La società dello spettacaaargh! – 6

[La società dello spettacaaargh! 1 – 2 – 3 – 4 – 5]

Caro Jacopo,

non ci avevo fatto caso, ma è più di un mese che ci alterniamo nello sbrogliare il famigerato gomitolo da cui tu hai tirato un primo filo. Questo dannato groviglio mi pare rimanga bello grosso e intricato, eppure qualcosa siamo riusciti a dipanare.
Archiviamo quelle definizioni che hai riassunto, ma con una riserva. Non sono convinto che l’assurdo «non dia scandalo»: o meglio, «scandalo» è una parola assai complicata e che può voler dire molte cose, è un nodo che va sciolto con cura e sano puntiglio; non a caso, in effetti, il suo antico significato è “trappola”, per cui o ci sono cascato dentro io, o bisogna davvero muoversi circospetti. Da noi l’assurdo produce indecenza e indignazione in abbondanza: dico quella autentica, quella che ci fa scattare quando un Brunetta se ne va dicendo «siete l’Italia peggiore». Il problema, mi pare, nasce quando si passa al «che fare?». E «che fare?», dall’omonimo libro di Lenin alla conclusione di Fontamara di Silone, non è una domanda da poco, e non è legata solo al qui e ora. Io avevo parlato di «distruzione di relazione logica con la realtà», perché mi pare quello l’effetto principale, l’emanazione più diretta a partire dalla fonte. Forse col tempo e nel tempo, per sfinimento, un uomo può arrivare all’indifferenza, al non provare più alcuno scandalo, ma non ritengo lo si possa dare per scontato: non sarebbe fatalista, da parte nostra? Leggi il resto dell’articolo

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La società dello spettacaaargh! – 1

Caro Matteo,

ho cercato di distinguere le questioni che mi turbano da qualche anno a questa parte, di dare loro un ordine. Sono aggrovigliate, vorrei fare un po’ di chiarezza e non so bene da dove cominciare: se dalla volgarità, o dal problema dell’ironia reificante, o dal trolling sofistico della nuova comunicazione, o dall’idolatria e dalle tifoserie, o dallo scetticismo etico, o dal cinismo e dal nichilismo, o dagli applausi ai funerali e dalla tecnomistica delle simulazioni collettive di dolore, o dalle “narrazioni”, se siano necessarie o siano sempre e comunque contraffazioni, o dai “moralista”, i “dài cazzo”, i “me l’hanno ammazzato due volte” che ci parlano e sembrano trasformarci in automi ponendo in discussione anche la nostra presupposta autonomia mentale; e credo che di tutte queste faccende in fondo discuteremo.

Provo a tirare il primo filo che capita per vedere se possiamo cominciare a sbrogliare la matassa. Leggi il resto dell’articolo