Tre poesie di Francesco “Millelemmi” Morini

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CON L’AIUTO DEL SOLE

Mi avvalgo di un velivolo polivalente volo piu in su di una nuvola
avvaloro la tesi che il divino lo voglia e svalvolo bevo un po’ di vino
in ipso veritas non riverisco a vanvera venvia
vanitas vanitatum et omnia vanitas
sganghera

romberà sovraccarica di elettrostaticità
sto po’po’ d’ammasso di gocce d’acqua rispecchia la caducità
icchè tu ci vedi l’è icchè tu vivi
vigorosi ghirigori intrisi d’ amori e dolori
colori come vagoni rivarossi e lima
ma la breda è la preda e te tu mi chiedi di andare col tram

arretra!
attratti i pianeti la gravità è alta e va compresa,
compensata e compartecipata ti pare compare? Leggi il resto dell’articolo

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Tre poesie di Marco Borroni

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UN MALOX PER L’AUTOVELOX

Ingurgito Malox
dopo aver interagito
con l’autovelox.

Arancione – rosso – foto – click
è in arrivo un’altra multa
ed un nuovo … tic!

Strisce gialle, strisce blu
il parcheggio è un’utopia
ma all’ausiliario do del tu!

Sono esempi, ma di scempi disonesti di sanzioni esasperanti le città si son macchiate fra le urla delle genti. Con la scusa del pirata – criminale senza data – s’è varata un’ordinanza dal sapore di mattanza. Si punisca il criminale, niente sconti alla sua pena, ma si smetta di abusare sul normale cittadino. Il giochino delle foto con il timer a tre secondi ora è noto a noi comuni – guidatori furibondi.

Vigile è spregevole la tua sanzione deprecabile e per l’umile indifendibile la protesta è ineluttabile.
Quando imbrogli e garbugli fanno rima sui tuoi fogli non guardare al portafogli ma allo sprezzo che raccogli. Non ti cedo il mio salario senza alcuna resistenza, annotata in un diario la tua putrida arroganza, la mia rima – il tuo calvario – sarà l’arma di speranza. Leggi il resto dell’articolo

Nuovi scrittori, nuovi lettori. KATACRASH: quando il New diventa Gnu

Leggere Katacrash significa mettersi all’ascolto di un racconto. Il suono, infatti, rappresenta lo scheletro, la struttura portante dell’intera narrazione (intercalari, onomatopee, titoli di canzoni). E non poteva essere altrimenti, visto che l’ultimo romanzo di Fabrizio Gabrielli (Prospettiva, 2009) mette in scena un genere musicale, l’hip hop, e tutto il mondo che ruota attorno alla cultura della doppia acca all’inizio del Terzo Millennio. Come già ricordato altrove, l’autore, circa dieci anni fa, rappava e si faceva chiamare Tsunami Kobayashi. Come a dire che Gabrielli conosce bene la materia di cui tratta. Un romanzo sonoro, interamente costruito sulla forza del linguaggio: l’utilizzo di modalità espressive contemporanee («svario», «benza», «spino»), di un lessico sempre meno famigliare e sempre più metropolitano («bro» per fratello, «bellalà»), contraddistinguono Katacrash, testo sperimentale che va letto ad alta voce con musiche in sottofondo, consigliate appositamente dall’autore (in calce al libro nelle Note a cura di Valentina Vitale). Già, perché il suono riecheggia ad ogni parola e il tratto fonico sovrasta perfino i significati delle parole stesse: ecco allora che MTV si trasforma in «emtivì», rap in «erre a pi», SMS in «essemmesse». La simbiosi tra i vocaboli e i suoni ha chiaramente la funzione di riprodurre i frangenti emozionali dei personaggi in tutta la loro completezza. Si tratta di un mélange che funziona, non fosse altro per quelle acrobazie lessicali che ci ricordano quanti forestierismi, acronimi o sigle hanno ormai contaminato la nostra lingua: «emmepitré», «occhei», «biemmevù». Lo spaesamento è forte, quasi non capisci cosa tu stia leggendo; poi, pagina dopo pagina, ti ricordi che l’autore decompone volutamente la parola per riproportela così come tu non l’avevi mai percepita.

Protagonista indiscussa del volume è la musica, segnatamente quella rap e hip hop, che accompagna la crescita di tre ragazzi di provincia dalle «braghe larghe»: il narratore e i suoi amici Gi (Gionata) e Donnie (Donato). Il Pro-epilogo catapulta il lettore all’interno di un condominio agitato a caccia di un «topo grosso così». Si mobilitano la polizia, i pompieri, tutti i condomini per il «rodeo»: lo scarto tra la descrizione seria dei comportamenti umani e la vacuità dell’evento descritto rende decisamente umoristica la scena inaugurale. La trama è affollata di nomi, situazioni, musiche, rimandi intertestuali (si pensi ai titoli che fanno il verso a ben più note canzoni ed opere letterarie). Trentasei capitoli brevissimi, veri e propri petits coups de pinceau, dove si aprono parentesi riflessive che per un attimo ti costringono a rallentare: figli che cercano modelli da imitare, mentre i genitori preconfezionano loro il futuro secondo le proprie ambizioni; o l’appuntamento fisso, ogni novembre, di manifestazioni studentesche: «magari avessimo letto il testo della finanziaria, avremo anche potuto decidere il perché dell’insofferenza» (p. 48). La punteggiatura (in particolare l’uso abbondante delle virgole) segue il fiato della voce narrante: soggetti messi per inciso, ordo verborum snaturato, termini riproposti in sillabazioni esclusivamente foniche (ken-ne-dici?) e parole stranianti che, invece, sei tu a dover dividere per comprenderle: «pocopiùchebambine», «vattelapescadove», «diotenescampi».

La scrittura di Fabrizio Gabrielli è il tratto originale del racconto: alla fine della lettura è come se in testa ti rimanesse un rumore, un ritmo, una melodia e non il ricordo di aver appena letto un testo. Un linguaggio martellante, un vortice che ti risucchia, un libro fuori le righe, così come instabile e per niente convenzionale è l’adolescenza di cui si narra, con le sue incertezze, precarietà, collassi: «avevamo un background culturale fatto di Otto sotto un tetto, Tangentopoli, Notti magiche inseguendo un gol nanninicamente e bennaticamente scanticchiato, film di Vanzina e al massimo i Quaderni di Gramsci, che solo il più rosso di noi aveva nella libreria anche se non significa che l’avesse necessariamente pure letto» (p. 21). Katacrash è la storia di «tre giovanotti infottati con la doppia acca che vivono la formazione deformata nel destino di una generazione degenere. Finché non arriverà il momento del fragoroso crollo. Fin quando non sarà Katacrash». Così l’autore ha spesso introdotto il suo racconto nelle innumerevoli presentazioni in giro per le librerie italiane.

Il romanzo fa parte della collana BraiGnu della casa editrice Prospettiva. Ricordo che, oltre Katacrash, sono usciti Patagonìa di Dario Falconi e Finefebbraio di Valentina Grotta. Cosa sono i libri BrainGnu lo leggiamo nel sito web della collana: «deflagrazioni emotive, naufragi letterari, derive metropolitane. Scalpitìo di zoccoli nella savana. Tutùm tutùm. Paradosso e mutevolezza. Baratri ameni ed incantevoli, voragini vertiginose e feritoie di luce. Gnu, perché New». Ed è questo il segreto vincente della casa editrice: la propensione al Nuovo, la volontà di dare voce a giovani scrittori (precari) che sentono il bisogno di raccontare il loro mondo, le loro storie, ma soprattutto la loro evoluzione. Niente di scontato. Nessuna ovvietà. I volumi della collana BrainGnu sono alti venti centimetri e larghi tredici, come il muso di un cucciolo di gnu. Tutti i libri hanno lo stesso layout grafico. Si somigliano molto, così come all’interno di un branco di gnu è difficile distinguere un capo dall’altro. Ogni titolo è composto da una singola parola, unica nota di colore su copertine rigorosamente in bianco e nero.

Numerose e degne di nota le attività che ruotano attorno a Prospettiva editrice. Su tutte giganteggia il Premio Carver, nato come contropremio letterario italiano e che si distingue, come avviene nelle migliori accademie americane, per la segretezza della giuria, la quale legge i libri a prescindere dal nome dell’autore. Libertà di giudizio e mancanza della non meritocratica equazione “nome autore-casa editrice” sono i punti cardine del premio diretto da Andrea Giannasi, già definito dalla critica come il Premio Strega o Campiello dei nuovi scrittori. Non vanno dimenticate, infine, la lodevole iniziativa di pubblicare le tesi di laurea ospitandole nella collana “I Territori”, il Giornale letterario, il Festival del libro di Civitavecchia “Un mare di lettere”. E poi il canale ProspettivaTV su youtube e la Rivista letteraria Prospektiva: ogni numero è monografico; l’ultimo, ad esempio, (il n. 52) è dedicato al tema della Traversata. Così la letteratura scende dalla torre d’avorio, fa passi in avanti, si apre ad un pubblico vasto e non per forza specialistico. E i libri, finalmente, vengono letti anche tra i più giovani.

 

Stefania Segatori

[Clicca qui per leggere un estratto di Katacrash]

Intervista a Mishna Wolff

Con “Credetemi, c’ho provato” (Fandango, 2010) Mishna Wolff si mette a nudo e racconta la sua incredibile vita da bianca cresciuta come una nera, le tragicomiche peripezie di un’adolescente in bilico tra due culture.

Un romanzo incantevole e una vita decisamente non convenzionale di cui abbiamo parlato con l’autrice in Italia per la promozione del libro.

 

Alex Pietrogiacomi: Il tuo sguardo sul mondo. Bianco, nero o… ?

Mishna Wolff: Qualsiasi storia che parla di una maturazione e di una crescita come la mia storia, parla in realtà di un cambiamento che ti porta a spostare la prospettiva, il tuo sguardo sul mondo diventa diverso e non vedi più questo come bianco e nero, ma come quello che è: grigio, complicato, pluridimensionale. E quando ero una bambina piccola guardavo il mondo dall’esterno e volevo crescere per entrarne a far parte, ma crescere significava anche vedere le crepe di questa facciata e capire che tutto non è come pensavi da sempre che fosse.

 

A.P.: Qual è la cosa più difficile dell’integrazione per un bianco? E in generale?

M.W.: Non credo che ci sia una differenza, quello che è difficile è restare autentici, quando tutti quelli che ti circondano sono molto differenti da te. Crescendo nel mio quartiere ho capito che la gente non mi avrebbe rispettato o sarebbe stata diffidente se avessi tentato di imitarli in qualche modo, se avessi cercato di essere a tutti i costi come loro, se mi fossi sforzata di piacere. La difficoltà è questa, in situazioni del genere: l’autenticità, il saperla mantenere. Continuando a rispettare le differenze di chi ti sta attorno. Nel libro si legge che ero un’outsider e che ho cercato di imitare gli altri per piacere. A volte funzionava altre no, ma comunque alla fine ero io a non piacermi. Ero spaventata, insicura, ma indossavo una maschera che non mi apparteneva…

 

A.P.: Scrivi che al tempo del trasferimento nel ghetto, si poteva essere talmente poveri da non potersi permettere di essere razzisti, credi che sia ancora valido questo discorso?

M.W.: Era un tempo di controcultura dove c’erano gli hippy bianchi che si trasferivano nel ghetto per far crescere i loro figli, succedeva in parte per motivi economici e in parte per motivi politici. Nel nostro caso non era così però, perché i miei nonni abitavano lì, poi si sono trasferiti in un quartiere migliore lasciandoci casa. Noi siamo sempre stati poverissimi perché mio padre combatteva sempre per riuscire a tenersi un lavoro, ma i nostri vicini pensavano che fossimo poveri apposta, visto che essendo bianchi non potevamo esserlo.

 

A.P.: C’è una grande quantità di nomi neri nel tuo libro, lanciati qua e là, presi dalla musica, dalla storia e dalla letteratura, come ad esempio Iceberg Slim. Come hai vissuto questo tipo di contraltare alla cultura bianca?

M.W.: Io rimanevo assolutamente stupefatta di come nella scuola dei bianchi i miei compagni non conoscessero nomi che per me erano assolutamente imprescindibili come Huey P. Newton, co-fondatore dei Black Panthers che aveva coniato lo slogan Fight the power,del fatto che non avevano mai sentito parlare di George Benson, Run DMC, mentre invece erano ferratissimi su The Smiths o Beastie Boys. Ecco non capivo proprio come si potessero ascoltare i Beastie Boys mentre nel mio quartiere si ascoltava il vero Rap, quello appunto dei neri.

 

A.P.: Prendere la propria vita e raccontarla al mondo. Voglia di sfogarsi? Un atto di ribellione verso il padre o un’assoluzione?

M.W.: Io diciamo che ne ho sempre parlato della mia vita, ma dopo 6 anni da modella mi sono resa conto che dovevo parlare, che avevo qualcosa da raccontare e quando cominci a parlare ti rendi conto che non sei più “cibo” e che hai qualcosa da dire, quindi la prima ribellione è stata proprio questa, il cominciare a parlare, quando non volevo essere più un oggetto. Il primo saggio che ho scritto sulla moda ha offeso molte persone, ma questa storia, che ho impiegato dieci anni a metabolizzare prima di scrivere, mi ha stupito perché non pensavo che la mia vita potesse essere letta come “così speciale”, così diversa, e questo l’ho capito raccontandola. Ho avuto però bisogno di molto incoraggiamento dall’esterno prima di poterlo fare.

 

A.P.: Dopo aver scritto il tuo romanzo cosa hai scoperto in più su tuo padre e su di te?

M.W.: Credo di aver scoperto qualcosa di più sulla narrazione in realtà e cioè che la perfetta commedia e la perfetta tragedia si ottengono quando hai due persone con punti di vista totalmente conflittuali e che hanno entrambe ragione.

 

A.P.: Dove finisce la vecchia Mishna e dove comincia la nuova?

M.W.: Non credo che la vecchia Mishna sia mai finita, spero di essere in continua mutazione.

 

A.P.: Cosa butti della tua vita nel quartiere e cosa tieni assolutamente?

M.W.: È una domanda molto difficile. Io avevo molti giudizi su persone che ritenevo più privilegiate, più “bianche”, sono venuta al mondo con molti pregiudizi su parecchie cose che ritenevo borghesi e alcuni di questi erano profondamente sbagliati. So che non suona molto ribelle, però ci sono altre prospettive, altri punti di vista che non sono sbagliati. Certo non potrei mai essere testimonial del manifesto del capitalismo, per me tutti quelli di Wall Street dovrebbero essere ammanettati, però avevo molto bagaglio superfluo su alcuni concetti come il successo, il denaro: guardavo chi aveva i soldi e davo per scontato che fossero dei deficienti, ma non sapevo cosa succedeva veramente nella vita, nelle case delle persone. Butto via questo. I giudizi. Tengo assolutamente il divertimento! Perché crescere così è stato folle ma divertente, i ragazzini erano spontanei in un modo che non ho più avuto modo di vivere, sapevano raccontare storie e lì ho imparato perché se non sapevi farlo non avevi il diritto di parlare. E le donne nere che ho incontrato portavano avanti famiglie, avevano un senso di responsabilità, di comunità meravigliose. Donne incredibili.

 

A.P.: Ti sei avvicinata alla musica, sei una scrittrice, una bianca e una nera, modella… in queste tue “anime” qual è il comune denominatore?

M.W.: La curiosità.

 

A.P.: Cosa hai trovato in Italia?

M.W.: Ho viaggiato molto in Italia e la cosa che mi piace di più sono gli italiani perché sono molto acculturati ma anche capaci di stare insieme, di divertirsi. E queste due cose non sempre vanno di pari passo.

 

A.P.: Cos’è l’ironia per te?

M.W.: Tutto. È vedere la scena che si scrive da sola, tu che osservi lui e lei e ti rendi conto che tutto è perfetto e non vedi l’ora di scriverlo.

 

A.P.: Come andava con i tuoi ragazzi quando gli raccontavi la storia della tua vita? Hanno mai pensato di trovarsi davanti una svitata?

M.W.: Li preparavo, gli spiegavo la situazione dicendo che mio padre era veramente grosso. Cercavo di fargli accettare la situazione e loro pensavano che esagerassi, ma poi capivano e ci credevano davvero, altro che svitata!

 

Alex Pietrogiacomi

Io, mammeta e tu *

L’autore/caramella e l’eterno riverbero della rete

 

Io e la “gente mia” siamo da anni in lotta con l’editoria a pagamento: li prendiamo per il culo, con le loro proposte ci facciamo il rap. Da anni insegniamo ai giovani autori le insidie dell’editoria a pagamento e ai nostri editori gli effetti benefici del Copyleft: la scrittura è essenzialmente politica, è fatta di scelte, di rinunce, di secondi lavori, di notti insonni, ma anche di soddisfazioni e di amici.

Ultimamente ci viene il dubbio atroce che la colpa di molti tristi avvenimenti non sia unicamente dei “caramellari” che si fingono editori ma anche delle “caramelle” che si fingono autori. Ci sono una miriade di pubblicazioni e di siti che ti spiegano come prendere il toro per le corna eppure con molta ingenuità molti “autori” continuano a carezzargli le palle.

Com’è possibile che un giovane autore si possa accontentare di promesse fatue, senza uno straccio di contratto o come si può ad esempio pensare che un’opera prima vada bene così, che sia un capolavoro tale, ove non intervenire per nulla nell’editing?

Ma di esempi ce ne sono a bizzeffe: quello non è un editore a pagamento però pubblica un’antologia di 36 autori in sole 36 copie; quello non è un editore a pagamento ma pubblica il libro della giovane “ufficio stampa”, senza leggerlo, senza contratto, che poi si vede, che le “ufficio stampa” sono un po’ le veline dell’editoria; quello non è un editore a pagamento ma ti chiede quanti parenti hai, o se sei inserito su qualche piazza. A questo punto la domanda sorge spontanea: ma davanti a editori caramellari che non vogliono avere alcuna notizia sul progetto editoriale del vostro libro, sulle vostre esperienze di scrittura, sulle vostre letture preferite; davanti a editori che non vi fanno una semplice domanda: “perché dovrebbero comprarsi il tuo libro?”, non vi viene forse il dubbio che ve lo stanno piazzando dalla parte sbagliata, che forse l’acquirente principale cui si rivolgono siete voi stessi e la vostra piazza?

Davanti a un editore che ti lascia mettere in copertina la foto del tuo gatto o quella di tuo fratello che si taglia le unghie dei piedi, non ti viene qualche dubbio che le cose non stiano andando per il verso giusto?

Io la chiamerei “coercizione e consenso”: ormai la voglia di vedere le proprie cose pubblicate, sia pure in 3 copie (la famosa formula “io, mammeta e tu”), è più grande di portare a termine un’opera seria e degna di esser chiamata tale.

In questo discorso il Copyleft s’inserisce come lama nel burro, molti degli autori/caramella, infatti, hanno spesso un network di tutto rispetto che leggerebbe le loro cose, cui le loro cose, se pubblicate in rete, arriverebbero in modo diretto, ci sono i mezzi, sono gratuiti, sono alla portata di tutti. Eppure l’autore/caramella cerca il caramellaro come il topo cerca il formaggio.

Anche le piccole autoproduzioni in cui spesso s’incappa, il più delle volte sono una mera masturbazione intellettuale, senza frode certo, ma con poche copie irraggiungibili e lontanissime dall’eterno riverbero che concede invece la rete.

Analizziamo il proliferare di editori poco seri e non ci rendiamo conto che parallelamente c’è un grandissimo sviluppo di autori/caramella che si venderebbe la madre pur di pubblicare per poi cadere dalle nuvole quando gli si presenta il conto.

E’ come dire “io non voto Berlusconi” e non accorgersi che una miriade di stronzi l’ha già votato.

Con questo, ripeto, non difendiamo il lavoro dei caramellari, ma ci piacerebbe, visto che le notizie ormai sono alla portata di tutti, che gli autori/caramella rimanessero a casa a studiare.

Luca Moretti

* Pubblicato già su TerraNullius

 

Poesia precaria (selezionata da A. Coffami) – 16

Se cercate della poesia classica non cercatela certo in GOME ZETA.

Rapper e poeta, poeta/rapper, poesie su beat ed intralci mentali dove ci si perde e solo alle volte ci si ritrova. Cunicoli cubici di termini e lettere, incastri e rime con simbologie e significati che creano giochi di rime ed immagini geniali quanto bizzarre.

Conobbi GOME ZETA a Milano e con lui presi parte al progetto FOLLI TRA FOGLI (insieme a Mary Nicole e Marco Borroni) e rimasi affascinato dai suoi testi completamente avulsi dal mondo hiphop che tanto amo. Poesia allo stato puro, estrema, cervellotica e spiazzante. Abile improvvisatore di strofe agghiaccianti e MAI banali, GOME ZETA si cimenta nella poesia “avanguardista” e sperimentale (toccando di conseguenza punte classiche e futuristiche). Alcuni testi e brani sono visionabili e scaricabili dal suo myspace, null’altro ho da dire, offritegli una scacchiera e ne sarà felice.

Andrea Coffami

Attendenti

Figure

sull’uscio

del quadro.

GOME ZETA

Gara tra Urani

Gara tra urani mentre la mendegli umani si estende –ndo i limiti del cosmo in progressione a 3 x tre ntaseichi-lometri orari per 10 alla setterritori verbaliberati dai sen si aggiran nei deserti titubanti poiché privi di vista/sui borDi un gradino che da su un abisso/balaustra sul dipinto con luna/radura a ridosso di un colle in cui cristo dispiega sei zampelosecernendo fune ascende a gran madre ragno dei cieli /la vedi la trama?la vede e la brama ora che la comprende può toglier le bende alla dama fortuna scoprende-one assenza di occhi us errature alla porta del volto orneranno a girariaprendo sorriso sua chiave/

esercizio di senso,astrazione del flow emissione di flusso dal fiore più basso di effe nave dei sensuiflussi di t increspano in flutti di S/O S oso so o e(S)se

GOME ZETA