Tornando a casa, o come divenni scrittore

di Simone Lisi

Faccio la strada per tornare a casa con Nati e Camille. L’allungo, la strada: loro vanno in Triana mentre io sarei già arrivato. Allungo la strada e le espadrillas, che a noi italiani suonano così spagnole ma che qui chiamano esparco, mi si impregnano d’acqua perché lavano le strade, la notte, a Siviglia, e le suole sono di corda, e quando arriverò a casa (perché a un certo punto si torna anche a casa) saranno dure e pesanti per tutta l’acqua assorbita semplicemente camminando, andando, tornando a casa.
Se allungo la strada non è tanto per la storia delle scarpe che diventano dure e pesanti perché si impregnano di acqua, questo non rende affatto la passeggiata piacevole, e non allungo la strada perché non ho voglia di tornare a casa (e che quindi un altro giorno è finito) e nemmeno per una questione di galanteria o perché voglio finire con una delle due o tutte e due insieme. Il fatto è dovuto piuttosto alle condizioni strutturali di questa ennesima vuelta, questo ennesimo ritorno a casa dopo una sera essenzialmente inutile, senza senso. Il fatto è che non siamo in tre, ma siamo in cinque. Con noi c’è un senegalese dal nome impronunciabile per noi europei, si fa chiamare Jimi e per questo lo chiameremo Jimi. L’abbiamo raccattato dalle parti di Alameda, anzi lui si è attaccato, aveva conosciuto Camille una notte precedente e se la voleva fojare. Perché Camille è bionda e francese e si sbronza e finisce a letto con uomini di cui poi non si ricorda. E giustamente Jimi vuole essere uno fra i tanti, o forse uno diverso dai tanti, per questa Camille bionda francese che si sbronza e Leggi il resto dell’articolo

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La coerenza

di Simone Lisi

Si tornava dal Poetto in autobus, senza regolare titolo di viaggio, ed era estate. Quasi trentenni, quasi finita l’università e quasi in partenza, alla fine di quella stessa estate, per destinazioni improbabili e possibili o inutili. Da fuori: un gruppo di quasi trentenni, con almeno tre accenti diversi tra loro, su di un autobus che va dalla spiaggia alla città, che parlano di mostre di Morandi a cui non sono andati e della morte recente della moglie di Christo, che si parlano addosso e non dicono niente e poi si fanno silenziosi e cupi e guardano fuori dal finestrino e si soffermano a osservare a lungo, senza fiatare, un loro quasi coetaneo, disabile, vestito da bambino, tenuto per mano dal padre, o da quello che si augurano essere il padre. I vestiti di noi che guardiamo il disabile, invece, sono lievemente pensati, sottilmente particolari, senza cercare eccessi o espressionismi, con lo stile autoreferenziale canonico dei primi anni Dieci. Da dentro (in breve): gente incoerente. Incoerenti non tanto (e non solo) per l’assenza di biglietto dell’autobus, visto l’evidente status di-ciò-che-in-altri-tempi-si-sarebbe-detto-borghese. L’assenza di biglietto non era certo Leggi il resto dell’articolo

Concerti

di Simone Lisi

Forse è venerdì e forse avrò un certo bisogno di uscire. Forse chiamerò ogni numero chiamabile della lista dei numeri da chiamare e forse non mi risponderà nessuno. Forse avrò la tentazione di tornare a casa, ma forse non lo farò, e opterò per il concerto dei Blonde Redhead: li ascoltavo a Siviglia in inverno. Forse per chiudere l’ennesimo cerchio.
Forse percorrerò in motorino via Pistoiese, che ricordavo più corta, e farò la fila da solo mentre dentro iniziano la prima canzone. Ciò che invece non è in forse è lo svolgimento del concerto, che suo malgrado sarà anche commovente almeno per un momento e si ripeterà uguale a tutti i concerti della mia vita.
È il contesto, l’estrinseco, che mi affossa e a volta mi diverte anche. Allora ci sono io tra la folla ed è indubbio che arriverà un uomo coi capelli lunghi, alto e piazzato, e si metterà davanti a me. Lo accetterò perché, pur non avendo i capelli lunghi e non essendo così alto e robusto Leggi il resto dell’articolo

Irritazione e Scrittura. Riflessione sul tempo in generale, notturno in particolare

di Simone Lisi

Scrivo qualcosa dopo aver perso miseramente due partite a scacchi contro il computer, è notte: perdere tre partite a scacchi contro il computer mi crea irritazione e capisco, o forse mi racconto, che ciò non significa che sia per forza un cretino. Sono stanco. Sono stanchissimo e per questo perdo contro il computer a livello sei. Le cose dopo, quando la smetto di insistere a scacchi, dopo un suo splendido scacco matto, non migliorano. Spengo il computer, ho lasciato il cavo di alimentazione di là, al buio, dove Diana sta dormendo, e allora vado, mi trascino di là cercando di fare meno casino possibile per non svegliarla o almeno non disturbarla troppo. Lei si sveglia. Torno in cucina e mi metto a riguardare cose scritte che suonavano bene oggi, nel pomeriggio, e ora sono tutte storte, contorte, in una parola: sbagliate. Allora mi metto nella penosa pratica di pulitura e quando rileggo mi sembra che tutto abbia perso, se possibile, ancora qualcosa. Sono stanco, non dovrei mettermi a pulire quando sono stanco e ho perso miseramente contro il computer, sempre per colpa della stanchezza. A volte decido di localizzare il problema nella stanchezza, a volte nel pulire in senso ampio, oppure ancora sulla Leggi il resto dell’articolo

Preparare una tesi in filosofia

di Simone Lisi

Tutto, nel libro di Girard, mi parla, tranne il libro stesso.
La scheda di prestito di Claudia, compilata un anno fa, con la sua scrittura che posso riconoscere. Posso quasi intuire il momento esatto della sua vita in cui compilava quella scheda del prestito bibliotecario, e la sua storia personale, e quella sua storia personale in relazione a Nicola, e quella in relazione a Firenze e a tutto ciò che a Firenze è relazionato. Posso anche riflettere sul perché di quella scheda abbandonata dentro al libro, sul perché quella scheda, rosa, che adesso hanno fatto, dopo decenni di schede rosa, di un bianco impersonale, asettico, sia lì, nel libro di Girard, dal momento che non ha senso che sia lì, ché la scheda di prestito esclude il libro, ché quando si prende un libro in prestito quella scheda rosa (o bianca) si dà e resta alla biblioteca, ai bibliotecari e ai loro archivi, e non resta dentro al libro. Si potrebbe pensare che forse, Claudia, questo libro non lo prese mai in prestito, ma solo si limitò a pensare di prenderlo, e quindi di leggerlo, per quella sua tesi in filosofia che poi non avrebbe scritto. Eppure, anche se questa è certamente la risposta più probabile, sospetto che Claudia Leggi il resto dell’articolo

Regredire

di Simone Lisi

A una cena con mia madre, sotto l’occhio silenzioso e imbarazzato di Diana, dicevo, vaneggiando che mi rallegravo del fatto che lei, mia madre, e mio padre fossero tornati a comunicare dopo anni grazie alla loro comune incomprensione nei miei confronti. Dicevo inoltre, sempre nel mio sproloquio, che mi sembrava che la nostra comunicazione, fra me e loro, fosse regredita, fossimo tornati indietro di un paio d’anni almeno e concludevo dicendo che la soluzione a cui loro due erano infine giunti circa me e loro stessi era qualcosa che Leggi il resto dell’articolo

Pseudobagnino di Pietramarina

di Simone Lisi

Posso dedurre dalle poche informazioni che ho che il tizio sul toboga non sia il bagnino ufficiale, ma un semplice aficionados di questa piscina, Pietramarina, che si erge a sua volta sulla cima di un colle, sopra la Piana. Il tale è molto abbronzato, lo è davvero molto. Ha i capelli lunghi, ma non molto, e biondi, ossigenati stinti per il sole e per il cloro della piscina. Gli mancano alcuni denti, ma non gli incisivi, ed ha almeno due tatuaggi, stinti. Non è solo questo a farmi pensare a un aficionados. È la maniera in cui si erge: ci sono delle scale da salire, per poi scivolare sul toboga, e una sorta di piano doccia dove la gente in fila aspetta per poi Leggi il resto dell’articolo

Dormire nel pomeriggio

di Simone Lisi

Sono seduto a un tavolo rotondo con Diana, tra altri tavoli rotondi, dobbiamo mangiare, è un incrocio tra un bar e un ristorante. Il cameriere è un signore di mezza età, con i baffi, viene a prendere l’ordinazione e si siede al tavolo con noi. Mi rendo conto che lui e Diana si conoscono, parlano affabilmente, molto vicini, ma io non penso che ci sia una sorta di flirt tra loro, se non qualcosa come la relazione tra una nipote e uno zio, o qualcosa del genere. Mi squilla il telefono, guardo sul display, o forse prima di guardare penso sia Abramo detto Eby, e scocciato mi alzo senza aver fatto in tempo a ordinare il pranzo. Diana mi dice che Leggi il resto dell’articolo