Il libretto rosso di Pertini

Sandro Pertini è stato, ed è, il Presidente più amato dagli italiani. Rappresenta quella figura etica di uomo incorruttibile e di indefesso combattente per la libertà di cui oggi più che mai si sente il bisogno. Il libretto rosso di Pertini è un saggio fra letteratura e storia, che raccoglie gli scritti e i proclami politici del grande Presidente di tutti gli italiani e ne ricostruisce l’entusiasmante biografia, dalle sue imprese durante la Prima Guerra Mondiale alla Guerra di Resistenza durante la Seconda, passando per l’esilio e il carcere, fino ad arrivare alla Presidenza della Repubblica. I Di Mino, autori del romanzo Fiume di tenebra, sull’epopea dannunziana a Fiume, e de Il libretto rosso di Garibaldi, completano così un percorso ideale alla riscoperta dell’epica nazionale, ridisegnando la figura di Sandro Pertini, in una chiave moderna e originale, come mito ancora attivo. Leggi il resto dell’articolo

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I gendarmi del Buon Governo Vecchio (parte tre ritorna quattro)

Si narra che la mattina del primo maggio 2001 il Presidente della Repubblica, che solitamente è un tipino arzillo che appena si sveglia va a fare la cacca, quella mattina proprio non ne volesse sapere. Il timer segnava 00:13:23. Mancavano poco più di tredici minuti prima della sua morte. La moglie prese a scaldargli del latte di capra cercando di stimolargli l’intestino.

00:12:45 – «Nulla amore, qui mi taglieranno la testa».

La signora Franca, donna energica, vera padrona di casa prese a calmarlo a suo modo: «Embè! E che so’ ‘ste scenate mo?! Caccia fuori le palle e caga! Spari tante stronzate ogni giorno, una in più, una in meno che ti cambia?!»

Il Presidente della Repubblica non si sforzò nemmeno di sorridere, era troppo preoccupato. Se non cagava nella medusa di Fellini gli avrebbero tagliato la testa, ed era un avvenimento che non accadeva da almeno due anni.

L’ultima decapitazione risaliva al 1999, anno in cui venne mozzato il capo a Gregorio De Franceschi, che per ribellione praticò lo sciopero della merda in quanto riteneva ingiusta la proposta di legge scritta dalla sinistra più radicale, dove si poteva leggere che all’età di sedici anni ogni cittadino sarebbe diventato uguale di fronte alla legge. Un provvedimento inammissibile e soprattutto inattuabile. «Siate onesti onorevoli colleghi. È una proposta che non potrà mai essere attuata, sarebbe uno spreco di tempo. Io sciopero». E dopo due giorni venne decapitato in pubblica piazza. Poco prima che il boia facesse cadere la ghigliottina, il suo corpo rilasciò escrementi ed urina in gran quantità. La sua testa venne posizionata al centro dello stadio San Paolo come monito per i presenti. Italia-Germania riproposta per l’occasione con i sosia ufficiali dei vecchi giocatori. Partita avvincente che terminò 4 a 3 per la Germania. Finale scontato ma pubblico pagante che riempì gli spalti proprio come nella partita originale.

00:09:12 – «Farò la fine di Gregorio De Franceschi, io non voglio morire, tesoro fammi una peretta». La Franca non vedeva l’ora di metterlo nel culo al marito e propose, invece che la solita e squallida peretta, un rimedio più antico e piacevole: il rapporto anale. Fece mettere il marito a pecora sul grande letto presidenziale. Lui iniziò a preoccuparsi: «Tesoro, ma sei sicura che funzionerà? E soprattutto quando hai comprato quell’affare? Non mi farà male vero?!»

La moglie lo rassicurò, mentre inginocchiata da dietro lubrificava con della vasellina la punta dello strap-on rosa. Già pregustava la sensazione gaudente del buttarlo al culo al marito, ancor più orgasmica pensare che si trattava del Presidente della Repubblica in crisi stitica. Si sentiva come un’eroina che stava salvando la vita al presidente, una sorta di Harrison Ford di qualche film di propaganda. In quel momento, quando la cappella di plastica varcò la soglia dell’ano del marito, la Franca era in crisi mistica, come posseduta. Il fallo entrò lentamente nel buco secco e vecchio del marito, movimenti dolorosi che poi divennero piacevoli e sistematici. I glutei della donna divennero vigorosi come pesche vecchie di dieci giorni.

00:07:31 – Quel cazzo rosa e finto, che spingeva nel culo del Presidente della Repubblica ad opera della moglie Franca, stava producendo una goduria inaspettata ed un movimento rettale stimolante come uno stura lavandino a ventosa nella vasca da bagno. La Franca prese a schiaffeggiare il culo flaccido e bianchiccio del marito lasciando manate rosse evidenti. La Franca era indiavolata e muoveva il bacino ad incularella sempre più veloce, il marito soffriva e godeva: «Devo cagare tesoro, forse devo cagare», ma la moglie non voleva sentire: «Aspetta che sto per godere, non godo da sei anni, fammi venire stronzo», e diede l’ennesima spinta energica. «Ma io mi sto cagando addosso tesoro», insisteva lui. «Resisti per me, fammi venire, dammi solo un minuto». Ma nulla. «Non ce la faccio, non ce la faccio a trattenermi, non controllo l’intestino ed il retto, devo liberarmi, fammi andare a cagare nella medusa di Fellini». La disperazione prese il sopravvento. «No amore, aspetta, ecco che vengo… sìììììììììì godooooo come una troia porcoddio sìììì!», e la Franca con l’ultimo spintone in avanti del bacino, forte, potente ed esteso cacciò un urlo di goduria rappreso da sei anni di astinenza da orgasmo vaginal/clitorideo.

00:02:35 – «Levami dal culo quell’affare e fammi cagare». La moglie era esausta, ed ancora con il cazzo finto nel culo del marito si accese una sigaretta. «Ma da quanto è che fumi?» chiese stupefatto il Presidente della Repubblica. «Da quando cazzo è che tu fumi?» urlò.

«Zitto e caga» rispose lei come un’attempata famme fatale francese, e lo disse dando un colpettino di cazzo tanto per procurargli un leggero malore, come una frustata data ad un cavallo, ormai era la Franca che comandava il gioco. «Fatti un tiro, ti stimolerà la diarrea», e passò la paglia al marito che fece un tiro forzatamente e prese a toccarsi la pancia dai dolori.

«Spegni almeno il ventilatore che mi sta venendo una colica assurda».

«Ti ho salvato la vita e questo è il ringraziamento, che marito di merda che sei».

«Levami quel coso dal culo cristoiddio!»

La Franca sfilò il membro finto con lentezza, ed anche un po’ di tenerezza ed amore, sorrise dentro e pensò di amare veramente quel piecoro davanti a lui. La punta era marrone di escrementi, l’odore nella stanza era un misto di sudore, pelle secca, pesca marcita, fumo di sigaretta e merda di vecchio. La Franca sorrideva e si gustava quella fragranza che le ricordò la sua infanzia, quando giocava con i suoi cuginetti nello sgabuzzino di casa. Aveva dodici anni ed i suoi cugini di diciotto e ventidue anni la rinchiudevano per gioco nello sgabuzzino, per gioco le mettevano i rispettivi cazzi davanti la faccia e per gioco le dicevano di prenderlo in bocca e giocarci con le mani. Lo chiamavano “il gioco del silenzio” e consisteva nel non dire mai a nessuno quello che facevano nello sgabuzzino. Chi parlava perdeva e chi perdeva pagava. E Franca vinse sempre. I due cugini perdevano ogni volta perché spifferavano sempre tutto ai loro amici, ma le regole le avevano fatte loro, quindi loro potevano pure parlare. È così che funziona il Buon Governo Vecchio, si basa proprio sulla regola del “gioco del silenzio”.

Fatto è che, a finale, il Presidente della Repubblica schizzò via verso la grande medusa di Fellini, stringendosi le mani sulla pancia e lasciando tracce di feci liquide sul tragitto percorso, arrivò a destinazione e lo stronzo liquido e caldo azionò il messaggio alla ricezione centrale del ministero del Buon Governo Vecchio. Il timer segnava 00:01:16… ma queste sono leggende.

«Saranno anche leggende ma io le considero più legende. Per di più metropolitane, ma come cazzo ti viene in mente di pensare che questa storia sia vera?! Ma credi veramente che ci creda?»

«Pensala come vuoi, poi non venire a piangere da me, quando i Gendarmi ti entreranno in casa e metteranno le mani addosso a tua moglie per portarsela via».

Detto ciò andai via da casa del mio amico Luigi che continuò nella sua opera di modellismo. Gli mancava pochissimo, erano circa dieci anni che ci lavorava sopra. Stava costruendo un carro armato in scala 1:1, non sarebbe passato inosservato, soprattutto al mattino. Soprattutto in primavera.

Arrivato al mio palazzo, presi a salire le scale e giunto al secondo piano notai che la porta d’ingresso era spalancata. Presi la pistola che avevo nella tasca sinistra del pantalone, l’annusai e feci per entrare convincendo me stesso di essere l’ispettore Coliandro che rientra in casa. Nel corridoio c’erano anche dei quarzi coperti di gelatina rossa e due stativi, ma tralasciai e andai avanti.

Voci sconosciute discutevano nella mia cucina. Voci sinistre, voci mancine, voci ortodosse. Erano i Gendarmi, e se non erano loro li imitavano benissimo, soprattutto quelli ortodossi. Tentando di fare il minor rumore possibile, mi avvicinai con la mia pistola stretta tra le mani

CONTINUA

Andrea Coffami feat. Angelo Zabaglio

I gendarmi del Buon Governo Vecchio – Parte due

La notte fu tormentata e piovosa, durante il sonno venne a farmi visita il cadavere di mio nonno Antonio. Era bello come sempre, dal cappello stile coppola che aveva sulla testa sbucò fuori un granchio vivo che prontamente mio nonno, con i poteri da lui conferitogli, nominò “aragosta” per poi ucciderlo in dell’acqua bollente. Mentre masticava il crostaceo il suo fare era di chi non mangiava da giorni.

«Come si sta sotto terra nonnino?» e lui, da buon napoletano sorridente e incazzoso: «Nun s’ver manc’o cazz». Gli offrii del caffè caldo senza zucchero che bevve tutto d’un fiato come fosse acqua tiepida.

«Da quanto tempo è che non scopi nonno?»

Non rimase colpito da quella domanda e senza nemmeno guardarmi rispose: «Uuua’! Facimm riec’ann… quann’è ca mann’nchiav’cat abbasc n’gopp o cimiter? Riec’ann ja. E teng ‘na voj’ e chiavà ‘a nonn. No pp’uoòcappì… e pagammell a ‘na zoccol».

«Seeeeee qui a mala pena arrivo a fine mese mi metto pure a pagare una puttana ad un morto».

«Si n’omm e nient. ‘O sapev j».

«Ma tu la nonna l’amavi?»

«L’agg volut bbuon. Chill l’ammor l’ann purtat l’american a metà anni ’80, primm nun c’stev. Primm c’s vulev sulament bbuon. L’ammor era sul pe’ fij e zoccol… ma tu c’ n’ vuò sapè».

Detto questo mio nonno tolse il disturbo ed io rimasi come un ebete ad osservare il muro della cucina, pensando di aver sognato tutto: mio nonno, il cavallo della mia vicina, i gendarmi del Buon Governo Vecchio, il brodo di piede, ogni cosa. Ma qualcuno da fuori la porta bussava insistentemente. Erano i gendarmi. I gendarmi li riconosci dall’odore salmastro che emanano per contratto. I gendarmi ogni mattina sono costretti a cospargersi le spalle con della crema scura creata con dell’acqua Ferrarelle e sporco delle dita dei piedi.

Le scuole medie anteriori dal 1998 organizzano gite scolastiche mattutine all’interno del ministero del Buon Governo Vecchio. Nell’enorme stanza ovale ci sono gli addetti, addetti a creare la crema di cui sopra. Decine di impiegati seduti su delle sedie nere, gambe divaricate e senza calzini. Ai loro piedi altrettanto numero di donne anziane di origine vietnamita che minuziosamente estraggono lo sporco creatosi tra le dita dei piedi degli impiegati. Le vecchine utilizzano per tale scopo delle piccole listarelle argentate che passano tra un dito e l’altro dei piedi.

A causa di questa pratica le nuove generazioni di umani avranno le dita dei piedi distanziate sempre più, pian pianino, di generazione in generazione le dita arriveranno ad avere uno spessore massimo di cinque millimetri, poi ci sarà la fase del piede composto dal solo alluce e dal mignoletto che però, per istinto di sopravvivenza aumenterà di spessore, anche se poi alla fine le dita scompariranno del tutto e la Nike fallirà se non prenderà provvedimenti in tempo.

La seconda tappa della gita scolastica è Cinecittà dove si può ammirare il trono di Uomini e Donne. L’enorme testa di medusa di Fellini è utilizzata come urna elettorale per i parlamentari del Buon Governo Vecchio: ma questo utilizzo è solo durante il periodo elettorale. Nei rimanenti giorni il Presidente della Repubblica ha l’onore di poterci cagare dentro. Pena la decapitazione.

Il cesso presidenziale ha un timer con conto alla rovescia che parte da 23ore59min59sec.

Il Presidente deve, come obbligo contrattuale ed incarico del Buon Governo Vecchio, presentare escrementi propri e riconoscibili ogni 24 ore, naturalmente se il Presidente della Repubblica si trova in viaggio di affari all’estero, la grande medusa di Fellini verrà trasportata nell’alloggio del presidente, ma questo era anche superfluo dirvelo.

Fatto sta che si narra che la mattina del primo maggio 2001 il Presidente della Repubblica, che solitamente è un tipino arzillo che appena si sveglia va a fare la cacca, quella mattina non ne voleva sapere…

Andrea Coffami feat. Angelo Zabaglio

Il senso del piombo *

Noi spiriti liberi, siamo già una

trasvalutazione di tutti i valori,

una dichiarazione di guerra e di

vittoria in carne ed ossa a tutti i

vecchi concetti di vero e non

vero.

Mio figlio è cresciuto. Mi ha spesso chiesto di quegli anni.

Non sono mai riuscito a rispondere.

Sono stati anni di confusione e paura. Anni in cui il tempo sembrò incagliarsi contro uno scoglio invisibile. Ecco, questa potrebbe essere una buona metafora: il tempo impigliato, gli orologi fermi.

Insegnavo da pochi anni, guardavo spesso l’orologio nell’aula e speravo non si fermasse mai, che rimanesse sempre così: giovane e sorridente.

Alle 16:37, in televisione si parlava ancora di Manson e del massacro di Bel Air, di Cielo drive e della morte di Sharon Tate, la bellissima moglie di Roman Polanski.

Alle 16:37, una voragine nel pavimento, circa un metro di diametro. Una banca affollatissima in un giorno di mercato, la faccia contrita del giornalista al tg della sera. Era il 12 dicembre del 1969, a Milano. Sedici morti, più di ottanta feriti.

Tutto iniziò così.

Un ferroviere di quaranta anni fece un gran volo dalla finestra del commissariato di Milano. Il commissario lo raggiunse pochi giorni dopo.

Poi fu la volta di Peteano. Una telefonata anonima. Una cinquecento parcheggiata in modo strano. Il cofano e l’esplosione. Erano passati solo tre anni. Una voce mandò tre carabinieri incontro alla morte.

E poi depistare per stabilizzare, golpisti dell’ultima ora, militari infedeli, servizi deviati, neofascisti e anarchici. Tutti e nessuno, affinché tutto rimanesse immobile. Questa era l’Italia: una paese di frontiera tra blocchi alleati, con il più grande partito comunista al mondo.

17 maggio 1973, ore 10:57, fu due giorni dopo il compleanno di mio figlio, nel cortile della questura di Milano si era appena conclusa la cerimonia per commemorare il commissario Calabresi.

Quattro vittime, più di quaranta feriti.

La nostra Costituzione voi lo sapete, vieta la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista, eppure il movimento sociale italiano vive e vegeta, Almirante, che con i suoi lugubri proclami in difesa degli ideali nefasti della repubblica sociale italiana oggi ha la possibilità di mostrarsi sui teleschermi come capo di un partito che è difficile collocare nell’arco antifascista e perciò costituzionale.

Piazza della Loggia, era passato solo un anno, non fece in tempo a terminare. Le 10:12 il fragore e le urla cancellarono ogni ricordo di quel discorso.

Compagni e amici, state fermi, calma!

Otto morti, più di cento feriti. La piazza pulita di fretta dagli idranti dei vigili del fuoco.

Tutto scomparve. Nessun colpevole.

Il quinto vagone dell’Italicus, anche quello lo ricordo bene, Roma–Monaco, il treno della speranza. Il buio del tunnel, le lamiere divelte, dodici morti e quarantaquattro feriti. Un tesserino venne mostrato dal tg del giorno seguente, un cartoncino dagli angoli bruciacchiati: Russo Nunzio, capo gestione, Ferrovie dello Stato.

Nessun colpevole.

Il DC 9 Itavia che annegava lentamente nelle acque di Ustica, l’orologio fermo alle 10.25, la stazione di Bologna.

Prima di vincere il concorso a cattedra frequentavo la facoltà di Lettere e Filosofia all’università di Roma, ricordo i tafferugli del ’66 in occasione del rinnovo dell’organismo rappresentativo degli studenti, la morte di Paolo Rossi. Mi sembra frequentasse i corsi di architettura. Ero appena uscito dal corso di antropologia: “I buffoni sacri”.

Ecco, quando penso al mio paese penso ai buffoni sacri. I buffoni sacri infrangono costantemente i modelli di comportamento, tuttavia sono garanti dell’ordine, custodi delle tradizioni. Il loro comportamento è un rovesciamento istituzionalizzato del senso comune. La loro contestazione è il segno che ogni potenziale crisi è realizzata e risolta nel contesto festivo e questo annulla la possibilità che essa possa manifestarsi nella non-festività.

I buffoni hanno il potere ed il diritto di uccidere per garantire la sopravvivenza del mito, sono i guardiani del silenzio. A questo pensavo e sarebbe stata questa la risposta che avrei voluto dare a mio figlio.

L’orologio era rimasto fermo alle 10:25, una bomba aveva sconquassato il muro della sala d’aspetto di seconda classe riversando il fragore sul treno Ancona-Chiasso fermo al primo binario, un soffio arroventato cancellò i destini, i sogni e le speranze di ottantacinque persone, fu una valigia di pelle ad esplodere, producendo un’inverosimile voragine nel muro e nel cuore degli italiani.

Il triste fluttuare di quelle piccole bare bianche, questo aveva messo in ginocchio il Paese, ora i Guardiani avevano il compito di ristabilire l’ordine e il silenzio, il Presidente della Repubblica doveva smettere di piangere e così sarebbe stato.

La morte è come un carnevale, destabilizza per stabilizzare, è stata un’ elemento d’intervento per rafforzare il regime esistente e fare in modo che non si producessero grandi svolte di tipo politico.

E’ il silenzio della morte a costringere questo paese nel suo cono d’ombra.

Questo avrei voluto raccontare a mio figlio.

Luca Moretti

Estratto dal romanzo IL SENSO DEL PIOMBO, di prossima uscita presso Castelvecchi editore