Gemini

DainaMaita

L’ordigno, di sicura provenienza bellica, esplodeva tra le 00,00 e le 00,15 del giorno 21 novembre, lo dimostrano le lancette ferme dell’ultimo orologio analogico nella vecchia torre antistante la centrale. Non ci sono altri elementi per definire mandanti e colpevoli dell’atto criminoso che ha messo in ginocchio l’intera Città. La luce è scomparsa. Tutti i dati sono andati persi in una livella disarmante, sul grande cancello d’entrata gli inquirenti hanno rinvenuto la scritta: «Ut unum sint. Lontano dal sole, vicino alla luce».

Stand by

La Città era piena di luci, milioni di stand by a illuminare la via, un’atmosfera sotto vuoto; condizionatori per respirare, orologi a definire la nostalgia del presente e luci, luci ovunque. La centrale, la nostra vita, entropia. I gemelli avevano uno strano sorriso che li legava, quasi una smorfia d’intelligenza; la luce della centrale a illuminare il loro cammino. Scappò di casa quando era poco più che adolescente, la madre dall’alto del colle teneva il fratello per mano, cercava in quella carezza di rintracciare la metà sana, l’altrove disperso dell’unità. Era fuggito e con sé aveva portato la salute, oltre che il sorriso. La madre passò gli ultimi mesi in ospedale, l’attesa tenue al capezzale di un figlio immobile, lo schianto atroce, la moto schizzata in aria come un gioco pirotecnico, l’ironia bastarda di una macchina pulsante. Erano passati anni, la macchina continuava a pulsare, spingeva sangue in quel corpo malandato, lo sorreggeva come un burattino di fronte alle intemperie degli anni, dell’altra metà non v’era più traccia.

Electrocuore

Il furgone trasportava sei persone, si erano incontrate per caso alcuni anni prima, l’assenza di luce li aveva condotti nel medesimo luogo, erano pronti. Era da poco passata la mezzanotte, il presidente aveva appena pronunciato il discorso commemorativo: la centrale da venticinque anni illuminava le loro anime. Aveva dato un calcio alla bottiglia di birra ancora piena, l’aveva scagliata su quell’immagine così piena di tarli, l’aveva scagliata contro quell’idea di luce perpetua. Si arrestarono nei pressi del colle, una brezza nostalgica colpì allora il volto, quasi fosse già stato in quel luogo, confusa gli apparve l’immagine di una donna, per mano un bimbo. Scacciò ogni pensiero e si concentrò sul suo lavoro: un cancello, le guardie di scorta al rotore e un attimo, solo un attimo per far esplodere i ventricoli fetidi della Città.

Ut unum sint

Il passamontagna calò piano su tutta quella tristezza, in un balzo furono davanti a due guardie grasse e poco preparate, l’idiozia aveva permesso di pensare che nessuno avrebbe mai fatto male al cuore meccanico. Le disarmarono e in pochi istanti furono dentro. L’isocronia maestosa dell’asse sembrò fermare tanta ingordigia, i pensieri per un attimo si offuscarono, ben presto la ragione tornò a illuminare le loro azioni. Con un fischio fermò i compagni, afferrò deciso il connettore primario e lo tirò a sé con tutta la forza. Con un’ascia tranciò quella miriade di cavi colorati e vi pose l’ordigno. L’esplosione fu sensazionale, pulviscolo e nebbia. Buio. Perse i sensi cadde a terra.

Gemini

La centrale cessò il suo moto, le luci si spensero, nell’ospedale un cuore meccanico smise di pulsare e una metà aprì la strada dell’oblio all’altra. Dall’alto della grande torre un gabbiano cominciò a volteggiare.

Tornammo pian piano a veder le stelle.

Luca Moretti

* Racconto pubblicato su Minimal Noir (18:30 edizioni)

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