Poesia precaria (selezionata da L. Piccolino) – 20
gennaio 22, 2010 4 commenti
Rivolgo spesso ad Arianna Orelli parole del tipo: “Tu sei la mia poetessa preferita.”
In queste occasioni lei mi guarda, ride e mi dice che la sto prendendo in giro.
In realtà ho sempre e solo detto come la pensavo.
Non mi importa se Arianna non è famosa e riconosciuta. Non mi importa se qualcuno mi accuserà di esagerare.
In questo spazio, nei limiti del buon senso e dell’educazione, mi sento libero di esprimere i miei pareri che, appunto, sono miei e non hanno intenzione di influenzare o giudicare nessuno.
Perciò sì, rivendico le mie affermazioni: Arianna Orelli è la poetessa più talentuosa ed efficace che conosco.
Il suo modo di approcciarsi alla scrittura mi convince e mi appare onesto, corposo, passionale, schietto, forte ed elegante.
Arianna non è difficile da leggere. Il suo linguaggio è alla portata di tutti ma non si può certo definirlo banale o poco ricercato.
I suoi versi sono carne viva, cellule che da loro stesse si riproducono in forme sempre nuove.
Fuori dal comune, la musicalità naturale di cui sono pregne le parole che snocciola.
Ho chiesto ad Arianna di mandarmi una piccola biografia da allegare a questa scheda.
Lei l’ha presa forse troppo seriamente. D’altro canto ciò che ha scritto è un vero e proprio ritratto di se e della sua poesia.
Meno lavoro per me dunque, che come sempre auguro una buona lettura ai fruitori di questa rubrica.
Apertura abnorme
Aperta vado
fra esalazioni stentate e
spaventi di piacere.
Aperta mi stendo
al suolo faccio dono
di tutte le mie erbacce
e delle dita spezzate.
Aperta mi adagio
sui tuoi pensieri vaghi
e distanti
sulle tue fantasie blande
con il dito sulla bocca
sulle tue parole bianche
e la calda ammirazione.
Così, aperta e penetrabile
m’infioro
di ciò che non sarà
m’impasto
di ciò che già t’ho preso
m’ allungo e mi squaglio
sotterrandomi fra le radici.
Aperta mi nascondo
ché temo d’essere annusata
del mio odore più vero
e sento che questo batter d’ali in lontananza
è troppo
è già troppo da sentire.
Aperta non dormo
e non veglio
ma solo mi adagio
sulle tue fantasie blande
con il dito sulla bocca
tutte tese a chiudermi
e ad avermi
a chiedermi
senza volermi.
Arianna Orelli nasce a Roma nel 1977, anno “caldo” degli anni ’70, dai quali ha probabilmente ereditato il subbuglio, il calore, la tenacia. Non è romana di 7 generazioni. I suoi genitori provengono dagli Appennini Umbro-Marchigiani e dalla Sabina. Da queste radici discende la fisicità delle sue parole, nelle quali la terra fumante s’impasta con il sentire.
Ha scritto la sua prima poesia, dal titolo Alla Luna, all’età di 8 anni. Da allora non ha mai smesso, attraversando ciclici periodi di stallo, peraltro sempre rispettati. La poesia per lei non è infatti artificio o sforzo, ma semplicemente vita, che va presa come viene e quando viene.
Durante gli studi liceali incontra Novalis, il Dolce Stil Novo, Rimbaud, Baudelaire e gli altri, ma è con la poesia russa che s’instaura una lunga storia appassionata che ha inizio con Majakovskij, passa per Anna Achmatova ed approda a Pasternak e Cvetaeva. Diviene poi onnivora, individuando alcuni modelli di riferimento, soprattutto emotivi, quali Alda Merini, Pablo Neruda, Vivianne Lamarque, Mario Benedetti, Sylvia Plath, Bertolt Brecht.
L’adolescenza e la giovane età adulta la spingono fortemente verso l’interno e la scrittura diviene allora veicolo d’espressione, sublimazione e liberazione da se stessa.
Non evita le emozioni, ama profondamente l’animo umano e scorrazza fra le metafore. Per questi ed altri ben più complicati motivi sceglie di dedicarsi alle “arti” della psicologa e della psicoterapia, tanto vituperate da una certa intellighenzia spaventosa e spaventata.
La scrittura, la sofferenza, l’esistenza, così come la terapia e la possibilità della gioia sono in lei aspetti indissolubilmente legati. A volte in lotta, talvolta alleate, tutte queste esperienze animano un mondo fatto di menti-corpi-relazioni in cui il “male al cuore” e il “bene al cuore” si alternano dinamicamente o bruscamente, dando vita ad una poesia sensibile e terrena.
Negli anni 2000 collabora con Rizoma e Ricerca di Strano, pubblicazioni indipendenti ed esperienze d’amore e d’amicizia, all’interno delle quali incontra poeti, scrittori e musicisti, cresce e riceve numerosi riconoscimenti. Da questo momento in poi la scrittura diviene in lei meno naif e maggiormente intenzionale.
In continua e silente evoluzione cerca attualmente di sfatare il mito della “maledizione poetica”, combattendo il sex appeal sado-maso della scrittura come liberazione dalla sofferenza, come esercizio masturbatorio, alla ricerca di una soluzione di sintesi fra opposte fazioni, di superamento del conflitto fra arte e vita.
Vive e lavora a Roma, scrive dappertutto, ma l’ispirazione migliore la coglie spesso in macchina, davanti a un semaforo rosso, quando l’asfalto e il cielo si mescolano alle parole.
Prima o poi, magari, pubblicherà una raccolta dei suoi scritti, seguendo affettuosi consigli.
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