Avere un lavoro o lavorare? Riflessioni filosofiche sul precariato a partire da Erich Fromm
aprile 8, 2011 4 commenti
In vista della manifestazione dei precari di sabato 9 aprile, rilanciamo questa interessante riflessione di Matteo Antonin.
In un suo celebre saggio del 1976, Avere o essere?, lo studioso (filosofo, sociologo, psicologo) Erich Fromm delinea chiaramente, all’interno della sua indagine sulla dialettica individuo-società, le due modalità che, a suo parere, orientano l’esistenza dell’Uomo: la modalità dell’avere e la modalità dell’essere. «Dicendo essere o avere», scrive Fromm, «mi riferisco a due fondamentali modalità di esistenza, a due diverse maniere di atteggiarsi nei propri confronti e in quelli del mondo, a due diversi tipi di struttura caratteriale, la rispettiva preminenza dei quali determina la totalità dei pensieri, sentimenti e azioni di una persona».
Nella modalità esistenziale dell’avere l’uomo ha verso il mondo, verso le cose e le persone, un rapporto di possesso: egli aspira a possedere.
Per prima cosa, ognuno crede di possedere se stesso (ed è su questo possesso che, in definitiva, si basa il concetto di identità); in secondo luogo ognuno desidera possedere le altre cose e gli altri. Nella modalità dell’avere il possedere le cose, ovvero la proprietà, è ciò che costituisce l’individuo. L’avere reifica le persone e i processi vitali, si riferisce a cose, e le cose sono fisse, improduttive, morte.
L’essere invece si riferisce non alle cose, bensì all’esperienza: un’esperienza che è costitutivamente libera, indipendente e critica, in quanto si basa sull’«uso produttivo dei nostri poteri umani».
Fromm correda il ragionamento di molti esempi tratti dalla vita quotidiana: l’apprendimento (nella modalità dell’avere un apprendimento passivo, nel quale gli studenti sono come recipienti vuoti che vengono colmati; nell’esperienza produttiva dell’essere un apprendimento vitale, attivo, produttivo), la lettura, la conversazione, la conoscenza (sottolineando la differenza tra avere conoscenza e conoscere), la fede (cieca fiducia in idee preconfezionate o fede nella vita, nell’uomo, che non si basa sulla sottomissione ad un’autorità costituita), l’amore (come possesso dell’altra persona o come processo vitale e produttivo).
Dal 1976 molte cose sono cambiate, ma l’assetto di una società basata sulla proprietà, sui consumi e sul possesso non è cambiato molto.
Ciò che però è mutata da allora è la condizione del lavoratore, e la sua nuova condizione di subordinazione e sottomissione legalizzata attraverso precarietà, mancanza di futuro e di sicurezza, realtà che ai tempi del libro di Fromm era sconosciuta (come lo erano i concetti che di questi mutamenti stanno alla base come fondamenti teorici: globalizzazione, flessibilità, delocalizzazione del lavoro…) .
Tuttavia, applicando il ragionamento di Fromm a questa nuova condizione esistenziale del lavoratore odierno (la precarietà lavorativa ed esistenziale) si può notare come essa si possa comunque inserire in un’ottica funzionale al contrastare la modalità dell’essere e a perpetrare quella dell’avere.
La mancanza di continuità del rapporto di lavoro e conseguentemente di qualsiasi certezza sul futuro è il moderno meccanismo, teorizzato e messo in atto, per spronare l’Uomo a piegarsi alla passività, all’incapacità di sviluppare la propria funzione e il proprio essere attraverso l’abitudine ad avere un lavoro, senza mai lavorare.
Nella modalità dell’essere lavorare dovrebbe essere uno sperimentare (e questo è possibile solo attraverso la sicurezza e la continuità del rapporto lavorativo) un’attività non alienata che consista non nell’avere un (momentaneo) posto di lavoro (e desiderare averlo soltanto per avere il guadagno che ne deriva), ma un’attività produttiva nella quale sviluppare le proprie potenzialità e il proprio essere dinamico.
Un lavoro sicuro, a tempo indeterminato, non alienato, che rappresenti il nostro essere profondo, esprimendo le nostre capacità più proprie, che garantisca al lavoratore di poter fare dei progetti, deve essere evitato in quanto, usando le parole di Fromm, nella modalità esistenziale dell’ essere, «quando realizziamo una crescita ottimale, siamo non soltanto (relativamente) liberi, forti, ragionevoli e lieti, ma anche mentalmente sani».
Quindi essenzialmente pericolosi.
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