“Un viaggio d’affari”, Scrittura Industriale Collettiva
aprile 2, 2012 Lascia un commento
In vista della prossima uscita di In territorio nemico, aka “Grande Romanzo SIC”, continua la pubblicazione su Scrittori precari dei racconti scritti col metodo SIC, in una versione interamente revisionata e corretta. È oggi il turno di Un viaggio d’affari.
Scritto nella seconda metà del 2007, Un viaggio d’affari è il secondo racconto SIC. Lo scopo per cui nacque fu sperimentare il metodo SIC rispetto a contenuti simbolici e allegorici. Altra caratteristica cruciale di questo racconto è il fatto che durante la produzione cambiarono alcuni scrittori: ai personaggi ha lavorato dunque una squadra dalla composizione differente rispetto a quella che ha lavorato all’ambientazione e alla stesura, involontario test di una modalità di lavoro che sarebbe stata poi cruciale per la stesura di In territorio nemico, nei lavori del quale erano continuamente all’opera su diverse parti del testo gruppi sempre diversi di 6-10 scrittori.
Versione scaricabile: Un viaggio d’affari.
Un viaggio d’affari
Direttori Artistici: Gregorio Magini, Vanni Santoni.
Scrittori: Umberto Grigolini, Gianni Sestucci, Sara Mazzini (solo schede personaggio), Gabriele Merlini (solo schede personaggio), Virgilio Pedrini (solo schede personaggio), Jacopo Campidori (schede personaggio escluse), Enrico Nencini (schede personaggio escluse).
La mattina del 23 aprile 1992 John Jerome Rose partì da Charlotte per non tornare mai più.
La sera precedente percorreva il corridoio che conduce all’ufficio del signor Ernest Goodbowers, presidente e proprietario della Carolina Packaging. John sapeva già quel che l’aspettava: l’ufficio avvolto nella penombra, e l’enorme sagoma del suocero in fondo, seduto verso la finestra aperta, di spalle alla scrivania, assorto nella contemplazione dell’oscurità della sera inoltrata. Il vecchio si sarebbe voltato ruotando la poltrona e lo avrebbe fissato per qualche secondo di troppo; avrebbe infine parlato con voce fredda, come al vuoto.
John bussò e si mise in attesa. I consueti venti secondi prima che il silenzio dall’altra parte lo autorizzasse a entrare. I piedi sulla moquette non avrebbero prodotto alcun suono. Si sarebbe seduto sul basso divano davanti all’entrata, senza chiedere il permesso: in tanti anni, quello era il massimo della confidenza raggiunta col suocero. Ernest si sarebbe goduto in silenzio la sensazione di spaesamento che il suo ufficio provocava in lui come in tutti gli altri ospiti. La stanza era grande, ma sembrava quasi un corridoio per quanto era schiacciata nel senso della lunghezza. Le pareti erano rivestite in legno scuro; le lampade, coperte da pesanti paralumi, creavano poche isole illuminate, raccolte e irraggiungibili. Neppure l’abitudine Leggi il resto dell’articolo
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