“Bagatelle”, Scrittura Industriale Collettiva

In vista della prossima uscita di In territorio nemico, aka “Grande Romanzo SIC”, continua la pubblicazione su Scrittori precari dei racconti scritti col metodo SIC, in una versione interamente revisionata e corretta. È oggi il turno di Bagatelle.

Bagatelle è il sesto racconto SIC. Conta poco meno di sedicimila battute, e ha richiesto tre anni di lavorazione (2008-2011). È un racconto fantastico in cui si delinea la storia della civiltà occidentale dalla rivoluzione industriale a oggi, attraverso le trasformazioni del gioco da tavolo “bagatelle”, antenato dell’odierno biliardo. È stata la prima produzione SIC a vedere il coinvolgimento degli scrittori nella definizione del soggetto (attraverso il generatore di pagine Wikipedia casuali wikirandom.org, appositamente sviluppato), e a prevedere il defacement di una pagina di Wikipedia (quella, appunto, sul bagatelle. È leggibile a questo indirizzo la versione deturpata). Il direttore artistico della produzione, Magini, non ha mai letto la versione definitiva, poiché Santoni, editor, modificò più del 70% del testo per renderlo, a suo dire, “comprensibile”.

Versione scaricabile: Bagatelle (PDF).

Bagatelle

Direttore Artistico: Gregorio Magini
Scrittori:
Daniela dell’Olio, Francesco D’Isa, Umberto Grigolini, Matteo Salimbeni, Luciano Xumerle
Editing: Vanni Santoni

La festa d’inaugurazione del Petit Château languiva. Nella sala guarnita di pizzi e parrucche, il Re si annoiava e non rideva. I cortigiani si annoiavano ma ridevano. La Regina si annoiava, rideva e mostrava i lussi del castello. Il Re riunì le palpebre a convegno e si addormentò.
Venne il Conte D’Artois, la fronte sudata, il fare deciso. Con sé un tavolo. Nel tavolo delle buche, inframezzate da chiodi. Tra i chiodi e le buche, delle biglie. La Regina si atteggiò curiosa. I cortigiani si assembrarono. Il Conte cadde con lo sguardo nella scollatura della Regina, ma subito si ricompose:
– Vostre Maestà, Mie Signore, Signori, vi presento il Babiole!
– Foggia curiosa!
Il Conte illustrò il Babiole. Il tavolo, i chiodi, le buche, le biglie. I cortigiani ascoltarono. Le biglie andarono in buca. La Regina rise. Il Re alzò le palpebre; ricordò. Era autunno; il giovane con la fronte sudata era suo fratello; era festa; sua moglie era austriaca. Sospirò. Si riaddormentò.
Il gesto parve un responso. Il Conte s’innervosì.
– Avete capito? Ogni biglia ha una buca. Ogni buca è un punto. Ogni punto è un Babiole!
Ma nessuno giocò. Nell’eco di un brusio, la sala già si muoveva a riprendere le libagioni. La Regina emanò un profumo di lavanda e rise annoiata. Leggi il resto dell’articolo

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Atti impuri 2

Vi segnaliamo con molto piacere l’editoriale del secondo numero della rivista letteraria Atti impuri.

 

Pochi mesi fa, nell’inaugurare il primo numero di Atti impuri, il miglior auspicio che avevamo immaginato per il futuro di questa desideratissima follia era di poter assistere, nei giorni a venire, alla sua crescita, al suo prolifico mutare, soprattutto alla sua volontà di trasformarsi in un catalizzatore di contagiosi atti creativi. La nostra più presuntuosa ambizione era insomma quella di modellare a dita nude un luogo a tal punto confortevole da convincere moltitudini di voci combattenti a trasferirsi presto in stanze nuove tutte da arredare. È ancora presto per azzardare bilanci, il mostro ha appena iniziato a camminare, e prima di vederlo correre a perdifiato ci vorrà del tempo, mesi, forse anni; nondimeno, alla stregua di fratelli illegittimi e gelosi, non possiamo fare a meno di contemplare con una punta d’orgoglio i suoi primordiali vagiti, curiosi e felici nell’assistere alla graduale espansione del nostro maleducato compagno di giochi. Dal suo corpo impuro sono già spuntati timidi lacerti di mani, abbozzi di piedi, cenni di iridi multifocali proiettate verso orizzonti lontani. Sulle sue spalle hanno cominciato a trasferirsi i primi inquilini, una fluida e quanto mai eterogenea colonia di parolieri provenienti da ognidove. Per favorire il continuo viavai di gente, le camerette sono state volutamente sprovviste di porte, e al silenzio del pre-bigbang si è pian piano sostituito un composto brusio che a breve verrà spazzato dalle feste del chiasso.

Eccoci dunque al numero due, ovvero la rizomatica geografia di ambienti che state sfogliando, e in cui siete invitati a fare i conti con testi inediti e autori tutti da scoprire. Alcuni di loro hanno già pubblicato svariati libri o addirittura scalato classifiche, altri si sono affacciati sul mondo editoriale da pochissimo, altri ancora lo fanno adesso per la prima volta in assoluto. Tutti, però, sono accomunati dalla stessa necessità, dall’identica urgenza di parolificare, di costruire mondi probabili, linguaggi possibili. E, naturalmente, dal talento nel farlo.

Alla consueta e voluta prevalenza di scrittori italiani, abbiamo deciso per questo numero di selezionare una folta schiera di voci straniere, scegliendo di andarle a scovare nel suolo fertile della lingua russa. Gli autori proposti abitano l’universo letterario in forma di monadi, di nuclei autonomi capaci di innescare resistenze all’usura dell’immaginario, occupando i luoghi della dismisura e dell’eccesso. Luoghi che, come in passato, rivelano i misteriosi intrecci tra il presente e la sua ombra, in Russia in modo particolare. A popolare la sezione Il prossimo tuo, dunque, scrittori pressocché sconosciuti al pubblico italiano – eccetto Alexandra Petrova, che vive a Roma da diversi anni – sebbene tutti e quattro godano in patria e in altri paesi (più attenti per tradizione ai suoni e ai sogni slavi) della curiosità e dell’affetto corrispondente al loro enorme valore.

La sezione poetica, All’infuori di me, è invece dedicata a Fabrizio Bajec, il cui lavoro seguiamo e apprezziamo da tempo, per la non comune capacità di scovare parole e immagini così immanenti da farsi remote.

Altra particolarità di questa uscita è l’avvio di una collaborazione con il Premio Calvino, grazie al quale pubblichiamo volentieri La perla delle Dolomiti di Antonio G. Bortoluzzi, uno degli autori finalisti dell’edizione 2009. Considerando come sia oggidì davvero eccezionale la pazienza con cui il Comitato di Lettura del Calvino esamina e commenta tutti i testi che riceve, Atti impuri seguirà con attenzione anche l’edizione 2010 del Premio, sperando di potere così aiutare a fare conoscere nuove opere ancora inedite di altri esordienti di qualità.

Infine, tanto per non farci mancare nulla, un’ultima chicca per la sezione Nelle acque sotto la terra, che dopo aver ospitato l’Estridentismo Messicano viene oggi impreziosita con un epistolario disperso firmato addirittura dal più immortale fra i draghi della letteratura universale: François Rabelais.

Potevamo forse sperare in compagni di viaggio migliori?

sparajurij

I LIBRI ALL’INDICE

Che questi anni verranno ricordati come decadenti e oscurantisti non è certo una novità. A preoccupare, piuttosto, è il pericolo che ci si abitui al peggio, che si abbandoni lo spirito critico nel nome di un vecchio adagio: tanto non cambia niente, a che scopo indignarsi!

L’Italia, da questo punto di vista, è un laboratorio perfetto: paese crivellato di scempiaggini dalla mattina alla sera, popolo assuefatto alla moda delle barzellette apparenti, benché non certo inoffensive. Ad abituarsi alle sparate, infatti, si finisce col rimanerci impallinati.

L’ultima, ma solo in ordine di tempo, è quella di Raffaele Speranzon: l’assessore alla provincia di Venezia ha infatti proposto alle biblioteche di Venezia (ma estendendo l’invito anche alle altre province venete) di mettere all’indice tutti quegli autori che nel 2004 firmarono l’appello per la scarcerazione di Cesare Battisti.

Quest’ultimo, come sottolineato sul sito di Giap, è soltanto un pretesto: e rischia di diventare un pericoloso precedente (nella storia recente, s’intende), che consentirà in futuro di compilare altri elenchi di proscritti.

Difatti, qui non stiamo parlando di un “semplice” invito a non leggere certi autori, ma dell’intimazione a eliminarne i titoli in luoghi pubblici come le biblioteche, fondamentali per tutte quelle persone che si ritrovano nell’impossibilità di acquistare libri. Stiamo quindi parlando di una grave limitazione della nostra libertà (l’ennesima, in un paese che si spertica quotidianamente nel lodare un termine che sembra ormai svuotato di ogni significato), di un proposito autoritario che è figlio di un pensiero violento: quello  di chi si arroga il diritto di scegliere per noi cosa sia giusto leggere e cosa no.

Invitiamo quindi chiunque voglia prendere le distanze dall’iniziativa dell’assessore a scrivere direttamente al suo indirizzo di posta elettronica: raffaele.speranzon@comune.venezia.it

Scrittori precari

La critica letteraria spiegata ai giovani

«Noi giovani vogliamo leggere i libri giusti contro il sistema».

Allora fatevi consigliare dai rockettari, che notoriamente hanno ottimi gusti letterari, di solito orientati verso il fantasy e l’horror. Almeno, i rockettari seri. Poi ci sono i rockettari melodici, e poi, in fondo ma proprio in fondo alla lista ci sono i rockettari melodici italiani, per intenderci i fan di Ligabue o di quell’altro lì, che fa i video con gli elicotteri fregando le canzoni ai gruppi inglesi e americani per devastarle, o ammucchia palate di miliardi cantando della droga e della figa, o nel delirio di onnipotenza si veste come Bono.
Poi succede che ammucchiati i miliardi parlando di fighe, e nel frattempo ridottosi il paese allo sfascio (non certo per colpa sua), quel rocker melodico vuole devolvere dei soldi a una causa. Come causa da difendere sceglie lo sfascio della cultura, mica pizza e fichi. Così facendo, il benefattore delle patrie lettere si compra anche la stima di chi lo disprezza da sempre.

«Eh, ma io ascolto i Linkin Park».

Fai bene. Mentre gli ultimi elementi architettonici che decorano le facciate delle nostre illustri università crollano sulla testa di voi studenti, e si evacuano le aule perché i pavimenti sono pericolanti, e le folle di vostri docenti a contratto si portano i termos di caffè da casa perché con 300€ a modulo col cazzo che ci scappa al bar, succede che l’esercizio della critica letteraria – come molte altre discipline – si trovi lievemente in difficoltà.
Così il giovane… ehm… il critico letterario si esaspera di avere come interlocutori dei celebrolesi centenari che trovano molto onorevole resistere all’impatto dell’intonaco sulla testa e urlano il loro dolore nel girotondo, e se ne fugge in Rete. In Rete trova molti transfughi come lui, nascono alleanze, si fanno riviste, si parla molto e si fa anche un sacco di slalom fra i lettori medi che non vogliono accademici fra i coglioni, molto giustamente peraltro. La Rete diventa la striscia di Gaza. Poi Zuckerberg ha un’idea geniale: facciamo un coso dove la gente incontra i vecchi amici e se ne fa di nuovi, ci mettiamo anche le tazze di caffè e tè virtuali, così il critico a 300€ al semestre risparmia anche sul termos. Il resto purtroppo è storia.

«Guarda che io facebook lo uso per le cause».

Non discuto. In Italia abbiamo molti motivi per essere tristi, però ne abbiamo uno per essere veramente orgogliosi, e non lo dico con ironia: abbiamo alcuni (pochi) scrittori molto talentuosi, che un tempo il critico avrebbe definito “viventi”, ma ora si dicono giovani, anche se hanno fra i quaranta e i cinquanta anni. Questo perché in Italia l’alternativa è o giovani o morti. Solo a pochissimi è riservato il privilegio di essere morti viventi dotati non di diritto bensì aihmé di dovere di parola, come Napolitano. Non ditemi che offendo le Istituzioni, perché sono le Istituzioni che offendono me ogni giorno, quando non posso fare il mio lavoro, o voi quando entrate a scuola o all’università.

«Appunto, allora dimmi chi devo leggere per essere contro il sistema».

Aspè che ci arrivo. Anche i nostri scrittori davvero giovani, cioè quelli poco più che trentenni sono molto bravi, ma qua inizia la seconda parte della storia.
In Italia, come ovunque nel mondo, ci sono l’editoria e il mercato. Funziona così, in ogni parte del mondo: le grosse case editrici creano il best-seller e con gli introiti finanziano le opere di valore. Ovunque questo sistema funziona benissimo, e mette chiunque con qualsiasi retroterra culturale in grado di esercitare la pratica della lettura, che non fa mai male. A questa affermazione si sente spesso obiettare che piuttosto che leggere spazzatura è meglio non leggere affatto. Non sono d’accordo, forse perché ultimamente frequento dodicenni, e noto che sono in grado di articolare un discorso con senso compiuto solo quelli che si sono letti la saga di Harry Potter per intero, invece di guardare la televisione. C’è una cosa nella lingua che si chiama vocabolario, e lo si rafforza solo leggendo, non ci sono cazzi. Benvengano quindi i best-seller se permettono anche a chi non ha strumenti culturali di imparare qualche parola in più, e di dare libero sfogo all’immaginario avvilito dalla quotidianità. Qua chiudo l’elogio del best-seller e apro la nota dolente.
In Italia, diversamente dal resto del mondo, esistono i premi letterari colonizzati dalle case editrici che se li accaparrano a turno. Siccome per l’italiano è fondamentale la marca, che è sinonimo di qualità, anche i libri devono essere di marca, ovvero avere vinto il Campiello o lo Strega. Senza il bollino d.o.c. un libro non è un libro. Uno scrittore senza bollino non è nemmeno uno scrittore, è come il finto Parma o il finto Grana. Sarà forse un insegnante sfigato e povero con ambizioni letterarie, perché uno scrittore vero vive della sua arte, e quindi deve avere il bollino, altrimenti è un fallito. Inoltre, è fondamentale che uno scrittore sia in grado di mantenere un livello di vita alto, perché il vero scrittore veste bene, con abiti di qualità, e quindi non può essere povero, sennò come fa a trombarsi le fighe dell’editoria? Se non fa palate di soldi con la scrittura, deve essere ricco di famiglia. Tutto ciò farebbe ridere se non fosse vero e quindi tragico, e spiega anche perché le scrittrici non hanno tempo da perdere nei dibattiti letterari, visto che lo passano a correggere a titolo gratuito le bozze di scrittori aspiranti al bollino, e se aspirano loro stesse al bollino, il loro tempo lo devono impiegare in altri esercizi con gli scrittori d.o.c. o meglio ancora coi piani alti dell’industria del best-seller, ché uno: si fa prima e due: si fa una buona azione, perché la grossa casa editrice con i loro best-seller finanzia le opere di valore.

«Tutto bello, ma noi giovani vogliamo sapere quali sono i libri da leggere contro il sistema».

Ok, ci arrivo, però metti via quel cazzo di I-phone. Siccome il libro non arriva ad avere il bollino se non è stato recensito da chi conta, allora è fondamentale che lo scrittore povero – cioè più o meno qualsiasi scrittore in questo paese – attiri l’attenzione del recensore. Nel campo della cultura di massa, in Italia nessuno ha più potere di chi è messo nella condizione di scrivere recensioni su quotidiani e riviste. E siccome il critico letterario, cioè chi ha seguito un percorso di studi che gli permette di esercitare l’analisi del testo…

«La che?»

…il critico insomma, come abbiamo visto è impegnato a schivare l’intonaco e i baroni mammuth nel mondo reale e i troll in quella virtuale, lo si può dare tranquillamente per estinto. Allora il recensore, cioè quello che anche senza percorso di studi e spessissimo senza sintassi adeguata è messo nella condizione di elargire consigli di lettura, è scambiato per l’invisibile critico letterario. In tutto ciò, la parola “filologo” è diventata un insulto: un ente senziente anomalo che si occupa di catabasi e non certifica i libri in vista del bollino d.o.c. è inutile.
È abbastanza noto che questo particolare periodo della storia d’Italia conta come caratteristiche principali il predominio politico dei finti fascio-secessionisti e del loro capo supremo, che si è fatto plastificare in vita in modo da durare più a lungo possibile. Non è molto noto invece il modo in cui questo predominio è stato raggiunto, quindi vale la pena ricordarlo. Nell’arco dell’ultimo ventennio si è smantellato il sistema educativo e lo si è rimpiazzato con quello televisivo, sicché voi ventenni vi siete formati al magistero di Mediaset. Le case farmaceutiche godono, gli psichiatri anche: vanno a ruba gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina e il Ritalin. Nei blog letterari si discute da anni della funzione dello scrittore senza giungere ad alcuna soluzione condivisa. Si dice che è scrittore chi scrive qualsiasi cosa e pubblica i propri testi ovunque, su carta o Rete, non fa differenza. Si può concordare, ma ci sarebbe un’altra funzione dimenticata, cioè quella intellettuale, che consisterebbe nell’esercitare una critica serrata al sistema. Solo che gli scrittori sono così impegnati ad ottenere certificazioni d.o.c. che alla funzione intellettuale hanno sostituito la piaggeria più misera verso i recensori sponsorizzati dalla società dello spettacolo, e quindi spettacolarizzati a loro volta. Alla critica al sistema preferiscono il sex-appeal, di modo che i recensori possano suggerire a voi ventenni formati al magistero di Mediaset quali scrittori leggere.

«Hei, ma è tutto una merda. Vabbè tanto adesso inizia South Park e domani vado a Berlino».

Claudia Boscolo

La fiction letteraria – 2

E siamo qui di nuovo a parlare del magico mondo in 3D dell’editoria italiana, o meglio, di un certo tipo di editoria italiana, di quella che ti chiede soldi per la pubblicazione ed ora anche per la PROMOZIONE!!!

Qualche tempo fa mi arriva bel bello nella mia posta di facebook una meil da Piergiorgio Leaci (che io stimo come scrittore ma con questa proposta mi è caduto proprio) che mi scrive:

Gent.li Signori, (e già qui si toppa, perché nella meil cumulativa ci stavano anche gentili donzelle, ma vabbé sticazzi, lo si sa che il mondo della scrittura è misogino)

sono Piergiorgio Leaci, direttore dell’agenzia letteraria Interrete. Stiamo ora lavorando al casting di un’importante iniziativa promozionale televisiva dedicata agli autori e ai loro libri: Book Generation. La visibilità che l’autore ottiene di sé e del libro è davvero considerevole. (Anche le mie tette sono considerevoli ma mica vado a dirlo in giro).

Per questo la preferiamo alla solita pubblicità attraverso internet o all’invio di comunicati e recensioni. La trasmissione televisiva è un veicolo commerciale attivo che una volta in onda, raggiunge direttamente il pubblico. (WOW!!!) Ecco i dettagli:

Bookgeneration è un format televisivo che tratta di libri (Cacchio, pensavo di generazioni). Saranno gli autori in prima persona (7 ogni puntata) che, pungolati dall’ideatore del programma Andrea Giannasi, parleranno della loro opera. (Se mi pungolano ho delle erezioni, dovrò mettermi dei pantaloni stretti).

Book Generation è un format tv che andrà in onda su 5 televisioni Sky, 100 emittenti regionali, sarà visibile in 40 centri commerciali e 120 porti grazie al supporto del circuito di PortTV.
Book Generation non ha una struttura verticale tradizionale delle trasmissione tv, con l’accesso ai vertice ostruito, ma orizzontale e dunque aperta a tutti gli scrittori. (Ma tipo web-tv? Cioè cose già esistenti che ci spacciano per novità? Però è una soddisfazione vedere il proprio libro nel porto di Genova… magari che galleggia in acqua)

Gli scrittori possono decidere di partecipare direttamente o far mandare in onda solo un book trailer del loro libro senza apparire. (Noooo! Non ci credo! Cioè uno paga 200 euro e manco va in trasmissione? Vabbè ma allora è un pazzo! Idea per book trailer: Primo piano sul pene di un ventenne che si masturba infilando il membro nel collo di una gallina sgozzata. L’inquadratura si alza e scopriamo che con l’altra mano il ragazzo stringe un libro aperto che sta leggendo. Voce fuori campo che dice: “Non sottrarre tempo alle tue passioni, leggi il nuovo libro di Costantino Vitaliano”)

Ogni puntata avrà sette libri e la prima serie di Book Generation prevede solo dieci puntate. L’inizio delle riprese è previsto per la metà di marzo 2010. Il costo per la partecipazione è posto in euro 200,00 da versare tramite vaglia intestato a
Piergiorgio Leaci Via Mxxxxo 44 – 73051 Xxxxxi (LE)

(Beh qui non c’è nulla da commentare, le immagini parlano da sole. Però facciamo due calcoli, 200 euro a puntata, in ogni puntata 7 autori, 7×2 14… 1400 euro. Ma chiedere soldi a degli sponsor no? Ah ho capito, gli sponsor eravamo noi, che stupidino che sono.)

Per vedere la puntata pilota: bookgeneration.wordpress.com.

Le locations saranno tra Roma, Civitavecchia e in altre città italiane.

La trasmissione è ideata e curata da Andrea Giannasi (cacchiolo l’editore della Prospettiva Editrice! Fanno pure bei libri cacchiolo!) e prodotta da AG Communication. Realizzazione: Emrovideo per conto di Civitafilmcommission. In collaborazione con Interrete Literary Agency Regia: Roberto Giannessi; Sceneggiatura: Simone Damiani; Marketing e Comunicazione Piero Pacchiarotti; Casting e Promozione: Piergiorgio Leaci. Info alla email: info@interrete.it

PORT TV distribuisce questo programma attraverso il suo Network di emittenti: TV TERAMO – ONDA TV –
TRSP TV – TELE DIOGENE RTC TELECALABRIA – TELE MIA – CONNECTIVAEXEFORM WEB – CHANNELCALABRIA TV – CDS TV – LASER TV – TELE ISCHIA – ITALIA 2 MEDIATEL SKY 826 – TELE CITTA’ VALLO – TELEARCOBALENO 1 – VIDEONOLA MONTI TV WEB – TELETIBUR – TELE GOLFO – TELE RADIO ORTEZERO TV WEB TELEOBIETTIVO – TELESANREMO – PIU’ BLU LOMBARDIA – MILANO SAT sky 893 – TELE SOL REGINA – ENERGY CHANNEL – TELE 2000 – TELEMONTEROSA QUADRIFOGLIO TV – STUDIO 1 – TVALTAITALIA – TV TELEALPI WEB – TVRTM – ERRETIEMME – TELESARDEGNA – CATALAN TV ALPA 1 TGRVIDEOSICILIA – TELE IBLEA – ANTENNA 1T – ELERADIOSCIACCA – TELE VALLO – ANTENNA 6 – TV 1 CANALE 39 – TELE IDEA – TELE RIVIERA TELETRURIA 2000 – TELE NUOVI ORIZZONTI – RETE SOLE CARPE DIEM SAT sky 933 – EDEN TV TVM – CANALE 6 PRIMANTENNATVI – TELEISERNIA TELE SUD EUROITALY – TELEMARE TELEFRIULI CANALE 68 – 3 CHANNEL – TELE GALILEO – RETE VERSILIA – NEWSTV PRATO 39 TELE RADIO CENTRO CANALE 9 – REI TV CANALE 103 – TIRRENO SATTELE 90 – SULCIS TV – TELEMAJG – PUGLIA TV – TELE DAUNA – TELEMANTOVA ESPANSIONE TV – STV TELE TUTTO – RETE SEI – RETE ORO sat – TELE ETERE – TV9 MEDIA
– TVRADIO AZZURRA

Fine della letterina

Vabbé… Ma è normale che uno scrittore esordiente debba pagare 200 euro ad un’agenzia letteraria per partecipare ad un programma tv dove parlerà del suo libro? Pare proprio che per l’agenzia Letteraria Interrete sia possibile! L’agenzia letteraria Interrete mi chiede 200 euro per poter partecipare ad un programma tv dove potrò parlare del mio libro, cazzo! Se pago 200 euro posso pure scoparmi la presentatrice ed il direttore della fotografia? Attendo risposta dall’agenzia.

PS: In cambio di una cena vi faccio una video intervista sulla poltrona della mia stanza. E potrete pure fare i rutti, la struttura sarà orizzontale. Poi metteremo il video in rete e ci vedranno pure i canguri australiani (che di sicuro poi saltelleranno verso la più vicina libreria ad acquistare il vostro libro).

PS: Mio padre dice sempre che facendo così mi chiudo le porte in faccia e non andrò mai da nessuna parte. Non è vero papà: tra due minuti aprirò la porta del bagno e andrò di corpo.

Baci

Andrea Coffami

La banda dello stivale, ovvero la Seconda Unità d’Italia – 18

[continua da qui]

Purtroppo dovremo accontentarci di un processo alle intenzioni, che sarà senz’altro sommario, ma che conterrà comunque le sue indubbie verità.

Ad esempio, che i sedicenti scrittori, una volta concluso il fallimentare reading, non si recarono a casa della cugina in dolce attesa, bensì girovagarono in auto per la città e per giunta in condizioni fisiche non del tutto adeguate. Insomma, pare proprio che in mancanza di pecunia essi approfittassero soventemente della gentilezza dei baristi, ovvero che alzassero il gomito con facilità, così come accadde quella notte all’ombra delle guglie del Duomo – per quanto fosse notte.

Così conciati essi si ubriacarono d’aria per le vie del Biscione, assetati e furenti come dei discendenti di quel principe Saraceno che fu battuto a duello da Ottone Visconti*. In queste condizioni, finirono a tarda notte dalle parti degli studi televisivi, dove la biscia non ha un moro in bocca, bensì, più poeticamente, un fiore.

I cinque – che si fossero riuniti o meno non ha più importanza – pare che rimasero di stucco dinanzi a quell’enorme margherita di grigio metallo, tanto che in uno dei taccuini compare un passaggio piuttosto esplicativo in proposito:

Mai visto cotanto simbolo di sole asservito al colore che più si confà all’alienazione; il gigantesco fiore secco si libra in aria, al di sopra dei miei occhi, insensibile come un ingranaggio e pronto a schiacciare l’uomo ancora dedito al sogno…

Adesso penserete che di vera poesia si tratti, e che tutto questo resoconto sia stato un tentativo poco felice di sminuire un’arte che invece merita plausi e allori, ma posso assicurarvi che la precedente citazione è un’eccezione alquanto rara all’interno di un’accozzaglia di retorica assai poco cesellata.

Gli è che, a mio modesto parere – per carità, son giornalista, mica poeta! –, quel simbolo di un potere tanto visibile quanto occulto, fu senz’altro una ricca fonte d’ispirazione, tanto che ingravidò le loro bocche di belle parole e le loro teste di cattivi pensieri. Insomma, quella stessa forza contro cui si battevano – che loro definivano populista – finì con l’offrirgli i semi per i loro miglior frutti, e questo ci basti per affermare che non sempre l’arte nasce dal bello e dal buono, anzi, ché a ben vedere pare proprio che prenda forma per il verso contrario.

Per certo si era di notte, nell’ora popolata dai mostri, per quanto gli studi fossero illuminati a giorno, poiché la scatola dei sogni in technicolor non si addormenta mai, e di conseguenza non dorme chi vi sta dietro a dipanarne i fili. Di spiriti i nostri scrittori dovevano vederne assai, e di fantasmi pure, annebbiati com’erano dalla loro ideologia e da tutto quell’alcool: mostri che con le loro fauci inghiottivano il paese e lo sprofondavano nella melma della barbarie. Ed era proprio per combattere contro queste terribili creature ch’essi erano arrivati ai piedi del tempio a cristalli liquidi, del totem degl’imbonitori che abbagliavano gli spettatori di bianchi sorrisi e di sguardi invitanti, mentre zompavano da un’inquadratura all’altra senza perder mai il centro dell’immagine.

Immaginateveli davanti a quell’enorme blocco di vetro e cemento, finalmente giunti alla loro meta, con gli occhi tremolanti e la gambe molli, ma soprattutto orfani del dono della parola; perché così dovettero sentirsi quando si udì il cigolio di stivali in pelle in avvicinamento sull’asfalto, mentre la voce di una guardia urlava il chi va là…

Simone Ghelli

* Si narra che nel 1187 Ottone Visconti sconfisse in duello un principe Saraceno che portava sul proprio elmo una grossa serpe che ingoiava un infante. Dopo aver schiacciato l’esercito saraceno come si schiacciano i serpenti, quelle insegne strappate al nemico furono donate dal Visconti alla Cattedrale di Milano

La banda dello stivale, ovvero la Seconda Unità d’Italia – 13

[puntate precedenti]

Non voglio con questo farvi intendere che gli altri tre fossero dei briganti da meno, o che non fossero anche loro già provvisti di idee malsane, soltanto che la grande trovata venne al toscano come conseguenza della legge di trasmutazione dall’originale – il Luciano Bianciardi – al personaggio che costui si era ritagliato addosso. Insomma, egli seguì né più e né meno ciò che stava scritto in quel romanzo a lui tanto caro, forse perché partorito in quella maremma maiala la cui storia rispecchia per certi aspetti quella dell’italico stivale: un luogo impervio e bonificato, trasformato e trasfigurato dal boom economico, che ha visto nascere e crollare il mito di una modernizzazione destinata a rimanere appannaggio di pochi.

Ma chi erano poi questi altri personaggi della combriccola?

Seguendo l’ordine di apparizione, sempre per attenerci a fatti di cronaca irrimediabilmente compromessi dalla finzione, c’era il poeta dei monti Aurunci, che per sbarcare il lunario eseguiva lavoretti da muratore e da imbianchino, tanto che pare scrivesse più col pennello che con la penna. Questo, per non essere da meno, s’era messo in testa di somigliare addirittura a Vasco Pratolini, che ne aveva fatti tanti di mestieri, ma non certo quello di stuccare i buchi nei muri. Probabilmente quest’uomo che estraeva poesie dal secchio della calcina, com’ebbe a scrivere un suo estimatore dopo averlo incontrato tra i vicoli di Colle val d’Elsa (e che ci facessero là entrambi, rimane per me uno dei tanti misteri di questa storia), rimase affascinato dalle ambientazioni neorealiste dello scrittore fiorentino, ma ancora di più dalla scelta di rendere protagonisti i personaggi del popolo: appunto, imbianchini e muratori.

Ma il più spassoso era quello che si credeva un Ezra Pound remixato a colpi di neomelodici napoletani e coi pantaloni a bracala tipo gangsta rapper, e che si fece crescere la barba per apparire ancora più maledetto, col risultato che gli ci zompavano dentro le pulci al ritmo dei suoi versi. Pare fosse proprio lui il più gettonato sul palco, quello che ammaliava il pubblico, che con labbra penzoloni si godeva questo saltimbanco del calembour. Era anche l’unico a conoscere a memoria le proprie parole, che sputava velocissime sul microfono, mentre gli altri quattro andavano avanti con i fogli in mano, come degli attori che stiano provando la loro parte, con il bel risultato d’incepparsi ogni tre righe. Perché dal vivo, a onor del vero, non è che essi fossero poi tutta questa cosa straordinaria: semplicemente degli scrittori che leggevano le loro cose, con stili assai diversi, e forse piacevano proprio per questa presunta genuinità e biodiversità.

Resta invece l’ombra del dubbio sul quinto e ultimo, in ordine di apparizione, componente, ché non volle somigliare a nessuno – forse perché comparve effettivamente soltanto in quel di Milano? – ma che per non sciupare il trucco venne accostato al Camillo Boito, un po’ per il fiero cipiglio, e un po’ per l’esser scapigliato e dunque romantico e decadente, nonostante una corporatura da lottatore che non si confaceva certo al paragone. Sicuramente vi era però un’affinità nella scelta dei temi, che entrambi ricercavano la bellezza in tutte le sue forme, e in primo luogo quella femminile, da lusingare a forza di periodi contorti e di fascinose metafore; e qui si chiude il cerchio, se me lo concedete, sull’argomento donne, sul quale potete adesso sentirvi liberi di trarre le vostre conclusioni.

Simone Ghelli

Coincidenze – Segreto e grazia

A causa di una delle continue e vaste reti di coincidenze che innervano le nostre vite, Andrea si accorse di cosa volesse davvero dire essere religiosi.

Alcune persone illuminate sanno benissimo che la libertà dell’essere umano è possibile solo in teoria, che l’infinità delle possibilità è un’astrazione perché all’atto pratico nessuno può diventare qualsiasi cosa o vivere qualunque esperienza, limitandosi di solito a sguazzare nel probabile e soprattutto nel possibile.

Andrea sapeva benissimo che non sarebbe mai diventato un fisico nucleare o il leader dei Foo Fighters, anche se teoricamente sarebbe stato possibile. Sapeva che le scelte fatte si assommavano a quelle da fare in un bilancio, anzi, in una statistica la cui media era difficile da smuovere, ormai. Se hai deciso di fare lettere non puoi più fare il fisico nucleare.

Ne aveva parlato durante le vacanze, agli amici, ed erano stati tutti insieme a parlarne fino alle quattro del mattino, come ai bei tempi, in cui con una chiacchierata di una sola notte sembrava possibile risolvere i problemi del mondo.

Tornando a casa si era detto che Dio era un porco, che il libero arbitrio era una fandonia e che siamo tutti schiavi delle circostanze. Da quando era arrivato all’età della ragione aveva smesso di credere in Dio, di avere fede nel futuro e nell’uomo, di interrogarsi su come avrebbe dovuto comportarsi: semplicemente viveva, attendendo la fine e cercando di godersela quanto più possibile. No, ormai non aveva nemmeno più un brandello di religiosità in sé, tutto spazzato via dalla semplice constatazione che: in un mondo come questo Dio non può esistere, perché se esistesse sarebbe davvero uno stronzo.

Tornando a casa si era detto che non percepiva più nemmeno l’atmosfera delle festività, che Natale Capodanno ed Epifania si erano spenti completamente nel suo animo da tanti tanti anni. Li vedeva come feste commerciali, di scambi di soldi e regali, roba da cambiavalute o usurai.

Arrivato a casa respirò l’aria del porticato. Era lo stesso odore di quand’era bambino, quando quei giorni avevano un senso per lui. Inspirò e si rammaricò per la perdita. Quello che di quei giorni, da bambino, gli era piaciuto moltissimo era stato il senso di mistero: Babbo Natale, la Befana, la Messa di mezzanotte, i regali comparsi misteriosamente e cosparsi di miracolo… ogni cosa traspirava segreto e grazia.

Mentre passeggiava fumando per il porticato guardò verso il cielo e si convinse che, senza il mistero, il Natale il Capodanno e l’Epifania avevano perso tutto: la fede, senza mistero, perde il suo fascino, perché se tutto è chiaro ed evidente non c’è modo per la fede e per l’incanto di attecchire e rimane solo l’aridità.

Mentre passeggiava fumando per il porticato pensò che per la scrittura si poteva dir la stessa cosa: tutti i suoi amici scrittori parlavano sempre di “scrittura” e mai di “letteratura”, non si consideravano “letterati” ma “scrittori”, implicitamente affermavano di non creare bellezza ma storie, di essere cronachisti e non creativi, contaballe non artisti. Per loro la letteratura aveva perso il mistero e si era trasformata in un esercizio di menzogna, come una messa a cui non si concede nemmeno un’occasione di stupore, come un Dio a cui non si offre neanche una possibilità d’invidia.

Antonio Romano