Guida per riconoscere il tuo precariato

uomo cricetodi Matteo Pascoletti

Allora tu forse vuoi la storia genere Oh Come Mi Sento Vicino Al Protagonista E Alle Sue Sfighe Quotidiane Speriamo Che Alla Fine Ce La Faccia Perché È Un Tipo In Gamba Proprio Come Me, vuoi l’io narrante, l’io narrato e, per non annoiarti troppo, vuoi pure l’io copulante e la lei copulata. Vuoi il tizio che lavora al call center o il tutor in una scuola parificata, vuoi il procacciatore di contratti, lo schiavo Co-Co-Dè: lo vuoi vessato, sfruttato, disperato. Vuoi il mobbing, l’alienazione, vuoi il confine tra lucidità e follia farsi sottile e tagliente come lama di rasoio sporca. Vuoi che in mezzo a tutto questo sturm und crash sbuchi la provvidenziale dose di riscatto, vuoi il protagonista che trova l’aiuto insperato e dà fondo a ogni energia rimasta, vuoi che approdi al lieto fine contro ogni previsione, vuoi chiudere il libro pensando «oh, allora c’è speranza, lo sapevo, il mondo non è poi così brutto come sembra, stanotte posso dormire tranquillo».
Col cazzo. Leggi il resto dell’articolo

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Dimmi cosa c’entriamo noi con queste storie così

Dunque si riparte, e quando si riparte si è sempre un po’ arrugginiti. Durante quest’estate non siamo però stati proprio fermi, l’avete visto anche voi, però io mi sono arrugginito lo stesso perché, vedete, avevo già pronta questa recensione con cui ripartire, e inavvertitamente l’ho cancellata mentre cercavo di copiare il testo.
In questa recensione si parlava di questi due libri, che mi sono venuti incontro senza che fossi io ad andarli a cercare: uno è Un mucchio di giorni così (Quarup 2012) di Angelo Calvisi, l’altro Dimmi che c’entra l’uovo (Del Vecchio 2012) di Fabio Napoli.
Due libri molto diversi, dal punto di vista della lingua e dello stile, ma che si muovono sullo stesso piano inclinato su cui stanno scivolando questi nostri anni.
Calvisi srotola la sua storia per le strette vie genovesi, costruisce una struttura temporale dove il lettore si muove come su una scala irregolare (e anche qui non si può non pensare alla conformazione della città ligure), che va avanti e indietro negli anni. Apparentemente più lineare è invece l’approccio di Napoli, che non certo casualmente chiama il suo protagonista Roberto Milano e ambienta la sua storia a Roma: una capitale di cui, almeno fino alla svolta della storia, si vede ben poco, poiché risucchiata dal vortice di lavori precari che si devono fare per provare almeno a sopravvivere – una città che scorre per gran parte fuoricampo durante le corse in bicicletta a cui è costretto il protagonista per passare da un lavoro all’altro (da comparsa in film porno alle ripetizioni, per finire la sera a fare il barista). Leggi il resto dell’articolo

Voi, onesti farabutti

Esce a settembre, per la collana “molecole” di Caratterimobili, il nuovo romanzo di Simone Ghelli intitolato Voi, onesti farabutti, che è la storia di un dialogo incompiuto fra generazioni: quella che ha fatto la Resistenza e la generazione attuale, precaria, apparentemente condannata a dover assistere al crollo del proprio paese senza poter intervenire. Riportiamo qui l’incipit del racconto inedito Farabutto di uno scrittore, che verrà inviato in omaggio, sia in versione digitale che cartacea, ai lettori che prenoteranno in anticipo il libro. Qui trovate le informazioni su come fare.

E infatti sì, non è che potesse andare poi tanto diversamente: perché la scrittura arriva sempre dopo, dovevo saperlo che viene troppo in ritardo, e cinque anni non sono affatto pochi.
Tanto ha resistito, Nello; ed io lì con la penna sotto al naso, a riempir di baffi d’inchiostro dappertutto.
«Ma devo ripetertelo ancora?»
E io che insistevo, che bisognava risentire e analizzare quel passaggio: «Avanti, daccapo!» Leggi il resto dell’articolo

Precari, per cominciare…

Una delle accuse che ci rivolgono più spesso, che è anche la più scontata, poggia sull’assunto che lo scrittore sia precario per definizione – è insomma l’idea un po’ romantica dell’artista a prevalere, col corollario di un immaginario beat (o maudit) ormai digerito e assimilato, al punto che del ribelle è rimasta soltanto l’apparenza un po’ freak: l’idea cioè che lo scrittore sia un precario della vita, molto spesso per scelta, che dilapida tutto in nome del sacro fuoco della scrittura. Immagine un po’ comica, a dire il vero, se poi si prova ad esempio a contestualizzare la sua figura nella cameretta a casa coi propri genitori; o addirittura triste, se lo si pensa intento, egli scrittore, a costruirsi quel minimo di stabilità che ha già pensato qualcun altro a dilapidargli. Leggi il resto dell’articolo

PICCOLO GUASTO ALLA CENTRALE DEL TEMPO

Piccolo guasto alla centrale del tempo – Cronache (quasi) immaginarie (Stilo, 2011)

di Ivan Scarcelli

 

La casa editrice Stilo punta ancora una volta sui racconti, e lo fa con l’esordiente Ivan Scarcelli, ricercatore in Filosofia politica presso l’Università di Bari.

La precisazione non è di poco conto, in quanto il filo conduttore della raccolta, d’altronde intuibile grazie al titolo azzeccatissimo, è quello del tempo e dei suoi “guasti” – un argomento su cui la filosofia, e quella novecentesca in particolare, ha ragionato a lungo.

L’autore dimostra di saper raccontare; produce, a partire da queste fratture nell’ordine di ciò che ci appare più familiare, dei racconti che portano i protagonisti su binari inediti, verso mete sconosciute – e non a caso, nel risvolto di copertina si parla di “realismo magico”. Leggi il resto dell’articolo

Mekmetal Spa

La rubrica Interlinea ƒ64 nasce dalla collaborazione tra La Rotta per Itaca e Scrittori precari: una volta al mese, uno scrittore, leggendo tra le righe di una fotografia, ci ha raccontato una storia in profondità di campo.

Quello che segue è il quarto e (per adesso) ultimo racconto in vista della pausa estiva.

di Nadia Turrin da una foto di Andrea Pozzato

I muri esterni della Mekmetal Spa sono gli stessi da decenni. Scrostati, incolori, con crepe profonde attorno alle finestrelle, e le centraline della corrente elettrica circondate da inquietanti cavi scoperti e tubi marci di umidità.

«Perché cazzo il sig. Weiner non mette a posto quei cavi, con tutti i soldi che ha?» si chiedono da anni in molti, passando davanti a quei muri.

E da anni c’è sempre qualcuno che replica : «È da tanto che il sig. Weiner vuole rifare tutto, ma poverino, ne ha sempre una. Prima ha dovuto investire nello stabilimento in Romania, che se no non ce l’avrebbe più fatta coi costi di produzione di Bolzano. Poi sono arrivati i cinesi a fare concorrenza. Adesso c’è la CRISI. Poverino!» In ogni caso, ad ogni tornata di licenziamento di massa qualche operaio si è suicidato, mentre il sig. Weiner è sempre vivo. Sarà. Leggi il resto dell’articolo

Impressioni Noir

Un bar fumoso dall’atmosfera grigia come il tono della pellicola.

Alain Delon ordina un whisky al tavolo. Il complice, invece, dice di non bere alcol. A questo punto Delon si gira verso il cameriere e, con aria convinta, dice: «Allora un doppio whisky per me».

Un piccolo gioiello noir di Melville: I senza nome, classe 1970.

Uomini umbratili, apparentemente senza debolezze. Passato scomodo e misterioso. Silenzi, cappotto trench abbottonato e perenne fumo di sigaretta che buca la pellicola. E la storia, una storia fatta di personaggi incomodi, magari un Terzo uomo come il film di Carol Reed. Una storia dove non è oro ciò che luccica, dove non intricarsi nelle sue pieghe, non approfondire per non restare trincerati nelle sue macchinazioni e non farsi travolgere nel suo vortice di segreti e peccati . Leggi il resto dell’articolo

Lavorare, passeggiare, raccontare

Con la manifestazione del 9 aprile, che ha segnato un primo tentativo di unire in uno stesso corteo lavoratori (e non) accomunati dall’orizzonte della precarietà (anche se provenienti da contesti diversi),  è stata scattata la fotografia ancora parziale di una famiglia allargata, trasversale alle classi sociali e alle generazioni. Farsi vedere e raccontarsi, superare il senso di vergogna (magari per la differenza tra le aspettative e la realtà) e la paura del ricatto (sul luogo di lavoro), in una parola manifestarsi, rimane assolutamente necessario. Non basta infatti farlo una sola volta, ma deve essere pratica quotidiana e (possibilmente) condivisa. È questo il senso degli Stati Generali della Precarietà 3.0: tre giorni d’incontri che si terranno a Roma nel segno della condivisione di strumenti e strategie, dove «parlare dei nostri desideri, della libertà che vogliamo riprenderci, della forza che vogliamo far esplodere».

Simone Ghelli

Quello che segue è il programma dettagliato delle tre giornate:

Venerdi 15, @ LOA Acrobax [via della vasca navale,6]
dalle ore 19 accoglienza e concerto di Asian Dub Foundation

Sabato 16, @ GENERAZIONE_P RENDEZ-VOUS [via alberto da giussano, 59]:

dalle 21.00: serata di festeggiamento dei primi 6 mesi di occupazione di Generazione P – rendez vous
cena
+ proiezione della videoinchiesta sulla precarietà “Inpreca video”
+
proiezione del docufilmLampedusa next stopa cura di Insutv (presenti gli autori)
a seguire dj set

Domenica 17, @ Volturno [via Volturno, 37]: