Le idee vengon fuori naturali e non vediamo l’ora di condividerle e migliorarle insieme. Questo per dire che non fa discutere il desiderio di isolamento che a volte prende uno di noi.

Questo è il posto adatto. Il luogo che serve a riordinare quel che ci frulla in testa.

Così il Ghelli sparisce, Zabaglio e Liguori mi dicono che non hanno idea di dove sia. Poi anch’io mi allontano da loro per disperdermi a mia volta.

Luca Piccolino

E’ la terra del bianconiglio. Io non ho la testa per scrivere il diario. Non li ho mai scritti. La fantasia mi ha sempre salvato dalla realtà. Non troviamo la strada per il “Nudo del cuculo”. Chiediamo indicazioni ad un tronco di “generico albero”. Il buon uomo di legno utilizza i rami come fossero braccia e dita. Siamo in auto ancora quando una Punto cade dal cielo con dentro gli organizzatori del festival che ci ospiterà, due ammortizzatori schizzano via colpendo il vetro della nostra macchina. Arriviamo all’enorme casale sulle montagne, un’aria che mi rigenera. Gli atomi verdi e gialli penetrano come formichine nei pori delle pelle. Il frikkettonismo avanza. È un aquilone colorato che rimane in cielo anche senza vento. Nel locale c’è una grande scimmia con uno spazzolino tra le mani che continua a fissarmi. Il suo pelo è immobile e marrone. I suoi occhi sorridono. Rivedo la Tostoini che di solito leggo solo su msn ed ora sta parlando ad una vespa dicendole: “Vai via, non mi piaci, vai via”. Qui il verde è accogliente, le anime buone sorridono e mi trovo stranamente a mio agio nella mia svogliata non voglia di sorridere. Entriamo nella grande stanza dove dovremo leggere, la gente si siede, noi iniziamo le letture, le mie parole si fondono con le note di Simone Rossi alla chitarra. Il pubblico ci ascolta e sorride. I loro sorrisi mi danno gioia per qualche minuto. Ridere è sovversivo. Ma oggi mi sento un reazionario.

Andrea Coffami

Stamani mi son svegliato col culo di traverso, come si dice dalle mì parti, perché gli altri dormono come orsi e io mi rompo ad aspettare. Piccolino se la prende con me perché ho lasciato la finestra aperta e gli s’è incriccato il collo, poi attacca un pippone sulla storia della musica. Anch’io son d’accordo che a toglie Springsteen non si farebbe torto a nessuno, ma gli faccio notare che col suo metodo rischiamo di tenerci solo i Beatles.

Ci lasciamo il cielo grigio di Milano alle spalle che è già ora di pranzo, e così al primo autogrill mi ritrovo con Zab a riempire una baguette coi salamini in saldo proprio come all’andata.

La Casa del Cuculo è un posto splendido in mezzo alle colline romagnole, ma prima di arrivarci giriamo decine di rotatorie, alla ricerca di quella di Forlimpopoli col busto di non so chi, e finiamo in una strada sterrata tra cani incazzati e vigneti deserti e col Liguori che fa il pilota di rally suo malgrado. L’accoglienza ci ripara però abbondantemente di tutti i chilometri fatti: si mangia e si beve in una cornice da Decameron, poi scendiamo in un salone allestito appositamente per noi, dove leggiamo tra un pubblico attento seduto in mezzo a tappeti ed arazzi. All’uscita ci attendono altri spettacoli, così mi lascio cullare dalle note di un contrabbassista che si dimena sotto al cielo stellato, e poi da quelle di un bravo cantautore che cita anche Piero Ciampi in una canzone dedicata al nord est: Andare, camminare, lavorare, ma stasera ci fermiamo un po’, che stasera ci sentiamo veramente a casa….

Simone Ghelli