L’entropia esistenziale

di Matteo Moscarda

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Questo non è un racconto. Non è mosso da narcisismo o velleità scrittorie. Il mio io non ha nulla a che vedere con l’impellenza di spiegare a quante più persone possibili una delle verità da me conseguite in questi anni. È auspicabile e rivoluzionario che entri a far parte della coscienza collettiva un fatto, ovvero che la maglia relazionale sussiste in virtù dei propri legami interni e a prescindere dalla loro identità.
Tutto il resto, al mondo, è indifferente.
Per esempio, tanto è indifferente chi occupi un ruolo all’interno di una gerarchia, tanto è indifferente essere quel chi o un altro chi: in ogni caso, ogni incarico verrà rivestito, ogni mansione svolta, ogni vantaggio goduto o sfavore patito. Sapere chi dovrà godere i vantaggi o patire gli sfavori è una curiosità di interesse soggettivo, e quindi volgarmente egoistico. Per tanto, conoscere l’identità intima di chi deve occupare un determinato ruolo non riguarda la Realtà ma il Mondo Percepito. Leggi il resto dell’articolo

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Montecitorio Wrestling Federation /4

[Puntate precedenti: 123]

di Matteo Pascoletti

Nel wrestling un aspetto centrale della kayfabe è riassumibile nella frase “vendere le mosse”. Poiché i colpi che i lottatori si scambiano sono una finzione finalizzata allo spettacolo e non a un reale scontro, come avviene per esempio nel pugilato o nella lotta greco-romana, il wrestler che subisce una mossa deve dare al pubblico l’impressione di accusare il colpo, imparando come e quanto esagerare. Se la mossa è particolarmente atletica, o mira a parti del corpo che nella realtà sono più vulnerabili, come la testa, la capacità di fingere mostra tutta la sua importanza. Un calcio volante alla testa che passa come una folata di vento addosso al wrestler colpito può infrangere la kayfabe, danneggiando lo spettacolo.
Indicative di questo scarto tra necessità di spettacolarizzare i colpi e danno effettivo sono le mosse di sottomissione. Chi le compie di solito non fa altro che afferrare blandamente uno o più arti dell’avversario: a creare l’illusione complessiva sono le facce sofferenti, il volto rosso per lo sforzo fisico intenso, le urla di dolore o l’agitarsi per cercare di uscire dalla presa; in questo modo le mosse di sottomissione sembrano tecniche micidiali e pericolose. Vediamo nel filmato una classica armbar, una mossa in cui nella kayfabe Del Rio afferra e torce il braccio di Rey Mysterio fino a farlo cedere.

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Conosci quelle storie

Conosci quelle storie che finiscono in ex obitori,
dove i languori sono rari come tori neri,
dove i sentieri son cunicoli di minatori,
dove io e te ci perderemo come in mari senza fari.
 
Conosci quelle storie dove vuoi giocare a dama
ed usi una scacchiera con le torri e con gli alfieri
le regole non cambiano, ma cambian le pedine.
Conosci quelle storie belle come cartoline. Leggi il resto dell’articolo

Il re che ride

Il re che ride (Marsilio, 2010)

di Simone Barillari

 

Chissà cosa direbbe del suo aforisma René Clair, ascoltando le barzellette di Berlusconi, osservando il ghigno plastificato, che nulla ha da invidiare al buon Joker di Nicholson, che si espande, si tira e soddisfatto fa da commento auto-celebrativo all’arguzia appena proferita.

Non possiamo dire che penserebbe e come reagirebbe Clair, ma di certo possiamo immaginare le reazioni degli italiani che assistono, da dietro lo schermo oppure dal vivo (ahiloro!) a questo imbarazzante siparietto offerto da IL RE CHE RIDE. Occhi spalancati, commenti acidi, mezzi sorrisi imbarazzati come quando ci accorgiamo di avere la patta dei pantaloni aperta, bestemmie e imprecazioni. E tante domande.

Ma di cosa ride poi? E re di cosa? Ma il re una volta non era nudo!?

Oggi (in) vestito più che mai di quell’aura di onnipotenza tipica dei piccoli dittatori dello stato di Banana, il buon monarca politicante è (auto) convinto di avere nella sua faretra strali, capaci di piegare ogni situazione e ogni avversario, con comicità consona a ogni occasione che non può che sedurre l’auditorium di proseliti e non che fa da bersaglio a ogni appuntamento.

Ma è veramente così? Nel suo saggio, Simone Barillari fa un suo punto di reputazione mostrarci tutto quello che si nasconde dietro le ingenue (?) battute del Silvio internazionale.

Perché tra le quinte di ogni comica storiella si affastellano momenti ben precisi della carriera politica dell’imprenditore con un sogno, nomi e cognomi di alleati e avversari vessati bonariamente come i poveri carabinieri (che mai dovrebbero prendersela per quello che si dice su di loro… visto che è la verità …) e scandali più o meno importanti che hanno scosso (ma davvero!?) le fondamenta del cielo azzurro in cui abita il Dio-RE.

L’autore del libro è quindi uno studioso pluri – competente che porta avanti con scaltrezza e bravura il lavoro dello storico, del sociologo e dello scrittore con una nota ironica che traspare leggendo molto bene tra le righe ma anche con un’oggettività intraprendente per un tema del genere.

Affatto banale Il Re che ride è un libro da leggere con molta attenzione, che serve da promemoria, da allerta costante per la nostra capacità di critica e autocritica.

Il re ride. Il popolo piange. La nazione trema e ridere non è il vero segno della libertà ma la bandiera bianca sventolata di fronte a un nemico che avanza con i fantocci di paglia.

 

Alex Pietrogiacomi

Trauma cronico – Perché l’Italia non deve vincere il mondiale

Credo che in Europa il fascismo attaccherà in forze nei prossimi anni e che dobbiamo prepararci ad affrontare l’odio e la sete di vendetta che i fascisti stanno alimentando. Sia chiaro, si presenteranno con maschere pseudo-democratiche, alcune delle quali circolano già tra noi. Non dobbiamo lasciarci ingannare. Mi raccomando.

José Saramago

L’Italia di calcio si è qualificata per il mondiale. L’Italia è campione del mondo in carica e potrà difendere il titolo conquistato. Se la memoria non mi trae in inganno, è la prima volta che la squadra campione uscente debba affrontare la fase a gironi di qualificazione. Sono cambiate le regole, e se sono cambiate, sicuramente dietro ci sono ragioni economiche, ma non staremo qui ad indagare, non ci interessa. Quello che mi preme è condividere una riflessione cominciata nella tarda serata del 9 luglio del 2006, quando il popolo italiano è impazzito al grido bestiale di Pooo Popò PoPoPooo Pooo Popò PoPoPooo. Che poi milioni di italiani a fare il coretto per giorni e giorni, e mica lo sapevano, la maggioranza di loro, questi ignoranti, che intonavano il tema principale di un pezzo dei White Stripes, Seven Nation Army.

L’italiano è pecora, da secoli, nei secoli. In cento anni questi idioti hanno avuto la capacità di subire Benito Mussolini e, non contenti, Silvio Berlusconi. Roba da far accapponare la pelle all’uomo ancora capace di discernere e di ragionare.

Quel 9 luglio abbiamo assistito allo sdoganamento ufficiale del fascismo in tutta la sua brutale ignoranza e prepotenza. La gioia mondiale e i litri di Peroni avevano annullato i freni inibitori degli italiani scesi sbraitanti e suonanti nelle piazze ergendo simboli sopiti, svastiche, croci celtiche, fasci littori e soprattutto il volto di Benito Mussolini raffigurato su t-shirt e bandiere, o addirittura sulle mutande. L’ho visto coi miei occhi, ho sentito con le mie orecchie intonare vecchi canti fascisti, fu allora che decidemmo di ritirarci, io e i miei amici, perché ci rendemmo conto che non c’era nulla da festeggiare. La vittoria del mondiale di calcio, in quel determinato contesto storico, più che una gioia, fu un tristo evento.

Animale Italia. Italia di animali.

Il giorno successivo poi, in diretta tv coi festeggiamenti da Circo Massimo insieme ai giocatori, Buffon, uno degli uomini-simbolo di quella nazionale, il portiere paratutto, esultava mostrando uno striscione in cui vi era scritto “Fieri di essere italiani”, con tanto di celtica raffigurata in calce. Fu uno spettacolo indegno. Io mi vergognavo di essere italiano mentre il mio popolo impazzito era in preda a delirio collettivo.

Immagino Pertini, sono certo che egli non avrebbe taciuto, avrebbe detto qualcosa con l’indice puntato contro il portierone, a spiegargli cosa era il fascismo, il nazismo, che la Repubblica, la Costituzione, nascono dalla lotta per la libertà contro la dittatura, che lui era stato in prigione e storie di uomini che non ci sono più. Altri tempi, altri uomini.

Il mondiale del 1982 fu epico. Pertini ne fu un simbolo che seppe dare un senso vero, concreto, in un momento difficile nella storia del nostro stato democratico, l’ennesimo momento difficile, quando da poco la cronaca era stata investita dallo scandalo P2 e Pertini, Presidente Partigiano di cui oggi sentiamo immensa mancanza e gran bisogno, era allo stesso tempo la voce del popolo e la voce delle istituzioni che all’unisono parlavano da cittadini liberi a cittadini liberi.

Uno spettro si aggira per l’Italia, un doppietta mondiale che evocherebbe quella del ’34-’38, e non sarebbe proprio il caso. Abbiamo motivi validi di seria preoccupazione, Materazzi colpito dalla testata che crollava al suolo, era  l’immagine della democrazia in Italia che veniva meno. Rivolti alla mamma di Zidane questo popolo di imbecilli rivolgeva improperi irripetibili, specchio dell’incultura e del degrado senza dignità in cui si è beceramente sprofondati.

Ecco perché spero che l’Italia non vinca il mondiale.

Gianluca Liguori